lunedì 24 dicembre 2007

Leoni per agnelli

Premessa: potrei restare in contemplazione di Robert Redford anche se fosse immobile sullo schermo per due ore.
Detto questo, veniamo al suo ultimo film: intenso, avvincente, intelligente. Riesce a fare apprezzare persino Tom Cruise (il che è tutto dire), assolutamente perfetto nel ruolo del politico rampante. Sorriso stampato sulla faccia da schiaffi, gestualità impostata e controllata, frasi studiate ad effetto – mi ricorda qualcuno…
La giornalista dai solidi ideali assiste al suo show con imbarazzato sconcerto. È davvero inquietante assistere al tormento interiore del personaggio interpretato da Meryl Streep, consapevole di trovarsi di fronte ad un assurdo gioco di guerra confezionato come un’impresa patriottica contro il quale nessuna verità sarebbe proponibile. Rifiuta di divulgare tale propaganda bellicista, pur sapendo che altri lo faranno al posto suo.
Intanto, il gioco promulgato dall’abile senatore risulta complicato oltre le aspettative: la più tecnologica macchina da guerra cade quasi nel ridicolo, beffata com’è da un manipolo di indigeni in tunica e turbante – tanto “retrogradi” quanto assoluti padroni del proprio territorio. Ne sono vittime due giovani volontari, che nemmeno la più grande forza armata del mondo riesce a salvare.
Guarda caso, tali valorosi soldati hanno la pelle nera e, guarda caso, si sono arruolati per ottenere un riconoscimento e una gratificazione che lo Stato non è in grado di garantire. Ragazzi coscienziosi e promettenti studenti, osservati e ammirati dal loro professore, che ha tentato invano di dissuaderli da un intento che non condivide – pur ammirandone la motivazione. Ce ne fossero di professori di tale spessore (e non solo perché è Robert Redford…), interessato al ruolo che i propri studenti potranno avere nel futuro della nazione, impegnato a spronarli affinché siano presenti e coinvolti nelle decisioni che potrebbero rivelarsi determinanti.
Il professore vede cadere le speranze riposte in quei due ragazzi; la giornalista assiste ancora una volta alla stupida potenza del sistema; il senatore partecipa al crollo dei suoi birilli. Tre destini incrociati dei quali nessuno risulta vincente.
La realtà lascia ben poche speranze, e quelle poche sono riposte negli occhi del giovane studente al quale il professore si è rivolto, con quello che pare un disperato appello.

giovedì 13 dicembre 2007

Medioevo

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 13 dic - Astinenza prima del matrimonio e fedelta' all'interno del matrimonio. Cosi' si possono sradicare le malattie sessualmente trasmissibili, in particolare l'AIDS. Lo ha ribadito stamattina Benedetto XVI, nel discorso all'ambasciatore di Namibia presso la Santa Sede. ''La Chiesa - ha detto il Papa - continuera' ad assistere i malati di AIDS e i loro familiari. Il contributo della Chiesa allo sradicamento dell'AIDS dalla societa' non puo' che trarre ispirazione dalla concezione cristiana di amore e sessualita'''. ''La concezione del matrimonio come totale, reciproca ed esclusiva comunione d'amore tra un uomo e una donna non solo si accorda con il piano del Creatore - ha spiegato Benedetto XVI -, ma suggerisce i comportamenti piu' efficaci per prevenire la trasmissione delle malattie per via sessuale: cioe' l'astensione prima del matrimonio e la fedelta' all'interno del matrimonio''.

Senza parole.

lunedì 10 dicembre 2007

Maratona di Reggio Emilia

La colpa è solo ed esclusivamente mia. Avevo deciso per Firenze, e Firenze doveva essere. Non perché lì avrei potuto fare chissà cosa, specie con le condizioni meteo di quest’anno, ma era quello l’obiettivo che mi aveva accompagnato durante e dopo Venezia, quindi era su quello e non su altro che dovevo restare concentrata.
Invece, mi sono fatta convincere che qualche settimana in più di allenamento mi avrebbe portato a migliori risultati. Già, come se a Reggio Emilia una come me potesse ricercare il primato, con quella temperatura e con quei saliscendi. Come se non me lo fossi già detto prima che, tirando fino a dicembre, sarei arrivata con l’acqua alla gola.
L’acqua, appunto. Nella mia, pur breve, carriera podistica non avevo mai gareggiato sotto la pioggia: evidentemente ci voleva una prima volta. Ovvio, ne avrei fatto volentieri a meno. O, se proprio dovevo provare tale inebriante emozione, avrei preferito farlo d’estate, magari in una corsa più breve.
Non ricordo esattamente che cosa abbia pensato quando ho avvertito le prime gocce. Ero all’incirca a metà gara, e inizialmente forse non vi ho dato peso. Poi, il diluvio. Se cercavo un valido pretesto per ritirarmi, questo cadeva proprio a fagiolo. Ancora un chilometro, poi mi fermo. Ancora uno, ancora uno…Fino al 42°.
Come sia riuscita ad andare avanti, in simili condizioni, ancora me lo domando. Ho corso con muscoli e articolazioni al limite della sopportazione, mi aspettavo da un momento all’altro il cedimento di qualcosa. Ma si trattava della mia decima maratona, potevo forse chiudere l’anno ancora a quota nove? E come mi sarei meritata un corroborante riposo se non fossi arrivata in fondo. Inoltre, ero certa che Jader mi pensasse già ritirata, volevo quindi scorgere la sua sorpresa nel vedermi arrivare.
Tagliato il traguardo, ho continuato a tremare per almeno un’altra ora (la doccia fredda, negli spogliatoi, era proprio quello che ci voleva!)
Ora, posso solo dirmi soddisfatta di averla finita. Del resto, ero spenta già dalla partenza. Sin dai primi chilometri mi chiedevo fino a dove sarei stata in grado di arrivare. L’entusiasmo di Venezia si era già esaurito, esaurita era anche la brillantezza degli allenamenti di qualità dopo quella gara. Insomma, sono arrivata “lunga”: ho tirato troppo la corda. Avrei dovuto chiudere prima la stagione. Del resto, dopo l’esperienza di Milano non avevo detto che mai più avrei programmato maratone da novembre in poi?
È andata così. Mi compiaccio comunque di me stessa per non avere mollato, per non essermi neppure mai fermata. È comunque un segnale positivo.
Adesso vado un po’ in letargo. Se ne riparla il prossimo anno…

mercoledì 5 dicembre 2007

Niente intervento!

La piccola non è stata operata. L’ortopedico non l’ha ritenuto opportuno: non perché la situazione non sia grave, al contrario, perché è troppo complessa. Lussazione ad entrambe le rotule posteriori e sublussazione alle anche. Occorrerebbe quindi intervenire progressivamente su tutti gli arti, aprendola e chiudendola in continuazione: una tortura. L’esperto suggerisce quindi di somministrarle una cura, che dovrà seguire probabilmente per tutta la vita.
Che dire? L’idea dell’intervento mi angosciava, quindi è stato un sollievo sapere che non l’avrebbe subito. È però una sofferenza anche vederla così spenta, senza quella vivacità che la scatenava tanto fino a qualche settimana fa. Soprattutto, mi preoccupa il progredire del problema, cosa succederà con la crescita? Una gattina sfortunata dalla nascita, probabilmente abbandonata da piccolissima e non nutrita a sufficienza nei primi mesi di vita. Ora sta a noi darle tutto ciò di cui ha bisogno. Il lato buffo della vicenda è che, sapendola così fragile, le concediamo e perdoniamo tutto. Ebbene si, in casa comanda lei!

venerdì 30 novembre 2007

Intervento Cleopatra

Tremava tutta. Non piangeva, non si agitava: stava accucciata nella gabbietta, vigile e silenziosa. E tremante. Avrei voluto leggere i suoi pensieri mentre mi guardava uscire dall’ambulatorio.
Ormai dovrebbe essere finito, l’intervento sarà ormai concluso e lei, mi auguro, starà dormendo. Tra poco chiamerò per chiedere come sta. Poi dovrò far passare tutto il pomeriggio prima di riaverla con me.
Stasera overdose di coccole, piccola mia.

lunedì 26 novembre 2007

ridimensionarsi

È vero, mi ero un po’ illusa.

Sarà stata l’euforia di Venezia, o il piacere di avere “ritrovato” il mio allenatore, oppure il benefico effetto di una settimana di scarico. Di fatto, la preparazione per la seconda maratona è iniziata con un’agilità e una brillantezza sorprendenti, su ritmi che non sostenevo da tempo immemore.
Ora, i carichi si fanno sentire e la fatica pure. Non ero più abituata a certi lavori e in poche settimane non è facile riassestarsi su determinati schemi. Così, dovrò accontentarmi di un miglioramento inferiore alle mie speranze. Insomma, quel malefico muro è ancora troppo solido per essere abbattuto.
Poco male. Darò comunque il massimo, e chissà che non venga fuori qualcosa di inaspettato. Correrò per me stessa, per trovare un po’ di quella sicurezza che non mi basta mai. Ma correrò anche per Jader, che palpita per tutta la durata delle mie gare, temendo di non vedere il mio sorriso all’arrivo. Correrò per Cleopatra, che venerdì dovrà essere operata per poter così tornare a giocare con noi. E correrò anche per Piero, che purtroppo dovrà rinunciare alla gara.
Beh, le spinte non mancano. Non vedo l’ora di partire!

lunedì 19 novembre 2007

Maratonina del Garda

Cominciamo dalla fine: un scarsissimo 1h30, ben lontano da ogni aspettativa.
Che dire? Capita. Capita che gli allenamenti facciano sperare in risultati che, poi, non si realizzano. Capita che quel giorno troppe cose non vadano per il verso giusto e quindi bisogna accontentarsi di esiti mediocri.
Devo però dirlo: che brutta gara! In tutti i sensi. Non è mia abitudine andare a cercare i minimi difetti, so bene che cosa significhi organizzare una corsa. Quando però mi trovo a subire plateali carenze, non posso tacere il mio disappunto.
Stendiamo un velo sul caos nella consegna dei pettorali e sulla mancanza di spogliatoi e servizi igienici. Ma come giustificare il ritardo della partenza? Pare che, alle 10, non fosse ancora stata sistemata la pedana di rilevamento chip. Fatto sta che chi si era sistemato nelle griglie a tempo debito ha dovuto sostare almeno una ventina di minuti al gelo, con ovvie conseguenze psico-fisiche.
Veniamo poi alla zona arrivo. Tutto allestito all’interno di un immenso capannone della struttura fieristica. Peccato che fosse disponibile un solo accesso, sia in entrata che in uscita: da panico. Chi poi avesse avuto intenzione di sciacquare le fatiche con una doccia corroborante, avrebbe dovuto fingere di essere in spiaggia, poiché le docce erano all’aperto!
Quanto a me, ho sofferto il freddo, l’imbottigliamento dei primi chilometri e il percorso tortuoso e ondulato - con la salita finale a spezzare gambe già sufficientemente provate. Ho pensato più volte di ritirarmi, specie quando mi sono trovata esposta ad un vento gelido che temevo di non riuscire a tollerare. Invece ho stretto i denti e sono andata avanti, per quanto consapevole di non poter realizzare il tempo sperato. Se a Venezia avevo corso con la mente già alla prossima maratona, ieri il pensiero ricorrente, per quei dannati 21 km, era “con oggi, basta.”
Fortunatamente, come spesso succede, grazie al calore di parole rincuoranti, qualche minuto dopo l’arrivo avevo già cambiato idea. E mi sono convinta che, tutto sommato, non è andata poi così male. Archiviata come un allenamento, chiudo la parentesi e vado avanti. Determinata e fiduciosa. La grinta e la brillantezza delle ultime settimane non possono essere stati un episodio. Go, Vale, go!

mercoledì 14 novembre 2007

Giorni e nuvole

Tenero e angosciante allo stesso tempo.
Il crollo delle certezze, lo scontro con la realtà, la forza dei sentimenti: queste le tematiche sviluppate da Silvio Soldini nel suo ultimo film. Una vicenda di triste attualità, quella di un affermato professionista che perde il lavoro e si trova costretto a modificare il proprio stile di vita e quello della moglie, studiosa di storia dell’arte, restauratrice per passione.
Cosa succede ad una coppia agiata e serena, travolta da un simile crollo?
Il film affronta con intelligenza e delicatezza l’intersecarsi della crisi economica con quella famigliare. Dover abbandonare la casa elegante con donna di servizio, le cene raffinate, le vacanze esotiche determina tensioni che, inevitabilmente, danno sfogo a conflitti di difficile gestione. È proprio qui che emerge lo spessore umano dei personaggi, il cui legame è reso vacillante da ripetuti scossoni: l’abilità con cui si destreggiano sul filo del rasoio anima situazioni tra il grottesco e il commovente, in un continuo stato di apprensione per quanto potrebbe succedere.
Non c’è nulla di scontato in questa storia, di fatto profondamente quotidiana. Antonio Albanese e Margherita Buy sono intensi e autentici, tanto brillanti quanto commoventi.
A mio parere, è un film che lascia il segno. Diverse sono le letture che se ne possono trarre. Certo, è inevitabile domandarsi come potremmo reagire, noi, in situazioni analoghe.

sabato 10 novembre 2007

alla presentazione della Maratona di Milano

A pensarci bene, non avevo mai visto i campioni degli altipiani da vicino e, soprattutto, non li avevo mai visti indossare qualcosa che non fosse un completo da gara.
A pensarci bene, poi, io non avrei neppure dovuto essere qui, nel senso che l’evento non contemplava la mia presenza. Sono a Milano per un appuntamento con la Nike, su invito dell’amico Venuste Niyongabo. Proprio lui, nel bel mezzo della mattinata, lancia l’idea: Vuoi andare alla presentazione della maratona di Milano? C’è anche Lel…
Lel?! Vuoi dire che il fenomeno che ha tagliato il traguardo di New York quasi volando è qui? Dobbiamo andare!
Eccomi dunque nella Sala degli Arazzi del Comune. Vedo diversi volti noti, tra i quali quello di Genny Di Napoli, ormai anche lui contagiato dal morbo della maratona. E vedo, soprattutto, tre sottili figure dalla pelle nera, in elegante completo giacca e pantaloni. Confesso: non li riconosco.
Finalmente la conferenza scioglie i miei dubbi. Il dott. Gabriele Rosa, prendendo la parola, auspica un futuro importante per la maratona di questa città, sostenuta dall’Assessore e neo maratoneta Giovanni Terzi. A dimostrazione della sua fiducia, Rosa offre alla manifestazione tre prestigiosi atleti del suo team: Martin Lel, Robert Cheruiyot e Margaret Okayo ne correranno alcuni chilometri. Claudio Berardinelli, l’allenatore che segue la loro preparazione in Kenya, li presenta tracciando il profilo delle persone, oltre che dei campioni: tribù di appartenenza, famiglia e studi, amici e compagni di allenamento.
Ho l’onore di essere invitata a pranzo con gli atleti. La mia emozione, unita al fatto che giornalisti e fotografi lasciano loro a malapena lo spazio per mangiare, mi impedisce di abbozzare una sorta di dialogo. Mi limito così ad osservarli, così quieti e sorridenti. Mi stupisce la voracità con cui Lel ingoia il pane e, soprattutto, mi sbalordisce notare ciò che bevono: non acqua, nè tantomeno vino o birra. Niente di tutto ciò: questa sorta di alieni pasteggia sorseggiando allegramente Fanta! Bleahh

giovedì 1 novembre 2007

VENEZIA







Finalmente. Finalmente arrivo alla vigilia di una gara con mente serena e tanta voglia di correre. Erano anni che non provavo una simile carica positiva, anni passati a lottare con infortuni e varie negatività. Due recenti ritiri ad infierire su un programma di allenamento che non ha dato i frutti sperati. Ma ora basta. Non sono al top, è vero, ma che importa? Qui darò comunque il meglio e da qui ripartirò. Ne sono sicura.

Sbuccio una banana e mi metto in coda, per ritirare il mio pettorale. L’expo è affollato, aria pesante quasi irrespirabile, ma come mi esalta! Adoro curiosare tra gli stand, raccogliere omaggi, magari incontrare facce conosciute. Chiacchiere, tante chiacchiere, e sorrisi e abbracci. Mi sto divertendo, anche se non dovrei stare tanto in piedi, anche se rischio di stancarmi troppo. Ma cosa farei se non fossi qui? Passerei il pomeriggio a misurare il tempo che scorre, pensando alla gara fino a farmi venire mal di testa.
Ecco, non lo dovevo nominare. Il mal di testa mi attacca violentemente durante il sonno, la notte. Sarà il caldo esagerato della camera, o la strapazzata del pomeriggio, oppure la tensione che, nonostante tutto, si fa sentire. Mi addormento e mi risveglio di continuo, mi dico che passerà, che non è niente, ma la preoccupazione, inevitabilmente, sale.
Mi alzo decisamente intontita, mi sento ovattata, tutto ondeggia e rimbomba attorno a me. Quasi mi manca il respiro. Provo a far finta di niente, non voglio spaventare Jader. Passerà.
Sul pullman cerco di rilassarmi e un po’ mi assopisco. Ma sì, sto meglio, sarà una grande giornata.
Il clima è dalla mia parte, non sento freddo e non è neppure troppo umido. L’attesa, in zona partenza, non è tanto lunga: non c’è tempo per annoiarsi, e nemmeno per pensare troppo.
Così si parte. Senza eccessiva foga o violenti spintoni. Incredibile. La mia prima gara senza nessuno che mi tocchi i piedi!
Imposto un ritmo che vorrei mi accompagnasse il più a lungo possibile, e su questa andatura incontro diversi compagni di strada. Qualcuno passa e va, qualcuno resta indietro, nessuno mi sarà accanto fino alla fine. Ma ci sono abituata. Ciò che conta è che sto bene.
Il passaggio alla mezza è perfetto, sono già a metà – notare: già a metà, non solo a metà.
C’è tanta gente lungo la strada, gente che incita e applaude: sapessero quanto mi incoraggiano, e quanto mi caricano anche i gruppi musicali, ragazzi giovanissimi che offrono un vero spettacolo. Le note di Every breath you take sono un’emozione fortissima, per un attimo chiudo gli occhi e lascio scorrere quelle parole dentro di me.
Entriamo nel parco di San Giuliano, Marescalchi esalta il mio sorriso. È vero, siamo al trentesimo e sto sorridendo. È che tutto mi sembra bellissimo: questa giornata è bellissima, questo percorso è bellissimo, Venezia, lì ad un passo, è bellissima. Sono felice di essere qui.
Attraverso il ponte della Libertà quasi in trance. Sapevo che mi avrebbe fatto questo effetto. Quello che per tutti è un incubo infinito, per me è una sorta di passaggio in una dimensione senza spazio e senza tempo. Continuo a sorpassare podisti più o meno in crisi. Vedo il profilo della città, la sento già mia. E quando ci arrivo, quando mi trovo sulla prima delle quattordici passerelle che coprono i ponti, do sfogo ad una grinta che raramente ho saputo rivelare. Aggredisco quei ponti quasi dovessi sfondarli. Largo, largo, sto arrivando io! Accidenti, proprio sull’ultimo mi trovo davanti un podista che mi ostruisce il passaggio, non ci voleva adesso, quando devo lanciare lo sprint. Accelero al massimo sul rettilineo finale, tagliando il traguardo esultante e gioiosa.
No, non ho fatto il personale, né mi sono piazzata in qualche classifica. Ma ho finito una maratona, dopo due anni di digiuno. E l’ho finita piena di energia, già pensando alla prossima.

venerdì 26 ottobre 2007

NY

Dovrei pensare che, dopo cinque anni, non succede niente se stavolta resto a casa. Dovrei ricordare tutti i miei discorsi su quanto sia brutta e insignificante quella città. Dovrei concentrarmi sul fatto che, finalmente, riuscirò a correre dove prima era impossibile, a causa della stretta vicinanza di date. Invece…
Invece la data si avvicina e io comincio a provare un certo magone. Mi sembra così strano non dovermi preoccupare di valigie, abbigliamento, accessori da ricordare; non dovermi informare su alberghi, eventi, clima. Immaginavo che tutto questo mi sarebbe mancato, ma non così tanto. Chissà se questa malinconia è tra le cause dello strano sogno che ha animato la mia notte.
Ero in viaggio con Jader, un viaggio di quelli che sogniamo da sempre, in uno di quei paesi trascurati dal turismo di massa. Poteva essere l’Afghanistan o l’Iran, ambiente aspro e roccioso, ospitati in una casa di abitanti del luogo, con la signora che preparava i pasti e io che sistemavo lo zaino. Poi in un pullman su strade di montagna, panorami simili a quelli dell’alto Atlante, destinazione ignota. Io mi chiedevo come fossimo finiti lì, quando in realtà avevamo altri programmi. Mi rimproveravo per non avere pianificato il viaggio con maggiore precisione e, d’improvviso, mi rendevo conto che avevo lasciato a casa il passaporto: possibile una simile dimenticanza? Dovevamo rivolgerci al consolato, rischiavamo di non riuscire a tornare a casa…

Beh, non ho sognato New York, ma credo che qualche attinenza ci sia. Intanto, per assaporare un po’ quello che non proverò, mi sono preparata i muffin! In fondo, sono ben poche le cose per cui valga la pena sorvolare l’oceano, e i muffin sono tra queste. Se ne trovano di ogni sapore e dimensione, morbidi e profumati, la migliore coccola del mattino. Altro elemento unico e inimitabile: il cappuccino di Starbucks. Insultatemi pure, ma cappuccini così non si trovano in nessun altro luogo al mondo! Cos’altro? Beh, l’unica vera perla della città, il Central Park, dove è facile correre all’infinito perdendo il senso dell’orientamento. E poi, ovviamente, la sola vera ragione che renda New York così unica – ma questa non ha bisogno di essere descritta, no?

mercoledì 24 ottobre 2007

Dichiarazione d'amore

Pioggia insistente.
Questo grigiore, si sa, alimenta gli animi malinconici, quelli che amano raggomitolarsi su se stessi lasciando il mondo all’esterno. Come i gatti…
Ecco dove vorrei essere adesso: immersa in un libro, con Cleopatra sulle gambe.
È sorprendente. Nonostante il mio amore per gli animali sia viscerale, nonostante abbia già vissuto con gatti, a casa coi miei, non credevo che un simile esserino potesse avere tanto potere su di me. Quando la accarezzo, le vibrazioni delle sue fusa mi trasmettono un senso di benessere che non ha eguali, come se il languore al quale si abbandona fosse contagioso: in realtà, non so chi delle due tragga più piacere da queste coccole. I suoi gesti e i suoi atteggiamenti, i suoi versi e i suoi sguardi sono continue sorprese, una vera meraviglia. La guardo e mi chiedo come abbia potuto stare tutto questo tempo senza di lei. Non avrei potuto ricevere dono più bello. Allieta i miei pensieri così come anima la mia casa, con lei tutto è più colorato e sorridente.
Spero che lei senta tutto questo amore. Spero che anche lei, con noi, sia felice.

martedì 23 ottobre 2007

Punto!

Secondo il mio “coach”:
gli ultimi allenamenti rivelano una condizione di efficienza che, domenica, dovrebbe tradursi in una prestazione molto vicina al mio tempo migliore
per ottenere però una performance da record, avrei bisogno di altre tre settimane di allenamento.

Punto 1: non per essere la solita pessimista, ma questi brillanti riscontri io non li vedo proprio. È vero che le cose vanno migliorando, ma da lì a dire che potrei correre ad un ritmo superiore a quello tenuto sinora. Temo di avere svolto tanta corsa lenta e pochi ritmi allegri, più quantità che qualità e sostanzialmente nessun allenamento impostato sul ritmo maratona. Insomma, ho come l’impressione che l’aver cambiato metodologia di preparazione non abbia portato grandi frutti, per quanto la principale responsabile dei miei risultati non possa che essere io stessa.

Punto 2: questa pulce nell’orecchio proprio non ci voleva! Io già mi consideravo in letargo dal prossimo lunedì, mentre ora sono stuzzicata dall’idea di riprovarci e Firenze mi gira in testa. No, no, no!!! Non devo assolutamente pensare al dopo: concentrazione fissa solo ed esclusivamente su domenica, perché deve essere e sarà una grande giornata. Punto.

lunedì 22 ottobre 2007

Ultimi giorni

Ultima settimana di lavoro prima di una sosta rigenerante.
Sono tesa, preoccupata, eccitata? Non lo so… Davvero, non saprei definire il mio stato d’animo. Oserei dire che sono abbastanza serena, ma cosa in realtà bolla nel mio inconscio resta un’incognita. Non so cosa aspettarmi, non so cosa potrò dare: troppe incertezze, troppe lacune, troppi dubbi in tutti questi mesi. Difficile ricostruire il puzzle di una preparazione frammentata e altalenante. Solo una cosa è certa: devo lavorare di più sull’aspetto mentale, e credere di più in me stessa. Già. Come se fosse facile, per chi l’autostima a malapena sa cosa sia…
Questo freddo, poi, adesso proprio non ci voleva. Ieri mattina sono tornata dall’allenamento con le mani assiderate, non riuscivo nemmeno ad aprire la porta di casa, i guanti di cotone non sono più sufficienti. Che tristezza, in appena una settimana si è passati dalla canotta alle maniche lunghe, e presto svanirà il segno dell’abbronzatura – abbronzatura esclusivamente da podista (segni short-top-calzini), non avendo mai visto la spiaggia!

Ieri ho guardato Carpi in tv, quasi salto sulla sedia nel vedere Stefano! Accidenti, e chi lo sapeva? Non ho invidiato chi partecipava, non con quel clima. Ho anzi rivissuto, in un flash, l’esperienza traumatica dello scorso anno. Dopo un po’, però, sono stata assalita da un’ondata di nostalgia: i brutti ricordi sono stati scalzati da quelli felici di tre anni fa, quando corsi su quelle strade con immensa soddisfazione. Ed ho deciso che lo vorrò rifare, lo rifarò, magari alla prossima edizione. Resta però un groppo che si sta raggomitolando dentro di me con intensità crescente. Sento cioè la data di New York che si avvicina, e io, per la prima volta dopo cinque anni, non ci sarò. Quanto mi mancherà lo appurerò con precisione il 4 novembre. Quel pomeriggio farei meglio ad andare al cinema…

venerdì 19 ottobre 2007

previsioni...

Ahi ahi, gelo alle porte! Non poteva aspettare ancora una ventina di giorni?...
Meglio che non mi agiti, il 28 è già qui e, davvero, non vedo l’ora che arrivi quel giorno. Succede quando la data si avvicina: ormai non se ne può più dei soliti allenamenti, quello che è fatto è fatto e si vuole solo gareggiare. Ho davvero voglia di correrla, quella maratona, mi sento bella carica.
Non sarà la mia migliore prestazione, sicuramente non sarò soddisfatta, ma la finirò nel migliore dei modi attualmente possibili, per poi azzerare tutto e pensare al 2008 – che deve essere un grande anno.
Dovrò cambiare alcune cose, farò una revisione generale per partire sicura e positiva. So che posso ottenere ancora grandi soddisfazioni, dipende solo da me!

lunedì 1 ottobre 2007

"I suoi chilometri senza fine"

N. 276 - OTTOBRE 2007

Passione, amicizia, curiosità: sono questi gli elementi principali della formula che ha trasformato una semplice podista in un’atleta di alto livello.
Passione, ovviamente, per la corsa. Un amore che Roberta Monari, classe 1969, coltiva sin da quando, bambina, cominciò a seguire i passi del fratello Roberto, atleta delle Fiamme Gialle.
Correre senza obiettivi, senza limiti, senza altre ambizioni se non quella di continuare a correre. Piacere puro, spensierato, quasi ingenuo. Perché le gare, i traguardi e i trofei non sono altro che satelliti orbitanti attorno al fulgore di un gesto fatto di passi, respiri e orizzonti – sia fisici che mentali.
Una società sportiva di fiducia – per Roberta, il G.S. Pasta Granarolo - oltre a concedere sostegno e stimoli, offre opportunità di crescita e occasioni per misurarsi, con se stessi e con i compagni. Sempre con animo leggero, perché ciò che conta è appagare con entusiasmo l’istinto naturale della corsa. E quale migliore concentrato di euforia di quello che vivacizza l’atmosfera delle competizioni? Per quanto ognuno sia proiettato verso il proprio personale obiettivo, nonostante chiunque possa essere visto come potenziale avversario, empatia e comprensione avvicinano tutti i concorrenti. Basta poco per intendersi, per solidarizzare, per tessere un legame. Come quello che si è intrecciato tra Roberta e Katia: un’amicizia nata dalla corsa e saldatasi nella vita. Ma non solo. Katia Bianchini ha trasmesso a Roberta preziosi tesori: la sua brillante esperienza nel mondo dell’atletica (dove vanta, tra i tanti riconoscimenti, la vittoria alla Vigarano Marathon del 2005), e la sua forte determinazione. Grande amica e valida allenatrice, dunque. E i risultati possono ritenersi davvero sorprendenti.
Forse la più sorpresa è proprio Roberta, che per anni aveva corso senza la consapevolezza di quanto ampio potesse essere il suo margine di miglioramento. Con un più razionale metodo di allenamento e un più maturo approccio alle gare, le sfide si sono fatte ulteriormente allettanti. Sfida anche con se stessa, perché ora Roberta è curiosa di scoprire fino a dove potrà arrivare.
Con il secondo posto conquistato nell’ultima edizione della 100 km del Passatore (in 8h58’), ha automaticamente guadagnato anche la maglia azzurra, da indossare ai Campionati Mondiali della medesima distanza.
- Ho sempre avuto una predilezione per le lunghe distanze. Di “Passatore” ne ho già corsi sei, partendo sempre con un’ amica, che regolarmente staccavo dopo Marradi.
Sorride emozionata, ancora incredula dei successi che fioccano e delle attenzioni che la stanno abbracciando. Abbiamo deciso di incontrarla nel luogo che, a Bologna, funge da quartier generale per gli appassionati di ultramaratone: il negozio di Vito Melito, grande campione e generoso divulgatore di consigli e suggerimenti. E quale occasione più ghiotta per esprimersi al meglio, avendo davanti a sé un nuovo talento e la sua preparatrice? Mentre Katia e Vito si confrontano su tecniche e metodologie, cerchiamo di carpire da Roberta qualche segreto.
- Nessun segreto. Mi piace correre, ed è ciò che faccio da sempre. I recenti successi li devo soprattutto a Katia, che mi chiese di preparare insieme a lei la maratona di Ferrara del 2005: lei vinse e io arrivai terza. Da lì in poi, fu tutto un crescendo: dal 2h59’ all’ultima maratona di Firenze ai 73,320 km nella Sei ore di Seregno, fino al Passatore…
Verrebbe da pensare che simili risultati siano il frutto di allenamenti massacranti, di intere giornate trascorse a macinare chilometri, invece:
- Sono caporeparto in un’azienda metalmeccanica, mi alzo tutte le mattine all’alba per andare al lavoro e posso dedicarmi alla corsa solo verso sera. Non è che resti molto spazio per fare altro, ma io sono un tipo tranquillo e correre mi appaga a sufficienza.
Nessun’altra passione, dunque?
- Beh, confesso di avere un debole per i tatuaggi. Il decimo, fatto insieme a Katia, è dedicato ai Campionati Mondiali della 100 km.
Non chiediamo cosa rappresenti, senz’altro Roberta starà già pensando al prossimo.

giovedì 27 settembre 2007

Grigio

Giornata grigia.
Non tanto per il cielo plumbeo e l’echeggiare del tuono. O forse anche per quello, forse il clima burrascoso agita anche il mio animo e mi rende più cupa del solito.

Cleopatra, con molte probabilità, sarà da operare. Sabato sentirò un altro parere, ma le speranze sono molto flebili.
La mia auto, con molte probabilità, sarà da rottamare. E questo significa che dovremo tornare alla schizofrenica gestione del quotidiano con un’auto sola. Certo, siamo sopravvissuti fino all’anno scorso, sopravvivremo quindi per chissà quanto ancora. Però…
L’ufficio è sempre più asfissiante, lavoro privo di qualsiasi interesse e colleghi voltafaccia – possibile che, alle persone, basti salire di mezzo gradino per mutare carattere e personalità?!

Io mi sto dando da fare per conquistare sicurezza nelle mie forze e nelle mie potenzialità, poi mi piombano addosso piccoli e grandi guai che rovinano tutto. Guardo il mio estratto conto e mi metterei a piangere. Con quali soldi curo Cleopatra? Come riparo il danno dell’auto? A cosa devo rinunciare, ancora?
Mi sembra di fluttuare in una dimensione atemporale, quasi fossi in attesa che qualcosa accada, senza sapere esattamente cosa. So che dovrei reagire, ma non so come. So che dovrei cambiare qualcosa, ma non so dove e come intervenire. Avessi più coraggio, più sicurezza, più determinazione. Invece, sono solo capace di raggomitolarmi su me stessa e vedermi piccola piccola.

giovedì 20 settembre 2007

Mondiali




Tornata a casa sabato con la coda tra le gambe, mi sono resa conto di non essere sufficientemente stanca. Così, l’indomani, ho approfittato di una tapasciata per sfogare la mia delusione: mezza maratona non competitiva, corsa in scioltezza al ritmo che, ventiquattro ore prima, non ero riuscita a mantenere. Già, perché a Riccione mi sono mestamente ritirata al ventottesimo chilometro, dopo diversi passaggi troppo lenti per i miei gusti. Come attenuanti: il clima torrido, il percorso su circuito di due giri, la scarsa fiducia nelle mie possibilità. In definitiva, problemi più mentali che fisici. Non ho saputo affrontare la crisi con la grinta necessaria per poterla superare. L’immagine della strada che avevo ancora davanti mi ha abbattuto.
È andata così, ma mi sono già ripresa. Mi sento più forte e più combattiva. Verranno momenti migliori, e non dovrò aspettarli troppo a lungo.

venerdì 7 settembre 2007

venerdì 7 o 17?...

Uno scricciolo di dieci centimetri si e no. Rantolava come in preda alle convulsioni. In realtà, era appena stato colpito da un’auto, una di quelle che alla mattina hanno il fuoco dentro e che aggrediscono la strada come caterpillar. Prepotenza, arroganza, cafonaggine. È questo che mi circonda ogni mattina, non bastasse l’idea di andare al lavoro per innervosirmi.
Oggi, poi, quel corpicino martoriato… Avvistato quando mi era impossibile fermarmi. Ho svoltato alla prima rotonda, pochi metri più in là, pregando che fosse ancora vivo, già pensando al tragitto verso il pronto soccorso veterinario. Pochi minuti, fa che ci sia ancora, fa che possa salvarlo…
Troppo tardi. Lo vedo in distanza, già ridotto in poltiglia.
Perché non l’ho visto prima? Perché non sono riuscita a salvarlo? Piccolino, accidenti , cosa ci facevi in mezzo a quella maledetta strada? Maledetti voi, dove diavolo guardate quando siete dentro quelle scatole infernali?
Non riesco a liberarmi da questo magone. Giornata schifosa, che sarà interminabile: tutto il giorno in ufficio e, per finire in bellezza, all’ospedale da mio padre. Che almeno torni a casa presto, non sia mai che crolli anche mia madre.

Beh, sforziamoci di trovare note positive. Allora: la prossima settimana sono in ferie. Evviva! Niente viaggi, purtroppo, se non un breve tragitto verso un appuntamento mooolto impegnativo che, sono sicura, mi darà grande soddisfazione.

lunedì 3 settembre 2007

Disastro

Disastro totale.
Partita con le migliori intenzioni, forse avrei dovuto avere un obiettivo più preciso, forse dovevo stare più tranquilla, forse…Forse dovrei darmi all’uncinetto!
Buon ritmo per 5 km, l’avversaria mantenuta a distanza strategica, poi il tracollo: lento e progressivo. Catastrofico. Visto il passaggio al decimo, ho ritenuto inutile continuare lo strazio e sono tornata all’ovile con la coda tra le gambe.
Una bella botta, non c’è che dire. Proprio quello che ci voleva per abbattere ulteriormente un morale già abbastanza interrato. E adesso, dove voglio andare?
Un lavaggio del cervello, ecco cosa mi servirebbe, perché la mia testa continua a macinare formule negative, a dispetto di tutti i miei più combattivi propositi. Possibile che fosse solo una malignità del caso quel mal di testa che ha cominciato a martellarmi sabato sera, e che domenica mattina quasi mi ha impedito di alzarmi dal letto? Poi, però, sembra sempre di lamentarsi e trovare scuse. C’è poco da scusarsi: la situazione è pietosa. Punto.
Fermarsi per resettare tutto? E chi mi sopporta, se smetto di correre? Ci sarà un modo per uscire da questo stallo, deve esserci. E io devo trovarlo, perché non posso pensare che, senza una ragione, abbia già esaurito le mie potenzialità.
Stimoli, entusiasmo e fiducia: non so ancora come né dove, ma devo trovarli!

giovedì 30 agosto 2007

Correre

Incredibile, due note positive in un giorno solo! Dovrei forse ringraziare la coccinella che è rimasta un po’ sulla mia pelle, giorni fa?...
Prima emozione: il mio mega servizio su Correre. Accidenti, quanto è bello! Non mi aspettavo tante pagine, tutte mie. Chissà cosa penseranno i lettori, soprattutto quelli citati…Quanto a me, inutile esprimere ciò che spero: di certo, non dovrò limitarmi a sperare!
Seconda gratificazione: i tempi sulle ripetute, incredibilmente rispettati. Beh, in realtà un paio di volte ho un po’ sforato, ma con quel ventaccio temevo di non riuscire a combinare nulla. Ci voleva proprio questa sferzata di energia: adesso mi sento un po’ meno scarsa, e chissà che domenica…

A proposito di domenica, evidentemente ieri c’è stata la conferenza stampa di presentazione della gara. Stranamente, leggendo gli articoli pubblicati oggi, ho provato solo un cinico senso di distacco. Mentirei se dicessi che non sono curiosa di sapere come stanno andando le cose, quest’anno che io mi sono tagliata fuori dall’organizzazione, dopo 5 anni, ma non mi ha mai sfiorato il minimo ripensamento. Resta il rammarico per un sogno che è sfumato, nonostante lo sforzo e la perseveranza. Io, pur con i miei limiti, sono certa di avere tentato tutto il possibile, insistendo anche quando ormai era utopistico crederci. L’entusiasmo, che all’inizio era alle stelle, è andato affievolendosi anno dopo anno, fino ad esaurirsi del tutto. Difficile sintonizzarsi, quando si ragiona su livelli diversi. Perciò devo considerare definitivamente chiuso il capitolo. Questo, con molta probabilità, significherà non tornare più a New York. Ma, in fondo, cinque volte possono bastare. E pazienza se non avrò modo di riscattare il fallimento dello scorso anno: la mia maglia TOP 100 l’ho avuta, e di strade su cui correre è pieno il mondo.

martedì 28 agosto 2007

Perchè corriamo

Ho conosciuto Roberto Weber, l’autore di Perché corriamo. Una sana boccata d’ossigeno. Possibile che sia così difficile trovare persone che sappiano riempire di senso lo spazio di un incontro? Tanto difficile che simili occasioni acquistino il colore dell’incanto? Sarà che trascorro le mie giornate in un ambiente che definire squallido è un eufemismo…

Meno male che c’è la corsa. Già, meno male fino ad un certo punto, perché se continuo a perseguire una forma che non vuole arrivare rischio la salute mentale – oltre che quella fisica. Mah, vedremo cosa combinerò domenica, per quanto sia meglio che non ci pensi troppo, onde evitare di arrivare all’appuntamento già stressata.
Intanto, provo a godermi i mondiali di Osaka, nonostante i nostri non ci stiano gratificando granché. Peccato per Migidio: non che mi aspettassi tanto, ma almeno che la finisse. A questo punto, le donne potranno solo fare meglio.

martedì 21 agosto 2007

Ferie?

Questi giorni in ufficio sono completamente improduttivi, la mia è una presenza assolutamente inutile – e non solo la mia. Avrebbe più senso chiudere per ferie, ma il buon senso, qui dentro, è un concetto completamente sconosciuto.
Il problema è che… meno c’è da fare, meno ho voglia di fare. Nel senso che mi sto adagiando a questo vagheggiare, tanto che qualsiasi telefonata, mail o fax risulta sgradevole. È anche vero che nulla di gradevole può capitare su questa scrivania, ma mai come ora il lavoro mi disturba. Insomma, lasciatemi in pace, che devo gingillarmi nei fatti miei! E, per favore, non tornate mai più dalle ferie!

Certo, sarebbe decisamente meglio se partissi io per mai più tornare. Continuiamo così, facciamoci del male...

lunedì 13 agosto 2007

Istrice

Doloretti che continuano ad apparire, scomparire, riapparire in nuove forme e diverse aree. Condizione che non si trova, ritmo che va in calando, prestazioni sempre più scarse. Della serie: ma dove voglio andare?!
Aspettiamo pure che si riduca il caldo, e che io mi raddrizzi, ma l’impressione è che continui ad aspettare qualcosa che forse non arriverà mai. Come in quel viaggio in Tunisia (il mio viaggio di nozze!), un continuo girovagare alla ricerca di qualcosa impossibile da trovare, poiché inesistente…

Però, qualcosa di fantastico ieri sera l’ho trovato: una vera apparizione, di quelle che non ti aspetti e ti lasciano interdetto, a chiederti se i tuoi occhi abbiano realmente visto qualcosa o se invece si sia trattato di uno scherzo della tua immaginazione.
Guidavamo sulle pendici della Val di Zena, alla ricerca di un luogo tranquillo dal quale poter scrutare il cielo e le sue stelle cadenti. Quando, ad un tratto, i fanali illuminano una strana figura che procede tranquilla sul ciglio della strada. Fermi tutti! Mai visto niente del genere! Un grosso quadrupede con una cresta di lunghissimi aculei: senza ombra di dubbio, un istrice! Mi sporgo dal finestrino per osservare meglio, lui passa accanto all’auto e prosegue il suo cammino, quasi senza curarsi di noi. Non corre, non sembra un animale in fuga. Forse è un po’ disorientato a causa dei fari e certamente è spaventato, ma non lo dà a vedere più di tanto, non fosse per l’acuminata criniera vistosamente esibita.
Io e Jader ci guardiamo, allibiti e increduli. Chi era a conoscenza dell’esistenza di simili animali, dalle nostre parti? Visto questo, chi se ne importa più delle stelle?...

Mi piacerebbe poter credere che sia stato un incontro di buon auspicio. In fondo, l’istrice un po’ mi assomiglia…

giovedì 9 agosto 2007

testardaggine

Io insisto, cercando di convincermi che passerà, che tornerò in forma…
Ma per quanto, ancora? Ancora per quanto ha senso sperare che i doloretti passino, che il dannato circolo vizioso via uno avanti un altro abbia definitivamente termine? Fermarmi ancora, a tempo indeterminato? Senza sapere che cosa accidenti abbia, senza sapere dove sbattere ancora la testa dopo averle provate tutte e speso un capitale?
Stringo i denti e vado, ho la testa dura e finché non si rompe…

lunedì 30 luglio 2007

Vigarano Half Marathon 2007

N. 278 - DICEMBRE 2007

Oltre mille atleti hanno onorato la XXIV edizione della Vigarano Half Marthon. Da ogni parte d’Italia, società podistiche al completo hanno raggiunto in pullman la località ferrarese per partecipare alla gara, valida come Campionato italiano Master di mezza maratona.
Qualche problema di sovraffollamento in area di partenza, dovuto alla massa di corridori scalpitanti, si è subito risolto con lo sparo: migliaia di gambe sono libere di sfogarsi sul percorso che lambisce il territorio di Vigarano Mainarda. Il circuito, strutturato su due giri, è decisamente scorrevole; potrebbe risultare monotono a chi prediliga contesti cittadini, apprezzato invece dai podisti che amano spazi aperti e paesaggi di campagna. Il pubblico, molto vivace nella piazza del paese, contribuisce a sostenere lo sforzo. Sforzo gestito magistralmente dai vincitori, mai troppo impensieriti dagli avversari: Donatella Vinci stacca di oltre un minuto la seconda arrivata, Marina Gorra, a sua volta seguita da Souma Spiridoula. Analogo copione per il primo uomo, Maurizio Medri, che precede agilmente Rossano Altini e Giuseppe Gallitelli. Di questi, Donatella Vinci e Rossano Altini salgono una seconda volta sul podio, aggiudicandosi anche il titolo di campione italiano Master di mezza maratona nelle rispettive categorie – da notare che Altini ha recentemente conquistato la medaglia d’oro sui 10000, ai Campionati Mondiali Master di Riccione.
Amatori protagonisti, dunque, a dimostrazione che non sono solo ingaggi e montepremi a fare i numeri.

venerdì 27 luglio 2007

Castelbuono

Che delusione…

Stefano non è mai stato in gara, che tristezza vederlo arrancare nel gruppetto che inseguiva lo spagnolo. Ma c’era proprio bisogno di sfiancarsi su un simile percorso? Penso che lui si possa tranquillamente permettere di rinunciare a qualche ingaggio. Va bene che, in questa fase della sua carriera, lui voglia sparare tutte le cartucce ancora a sua disposizione ma, proprio per questo, non sarebbe meglio selezionare le occasioni che possano garantire risultati più soddisfacenti?
Comunque, che spettacolo questo Martinez. Partito sparato come dovesse correre un 800 in pista, ha mantenuto la stessa eleganza durante tutta la gara, permettendosi persino di esultare scherzosamente con il pubblico in prossimità dell’arrivo. Confesso che tutto ciò mi lascia un po’ perplessa, ma sul lato estetico nulla da eccepire.

giovedì 26 luglio 2007

Bradipo

Domenica un lungo pietoso, mai andata così piano. Va bene, si annaspava anziché respirare, va bene che per tutta la prima parte avevo il vento contrario, ma… se fossi io ormai andata a male?
Di certo, domenica prossima anticiperò l’allenamento di almeno un’ora, sperando che serva a qualcosa.

Se solo questa testa riuscisse a liberarsi dalla maledetta folla di pensieri negativi, e riuscisse a convincersi che, accidenti, sto bene e posso ancora ottenere buoni risultati… Una flebo di ottimismo mi servirebbe, altro che integratori!

Beh, ieri ho fatto un bel lavoro intervallato, oggi corsetta tranquilla nella canicola. E sì, voglio finire prima che inizi il collegamento di Rai Sat: è da tanto che non vedo Stefano correre e un po’ di belle emozioni non possono che farmi bene.

giovedì 19 luglio 2007

Pipistrello

Caccia grossa, ieri sera. Un pipistrello è entrato in camera da letto, non era mai successo prima. Poverino, non riusciva a ritrovare la finestra per uscire. E l’uomo di casa ha pensato bene di chiudere la porta, sperando che l’animaletto si arrangiasse da solo. Speranza vana. Così mi sono armata di scopa e ho cominciato a ramazzare l’aria, tentando di spingerlo all’esterno. Che fatica! Anche la povera bestiola era spossata, tanto da appendersi al soffitto per riprendere fiato. Ma, alla fine, la durissima impresa è andata a buon fine. Non avevo mai avuto un incontro così ravvicinato con un pipistrello, interessante esperienza.

Oggi mi aspetta un allenamento massacrante, che dubito riuscirò a compiere adeguatamente. Pare che con simili temperature sia normale rallentare fino a 10”/km, un po’ mi consolo, ma fatico a non sconfortarmi quando sforo le previsioni. Almeno non ci fosse il solito insopportabile vento!

mercoledì 18 luglio 2007

Estate

Ieri sera 15 km con 35° e vento contrario per metà percorso: ho arrancato sul finale, poi mi sarei tuffata in un acquedotto. Vabbè, comunque sia, evviva l'estate!

A proposito di estate: voglio la messa al bando dell'aria condizionata!!! In questo schifo di ufficio ci saranno 15°, neanche d'inverno fa così freddo, e quando esco rischio il collasso. Ma si può??? Poi ci si riempie la bocca di parole per la difesa del pianeta!...

Sempre sull'estate: mio marito ha comprato uno scooter per me, ma io non lo so usare, o meglio, non lo so mettere sul cavalletto. Credo di essere l'unica imbranata al mondo! Ci sono ragazzine con moto giganti e io non riesco a spostare un banale 125. Ci ho provato, più di una volta, ma non c'è nulla da fare, mi sono procurata solo un gran mal di schiena! Meno male che lo usa lui, ma che vergogna...

lunedì 16 luglio 2007

Caldo

Mi dispiace proprio doverlo ammettere, ma è tristemente evidente: il caldo sta condizionando il mio rendimento. E questa settimana sono previsti 36 gradi di massima. Chissà se mi abituerò e se sopporterò meglio la fatica dei lunghi…

Ma si, li ho sempre fatti! Del resto, l’idea di correre tanto in Val di Zena mi esalta talmente che dovrei sentire meno lo sforzo. Ieri, poi, ho visto anche uno scoiattolo: era rossiccio, con una enorme coda. Stava in mezzo alla strada e non sembrava per nulla spaventato, ho dovuto fare schiamazzi per costringerlo a spostarsi. Bellissimo (ma non pensiamo al Central Park…)

domenica 15 luglio 2007

Racconto: Il Passatore

N. 273 - luglio 2007

Avevo 17 anni. La breve età in cui chiunque è immortale.
Nulla mi appariva più lungo, lento e noioso del margine che ancora mi separava dalla fatidica soglia, superato la quale avrei potuto rivendicare a pieno titolo i miei diritti di adulto. Dovevo sopportare ancora per diversi mesi l’assurdità di divieti e limitazioni che, da un giorno all’altro, avrebbero perso qualsiasi significato.
Devi essere maggiorenne per poter partecipare. Ti porterò con me quando avrai diciott’anni. Per il tuo compleanno ti regalo l’iscrizione ad una gara. Ecc. Ecc.
Mio padre non faceva che ripetermelo. Dovevo avere solo un po’ di pazienza, ormai non mancava tanto. Peccato che il fatidico giorno ricorresse nel mese di giugno, cioè due settimane dopo l’evento sul quale lui – e, di conseguenza, tutta la famiglia – investiva il frutto degli sforzi di mesi e mesi. Per due sole stupide settimane avrei dovuto rimandare di un anno intero ciò che sognavo da una vita.

Il segnale era la coda di Birba: quando cominciava a scacciare le mosche, capivo che papà stava arrivando. Correvo subito alla finestra, volevo essere lì prima che lui alzasse lo sguardo per cercarmi. Dovevo essere pronto a ricevere il suo saluto festoso, ad accogliere il suo arrivo trionfale, ad esultare per quel cappellino sventolato al cielo, che sarebbe di lì a poco finito sulla mia testa.
Questo rito segnava la fine del giorno: lasciati compiti, amici e giochi, entravo nel mondo del crepuscolo e delle favole, mondo del quale mio papà era il sommo principe. Erano certo grandi imprese quelle che lo rendevano così affannato e sudato, ed ero sicuro che assistendolo avrei potuto assimilare il suo valore per poter anch’io, prima o poi, sostenere simili prove. Così, osservandolo di sottecchi attraverso la visiera che mi scendeva sugli occhi, cercavo di imitare i quegli strani gesti con gambe allungate di qua e di là, piegato, disteso e poi ancora piegato. Birba ci guardava stranita, ma ormai aveva imparato che non doveva azzardarsi a saltarci addosso, non era questo il momento di giocare. Terminati gli esercizi, arrivava il momento per me più impegnativo, quello che mi vedeva investito di una grande responsabilità: dovevo prendere il suo quaderno e trascrivere i dati che lui mi dettava. Numero di chilometri, ore minuti e secondi, condizioni meteorologiche e considerazioni di vario genere su soddisfazione, fatica o eventuali acciacchi. Gli riconsegnavo poi il diario, pronto a rispondere all’immancabile domanda: Quanto manca? La mia trepidazione per il grande evento era pari alla sua, se non più intensa. A mano a mano che la data si avvicinava, cominciavo a trascurare gli amici, sempre meno interessato ai tiri al pallone: volevo accostarmi il più possibile a lui, al suo spirito, alle sue sensazioni. Pensavo che, dimostrandogli che potevo emularlo, si sarebbe sentito ancora più forte. L’orgoglio di avere un fedele seguace, nonché un degno erede, non poteva che renderlo più sicuro delle proprie capacità. E questo, oltre a rappresentarlo invincibile ai miei occhi, avrebbe fornito sempre più concretezza al mio sogno: quello di correre con lui. Solcavo il perimetro del campo di calcio, mentre i miei compagni schiamazzavano nelle loro partite. Giravo e giravo attorno come un criceto nella ruota, senza stile né ritmo, fino a sfinirmi. Ma mi guardavo bene dal lasciar trapelare qualsiasi segno di stanchezza quando lui rientrava dall’allenamento: non solo perchè la sua eroica fatica doveva trovare un forte e pronto supporto, ma anche per non rivelare prematuramente i miei propositi. Doveva essere una sorpresa, tale da fare luccicare i suoi occhi: per lo stupore di trovarmi al suo fianco in pantaloncini e canotta e per l’orgoglio di avere un nuovo, fedele, insostituibile compagno di corse.
Non ho mai capito cosa non avesse funzionato nei miei piani. Probabilmente sapeva da sempre che non avevo mai calciato un pallone, o forse la sua era semplice e geniale intuizione paterna. Fatto sta che, per la promozione in prima media, ricevetti in regalo un fiammante paio di scarpe da corsa. Non l’avesse mai fatto! Come poteva pretendere, ora, che lo aspettassi buono e tranquillo alla finestra? Le mie gambe ben carburate scalpitavano, i miei piedi fremevano nel nuovo rivestimento, il mio impeto cercava sfogo e soddisfazione. Anziché attenderlo al varco, iniziai a corrergli incontro, e ben presto l’ultimo tratto del suo rientro diventò una sfida a chi toccava per primo il muro di casa, con Birba che incitava abbaiando vivacemente. Non so quando smise di lasciarmi vincere, quando il suo sforzo si fece reale e le mie vittorie, da semplice gioco, divennero una vera e propria conquista. Di certo, la strada per incontrarlo si allungava sempre di più, e sempre più esteso era il percorso che condividevamo.
Mi guadagnai così la partecipazione alle manifestazioni domenicali dove, però, dovevo accontentarmi dei circuiti ridotti, riservati ai ragazzini e a quelli che non volevano impegnarsi troppo, mentre papà esprimeva il suo talento sulle prove competitive. A me non era permesso, non ancora. Incapace di placare la mia irrequietudine, vivevo emotivamente le gare, condividendo le gioie e i dolori del mio mentore. Saltavo e urlavo come un clown quando lo scorgevo approssimarsi ansimante al traguardo, liberando finalmente tutta l’ansia dell’attesa.
Attesa che aveva un sapore quasi surreale in quella tanto sospirata notte di maggio. Cento chilometri sono un’eternità, un abisso, follia pura. Quale pazzo ambirebbe a correre per cento chilometri? Eppure, i pazzi sono tanti, centinaia, e mio padre è uno di loro. Ovvio che io abbia sempre considerato questa sua passione tutt’altro che perversa: quella che, immancabilmente, lui realizzava ogni anno, era per me l’impresa delle imprese. Del resto, un evento intitolato al mitico Passatore non poteva che evocare memorabili gesta. Trascorrere la notte nella piazza di Faenza era ormai un appuntamento fisso. I primi atleti cominciavano ad arrivare in tarda serata, e a stento si poteva credere che fossero partiti da una città tanto lontana come Firenze. Sotto il traguardo si snocciolavano podisti più o meno provati dalla fatica. Io li osservavo attentamente, uno a uno, soffrendo per loro e, soprattutto, per il “mio” podista, quello che chissà a che punto si trovava del percorso e chissà in quali condizioni… Sapevo che l’avrei abbracciato solo sul fare del giorno, ma ugualmente pativo alla vista di ogni figura che si stagliava nel buio della strada, in prossimità della piazza.
Quell’anno, però, l’idea di stazionare ore e ore nel centro di Faenza non mi dava pace: non riuscivo a rassegnarmi al fatto che non potessi ancora correre con lui, solo a causa di una stupida beffa del calendario. Supplicai mio padre affinché mi permettesse di accompagnarlo anche senza essere iscritto, ma lui non volle sentire ragione. Giustamente, voleva evitare che mi sottoponessi ad uno sforzo per me ancora prematuro, ma alla mia mente giovane e ardita un simile divieto suonava come un’incomprensibile crudeltà. Insistendo con bronci e mugugni, riuscii ad ottenere almeno una concessione: quella di seguirlo in motorino, così da tenere sotto controllo ogni fase della sua prova ed essere pronto per qualsiasi evenienza. Salito sul camper dei suoi compagni di gara, ero già in fibrillazione. Una volta a Firenze, fissai con un groppo in gola il folto gruppo di atleti schierato alla partenza, prima di allontanarmi sul mio mezzo, precedendoli sul percorso per non essere di intralcio. Non mi rendevo ancora conto di quanto avrei penato, anch’io, nello stare tante ore su una sella, procedendo ad un ritmo che, sulle due ruote, risultava insopportabilmente lento. Avevo però modo di distrarmi: scrutando papà e immaginandomi nella stessa situazione. Quanto avrei sofferto, quanto avrei alleviato la sua fatica, quanto avremmo potuto confortarci a vicenda? Così fantasticando, i chilometri, scorrevano fluidi, sotto un sole che sfumava gradatamente, mentre le ombre dei podisti si allungavano, rade, sulla strada. Il buio piombò all’improvviso e, quando il motore si fece particolarmente rumoroso, capii che iniziava la salita: quella famigerata cima della Colla di cui tanto avevo sentito parlare. L’incubo di tutti coloro che osavano sfidare il Passatore, il punto in cui tanti cedevano: ma, una volta superato quel limite, l’arrivo era già a portata di mano. Sapevo che papà avrebbe affrontato di passo il duro ostacolo, quindi non mi meravigliai quando lo vidi rallentare. Ma quando si accasciò, appoggiato ad un albero, saltai subito in suo soccorso. Lui mi allontanò, temendo che il mio intervento potesse comportare una sua squalifica. Sto bene, disse, solo un po’ stanco. Ma non si decideva a ripartire. Senza troppo indugiare, mi dimenticai del motorino e, dopo averlo invitato a seguirmi, cominciai a correre piano piano davanti a lui. Non sprecò fiato per chiedermi che cosa stessi facendo, ma riuscì a rimettersi in strada e a riprendere il suo cammino. Bravo papà, così si fa! Procedeva lentamente, con me che lo precedevo di un passo, a fargli da traino. L’aria era fredda, nera e ostile, ma noi eravamo forti e determinati. Invincibili. La discesa era lì, palpabile, e Faenza, in fondo, non era tanto lontana. Di nuovo di corsa, ora, papà sempre dietro di me. Non avevo l’abbigliamento giusto, ma che importava? A quell’ora, su quelle strade, nessuno ci avrebbe fatto caso. Il cielo gradatamente ammorbidiva i suoi colori, segno che la distanza si stava via via accorciando. Io davanti, papà a ruota. Un lungo rettilineo e la piazza in fondo. Uscii dal percorso quando ormai l’impresa era compiuta, lasciandolo solo, per il suo personale trionfo. Per la prima volta non lo vidi tagliare il traguardo. Per l’ennesima volta, invece, lo sentii inveire contro il Passatore, giurando e spergiurando che non l’avrebbe mai più affrontato. Sapevo che, dopo una dormita, avrebbe subito cambiato idea. E sapevo che la stessa dichiarazione, di lì ad un anno, l’avremmo fatta insieme.

venerdì 13 luglio 2007

Pessimismo

Una settimana di ferie, in totale immersione nella mia più grande passione, è volata in un soffio.
È bastato un giorno, anzi, un’ora di lavoro per inquinare tutto, per annientare il benessere assorbito durante quella breve parentesi. Come è facile deturpare il bello e come è triste adattarsi al grigiore dopo avere goduto di tanta luce. Lo ammetto, sono io a non riuscire ad eliminare dalla mia visuale la patina scura che precede ogni mio passo: sono io quella che dovrei cambiare atteggiamento mentale, aprirmi ad un maggiore (e più salutare) ottimismo. Lo so. Ma non ne sono capace. Conosco la cura ma non so seguire le prescrizioni. Pessimista cronica – per non dire cosmica…

lunedì 2 luglio 2007

Ma dove corrono i bolognesi

N. 272 - giugno 2007

A qualsiasi ora del giorno, qualunque strada si transiti, a Bologna si incontra gente che corre. Basta dare un’occhiata all’asfalto per notare, ai margini delle carreggiate, numeri tracciati con la vernice, in ordine progressivo, a distanze regolari: i segni dei runner che hanno misurato il proprio terreno di allenamento. Si tratta di circuiti più o meno lunghi, realizzati da quei podisti che non vivono nelle immediate vicinanze di un parco pubblico – e potrebbe essere curioso stilare un elenco di questi percorsi personalizzati, raccogliendone le descrizioni dai diretti interessati.
Certo, dovendo fornire suggerimenti sui luoghi deputati alla corsa, non si possono che citare i principali parchi bolognesi: dai Giardini Margherita, polmone verde della città, ai Parchi dei Cedri e della Resistenza, in prossimità di San Lazzaro di Savena, fino al Parco Talon, ricco e boscoso, a Casalecchio di Reno. Esiste poi una rete di piste ciclabili, molto utilizzata anche dai podisti, e una serie di altri percorsi nel verde, alcuni dei quali recentemente ristrutturati.
Uno di questi si sviluppa su un tracciato di grande valore storico, oltre che ambientale. La ciclovia del Navile, infatti, segue il corso dell’omonimo canale realizzato in epoca medievale e utilizzato sia ai fini della produzione energetica che per la navigazione. Partendo dal parco di Villa Angeletti (accesso da via de’ Carracci, ampio parcheggio), si attraversa Via Gagarin per immettersi nell’ambiente fluviale. Si supera il Sostegno del Battiferro, attivo complesso industriale fino al XX secolo, oggi centro tecnologico e mussale poi, sempre seguendo il Navile, oltrepassati il Sostegno del Torreggiani e quello del Landi, si giunge ad una biforcazione del sentiero, che torna a riunirsi presso il Ponte della Bionda - suggestiva struttura in pietra, fresca di restauro. Attraversata via dei Terraioli, il percorso termina al Porto di Corticella – da notare il Ponte del Vignola, di inizio ‘800. Si sono così corsi circa 4,7 km, che sarà un piacere ripetere per il ritorno.
Tra gli interventi di recupero dell’antica Bologna “città delle acque”, c’è anche il progetto di valorizzazione ambientale e turistica delle aree attraversate dal fiume Reno. Appena fuori Bologna, nel comune di Castel Maggiore, si può correre lungo i sentieri di uno dei frutti di tale progetto: il Parco Fluviale di Trebbo di Reno. Tre i percorsi, tutti ben segnalati, con partenza presso la rotonda di via Byron (dietro la chiesa): un anello di 2,2 km che segue l’ex cava, uno di 4 km tra la golena e l’argine, e un rettilineo di 5,5 km che, sempre seguendo l’argine, giunge fino ai laghetti in località Boschetto (ritorno sul medesimo percorso dell’andata). Nel mese di settembre si svolge qui l’EcoMaratona del Medio Reno, una gara a staffetta (6x7,033) organizzata dalla UISP Provinciale.
Chi invece non vuole spostarsi troppo dal centro della città, ha a disposizione i Giardini Margherita (accesso principale da viale Gozzadini, tra le porte Castiglione e Santo Stefano), il parco bolognese per antonomasia, meta prediletta anche da chi desidera semplicemente godersi una passeggiata in un luogo ameno, con tanto di laghetto artificiale. Diverse manifestazioni sportive hanno proprio nel parco il loro punto di riferimento. Tra queste: la Maratona dei Castelli Medievali (25 aprile), con partenza da Vignola e arrivo, appunto, ai Giardini, e la UnicreditBanca Rune Tune Up - La mezza maratona di Bologna (prima domenica di settembre), che fa convergere nei Giardini l’intero evento – centro gara, partenza e arrivo. Al di fuori delle occasioni agonistiche, i podisti possono correre sul tracciato asfaltato che abbraccia l’intero perimetro del parco, per un totale di circa 1,6 km.

domenica 1 luglio 2007

Istantanee da Milano - Campionati italiani master su pista 2007

N. 275 - settembre 2007

PER CASO
L’asfalto è generoso: sempre disponibile, immancabile, prontamente utilizzabile. Accessibile in ogni stagione, a qualsiasi ora, con qualunque condizione atmosferica.
Sull’asfalto muovono i primi passi i principianti della corsa. Alcuni presto l’abbandonano mentre altri, altrettanto presto, ne divengono dipendenti e si impossessano della strada. Misurano percorsi, contrassegnano distanze, creano variazioni. Ognuno ha un proprio giro classico e diverse percorrenze alternative, e anche le gare sono scelte in base alla conformità del tracciato, considerandone lunghezza, altimetria e fondo stradale.
La pista, per gli amanti della corsa su strada, è un mondo a parte. Molti ne ignorano completamente l’esistenza, alcuni si sforzano di utilizzarla per qualche allenamento specifico, altri ancora si spingono a cimentarsi in prove competitive – chi per curiosità, chi per dovere verso la propria società e chi, semplicemente, per caso.
Difficile, infatti, resistere al richiamo di un trofeo o di un campionato, magari di livello nazionale, quando la manifestazione ha sede ad un passo da casa. Soprattutto se si è già ben allenati e se non si contano ormai più le soddisfazioni ottenute nelle gare su strada. Così è per Donatella Vinci, atleta milanese categoria MF40 che vanta, tra i vari titoli, un secondo posto agli ultimi campionati italiani di corsa su strada nella distanza dei 10km (36’44”). “Vivo qui, come potevo non partecipare? Ma da domani torno all’asfalto e allo sterrato, la pista proprio non fa per me”. Sarà. È vero che le sue scarpe modello A2, uniche in un parterre di chiodate, rivelavano l’estraneità di Donatella a questo genere di prove. Ma che dire, allora, del suo terzo posto nei 1500mt?
Chi accede ad un campionato Master in pista, conoscendo solo la strada, è un po’ un alieno caduto su un altro pianeta. Specialità fino ad allora viste solo in tv, nelle performance dei grandi campioni, assumono una diversa fisionomia e tutto rientra in una nuova dimensione. Più tangibile, forse, magari più reale, senz’altro più umana. Un centrifugato di storie ed esperienze che genera energia, un’energia palpabile e contagiosa, che rimbalza tra un salto e una partenza, tra un lancio e una volata. In uno spirito che non considera né anagrafe né categorie, e unisce tutti i partecipanti in un’unica generazione.

PER PROVA
C’è chi aspetta di essere “grande” prima di cimentarsi in un campionato di livello nazionale. Forse non si è mai sentito sufficientemente pronto, o magari si è dilungato nell’attesa dell’occasione giusta, oppure semplicemente non aveva ancora preso in considerazione l’idea.
Svariati possono essere i motivi che spingono a rimandare l’ingresso a competizioni di tale rilevanza, ma tra essi è senz’altro da escludere un’eventuale tardiva preparazione. Con la pista non si scherza, e i gesti atletici che sono emersi nelle corsie dell’Arena Civica non sono affatto frutto di improvvisazione. Del resto, basta ascoltare i commenti a caldo sulle singole prestazioni per avere conferma dell’alto grado di preparazione di questi atleti. Come Dario Gasparo, categoria M45, già emerso in altre occasioni, ma al suo esordio in un contesto nazionale: e che esordio! Suo il titolo di campione italiano sia sui 400mt che sui 400 ostacoli (pur avendo riscontrato alcune difficoltà nell’impostazione del ritmo, a causa dell’elevata elasticità della pista). Dario voleva provare, innanzitutto a se stesso, quale prestazione avrebbe potuto realizzare, alla sua età, in un simile ambito. Ma, al di là del proprio risultato e della personale soddisfazione, a colpire la sua sensibilità è stata la percezione del prodigarsi di tante persone in una sfida contro la forza del tempo – tempo inteso, stavolta, non come esito cronometrico, né come clima, bensì come scorrere degli anni.
Per scoprire chi sia il vincitore di tale sfida basti osservare questi atleti. Scrupolosi nel calcolare la suddivisione dei segmenti della superficie sulla quale compiere il triplo salto, pignoli nel contare i passi tra un ostacolo e l’altro, esigenti sulla precisione di misure e risultati. Non c’è spazio per l’approssimazione, né tanto meno per la distrazione. L’importante è partecipare, è vero, possibilmente divertendosi. Ma ciò non toglie che il campionato sia una cosa seria, alla quale

dedicare il meglio di sé, indipendentemente dalla categoria di appartenenza. Ecco perché quel famigerato tempo, che avrebbe la presunzione di spuntarla nell’impresa di fiaccare gli animi e smorzare gli entusiasmi, qui è costretto a chinare la testa, impotente. Inutile sfidare un’energia che non ha età e che, anzi, proprio dall’età trae le sue risorse. Poiché è proprio la determinazione dei veterani ad alimentare la grinta dei più giovani, dando vita ad un circolo virtuoso ricco e inesauribile.

PER SFIDA
Una volata tirata alla morte, il traguardo tagliato davanti a tutti, la medaglia di campione italiano al collo. Eppure, nessuno slancio di gioia: sul volto crucciato solo fatica e delusione. “Mi sentivo in gran forma e contavo di migliorare il mio record, ma non ci sono riuscito”, lamenta Alessandro Cipriani, già detentore del primato italiano M50 nei 400 ostacoli.
Duro agonismo e competizione sfrenata: i Master sono anche questo. Agguerriti nella ricerca del risultato, ma mai del tutto soddisfatti, perché si poteva sempre dare di più: chiudere in un tempo inferiore, saltare con maggior precisione, gestirsi con tattica superiore. Davvero l’importante è partecipare? Essere presenti, certo, non mancare nessun campionato, restando però sempre concentrati sull’obiettivo principe: migliorare.
Qualcuno pensa che, dopo una certa età, sarebbe più opportuno limitarsi alla tapasciata paesana, accontentandosi di portare a casa una confezione di pasta o di caffè. Come se esistesse un tempo massimo, superato il quale qualsiasi impegno agonistico apparirebbe privo di senso. Prive di senso risulterebbero invece proprio tali idee, se messe a confronto con i pensieri e le espressioni che colorano questi campionati. Il saltatore che impreca per un millimetro mancato, l’ostacolista che si ostina su un passo perduto, la mezzofondista assente alla premiazione perché chiamata al controllo antidoping. Dove sta la differenza tra queste competizioni e quelle degli atleti professionisti? Cambiano i numeri, ovvio, ma non l’atmosfera: concentrazione, grinta e determinazione sono le stesse.
La tensione verso il risultato è talmente decisa che è facile assistere a veri e propri litigi tra giudici di gara e atleti, qualora questi ultimi non reputino regolare una misurazione. Fino ad arrivare a mettere in discussione persino la validità del foto finish: quando si è saldamente convinti del valore della propria prestazione, neppure la tecnologia fornisce certezze.
Vincitori e vinti, conclusa una gara, già pensano al prossimo campionato. E dopo quello italiano, la sfida si apre sul fronte mondiale. Per molti non sarà affatto una novità, girare il mondo alla caccia del risultato per i più è ormai consuetudine. Ma quest’anno si gioca in casa, quindi le aspettative sono più alte. Chissà chi sarà la più generosa con i nostri atleti azzurri, tra Riccione ed Osaka?

PER COSTANZA
F75, M80, M90. Sigle che fanno rizzare i capelli. Inimmaginabili, fino a quando non si abbia la fortuna di assistere alle prove di questi atleti, e di incontrare sul campo le loro espressioni di allegria e serenità. Si incontrano e si confrontano da generazioni, campioni che, possiamo affermarlo, hanno fatto la storia dell’atletica. I loro aneddoti riuscirebbero a riempire pagine su pagine. Evidentemente, l’esercizio fisico influenza positivamente anche la memoria, considerata la disinvoltura con cui snocciolano nomi, record e annate. È un piacere ascoltare Ottavio Missoni, un solare “under 90”, che ricorda di quando, sedicenne, si aggiudicò l’oro nei 400mt: proprio sulla pista dell’Arena Civica, esattamente settanta anni fa. O Bruno Sobrero, classe 1920 il quale, pur lasciando trapelare un pizzico di nostalgia per certe mitiche staffette, promette scintille ai mondiali di Riccione, dove gareggerà anche nel decathlon. Per tacere, poi, di Giuseppe Ottaviani, categoria M90 (per la precisione, anno 1916): i suoi 100mt in 22”06 parlano da soli.




Quanto al settore femminile, inutile precisare che queste atlete non hanno nulla da invidiare agli uomini di analoga categoria. Anzi, a ben vedere, si potrebbe sostenere che l’unica nota di leggera invidia è quella provata dalla sottoscritta, la quale dubita fortemente di essere in grado di raggiungere, ora come ora, risultati simili a quelli ottenuti da queste campionesse - campionesse che, senz’altro, hanno dovuto lottare non poco per ritagliarsi, nel quotidiano, lo spazio sufficiente ad allenarsi.
Infinita costanza, rinvigorita dai risultati e dalle soddisfazioni. Ma anche dal piacere di ritrovarsi: avversari in uno sprint e compagni in una staffetta, antagonisti su una certa distanza e tifosi l’uno dell’altro su una diversa, ad applaudirsi reciprocamente sopra e sotto il podio.
Se i giovani Master stupiscono per l’elevato livello atletico delle prestazioni, sono però le categorie più anziane ad arricchire di senso questi campionati. Perché, se anche con pantaloni di spugna o calzettoni di cotone si possono stabilire invidiabili primati e se, al di là dei risultati, lo spirito e l’energia non si lasciano intimorire dal tempo che avanza, non è assurdo ipotizzare che chiunque possa ambire al proprio momento di gloria, avendo soltanto la voglia e il coraggio di mettersi alla prova. Un messaggio, forse banale ma necessario, ai ragazzi che si affacciano al mondo dell’atletica: quale più fruttuosa lezione di una giornata da spettatori, in un simile contesto?

PER PASSIONE
“Spostatevi, se no mio marito non riesce a fotografare”, esorta un’atleta dall’alto del podio, rivolgendosi a giudici e fotografi che oscurano la visuale al signore che la sta ammirando, aggrappato alla rete che separa la pista dalla tribuna.
Amore per la corsa e amore per chi corre: passioni che si intrecciano, si fondono, a volte si scontrano.
Passione, appunto. Quella che si legge sui volti degli atleti che abbiamo incontrato, che illumina i loro sguardi e vivacizza le loro parole. Anche se non viene nominata, è evidente che sia lei, qui, la protagonista: in sua assenza, mancherebbero sfide e risultati. Privato del motore primo del proprio meccanismo, qualsiasi sport non avrebbe modo di esistere.
I Master, si sa, non possono permettersi di vivere di atletica. Ciò non toglie che abbiano organizzato la loro vita in modo che non vengano mai a mancare i momenti per dedicarsi a ciò che più li rende vitali: perché mai come in quelle ore di corsa (o in quel salto, o in quel lancio), ci si sente così intensamente e totalmente se stessi. È questo ineffabile e indefinibile senso di appagamento che rende possibili sacrifici altrimenti impensabili – e a molti incomprensibili. E spiega anche perché tanti atleti non perdano occasione di misurarsi in contesti competitivi, nonostante svariate avversità abbiano loro impedito di prepararsi adeguatamente. La passione è contagiosa, e l’adrenalina che impregna l’atmosfera del campo di atletica lo è ancora di più: chi ne è assuefatto, non saprà farne a meno.
Malato di corsa, in quanti se lo saranno sentiti dire. Tra i tanti, certamente anche Umberto Golino, categoria M65, che già da ragazzino correva scalzo attorno alla struttura della pista di Formia, sognando i campioni che si allenavano all’interno. Le prime scarpette le ebbe in regalo dall’autista di autobus che, vedendolo ogni giorno, si era impietosito di tanta folle determinazione. Ora Umberto fa il nonno a tempo pieno, ma la sua prima passione non si è affatto spenta, e gli frutta ancora notevoli soddisfazioni - del tutto simili a quelle dei campioni che, allora, vagheggiava.
C’è poi chi sul podio non riesce più a salire, chi non vi ha mai messo piede e chi non lo avvicinerà mai. Ma non per questo demorde. Spesso il contesto è più gratificante della singola prova o, addirittura, è tutto ciò che fa da contorno alla gara a dare un senso alla gara stessa. I programmi di allenamento, i giorni di fatica e quelli di riposo, le varie tappe di avvicinamento: tanti tasselli a comporre il mosaico di un momento. Che può riuscire più o meno bene, ma che è talmente ricco di colori e di sfumature da risultare comunque indelebile.
Come indelebile è la prestazione di ogni singolo atleta, di qualsiasi sesso, di qualunque categoria.

lunedì 25 giugno 2007

tutto iniziò...

1988. Credo fosse giugno, clima di vacanze scolastiche che non coinvolgeva quelli che, come me, dovevano affrontare l'esame di maturità. Da brava "secchiona" quale ero, trascorrevo ore e ore china sui libri. Chissà che un po' di movimento non avesse potuto giovarmi? Infilai così pantaloncini e scarpette e presi a corricchiare lungo le stradine di campagna che si irradiavano a poca distanza dalla mia abitazione. Senza nessun altro obiettivo se non quello di sciogliere le membra anchilosate dal troppo studio. Notai che con la mente ossigenata la mia concentrazione era più brillante, così la corsetta mattutina, alle prime luci dell'alba, divenne un'abitudine. E presto una droga. In brevissimo tempo, correre divenne un'esigenza irrinunciabile. Mi svegliavo ogni mattina alle 6 e mi concedevo la mia oretta d'aria prima di chiudermi tra fumosi pensieri filosofici e letterari. Il gruppo podistico locale tentò di accalappiarmi, ma io non ne volevo sapere: non conoscevo nulla né di tecniche di allenamento né di ritmi né di tempi, correvo e basta. Continuai così anche dopo l'università, negli anni di lavori occasionali e di grandi speranze. E nemmeno il famigerato posto fisso mi distolse dalla mia primaria passione, dovetti solo modificare gli orari. Quanto ai pseudofidanzati infastiditi da questa bizzarra abitudine, ebbero vita breve.

2002. Un giorno mi imbattei in una locandina che pubblicizzava una gara podistica di 25 chilometri, a Bologna. Non avevo mai contato quanti chilometri corressi, se non quelle poche volte che avevo ceduto alle insistenze della cognata podista partecipando a un paio di mezze maratone non agonistiche. Non avvertivo in me alcuna tensione competitiva e tanto meno amavo trovarmi pressata in una massa scalpitante, ma non disdegnavo la possibilità di correre più a lungo di quanto solitamente facessi. Così, seguii le indicazioni di quella locandina e mi recai alla sede in essa segnalata. Colpo di fulmine. Come se all'improvviso mi fosse apparso davanti agli occhi il "mio" mondo. Difficile dare forma di parole ai meccanismi mentali che ingarbugliarono la mia mente nelle decine di minuti che trascorsi in quell'ufficio. Fatto sta che, entrata per sapere come iscrivermi ad una gara di venticinque chilometri, uscii con in mano l'iscrizione alla maratona di New York. Quel giorno cambiò molte cose: si svegliò in me quello spirito competitivo che credevo non mi appartenesse e iniziai a fare sul serio, seguendo programmi e partecipando a gare. Sempre più coinvolta e appassionata, e con sempre maggiori soddisfazioni. Ora ho all'attivo diverse maratone, svariate mezze maratone e tanti trofei. Oltre a diverse ambizioni e... innumerevoli sogni.

venerdì 1 giugno 2007

Maratonina Città di Bologna 2007

N. 272 - giugno 2007

Da ormai tre anni, ogni prima domenica di aprile l’Ippodromo di Bologna apre le sue porte a corridori con due sole gambe. E’ questo infatti il punto di partenza e arrivo della Maratonina Città di Bologna, il cui percorso non tocca il centro storico, bensì si snoda tra strade di periferia fino a lambire il limitrofo comune di Castel Maggiore.
Cielo plumbeo e aria impregnata dell’umidità lasciata dal recente acquazzone: condizioni non certo ideali per i 420 atleti impegnati nella competizione. Non sono però mancate le grandi prestazioni, come quella di Ilaria Bianchi, atleta toscana che in questa regione ha già siglato due record personali: oggi, con 1.14.31, dopo il precedente conquistato meno di un mese fa a Pieve di Cento. Senza battaglia anche la gara maschile: John Rotich Kipsiele, detentore di un personale di 1.03.49, ha staccato gli avversari verso il quarto chilometro, completando senza pensieri la sua prova.
Nonostante l’organizzazione attenta, l’ottima struttura ricettiva e il percorso tecnicamente interessante, resta la nota dolente della mancata chiusura al traffico: un vero peccato per questa manifestazione, che meriterebbe senz’altro più attenzione. E un vero peccato per una città come Bologna, che a causa di analoghe problematiche ha dovuto rinunciare anche alla sua maratona.

giovedì 1 febbraio 2007

La storia infinita

N. 268 - febbraio 2007

Medaglia d’oro a New York, categoria M60, in 2h57’12”: la soddisfazione più splendente, ma solo l’ultima di una lunga serie. Gaetano Materia, infatti, di ottimi piazzamenti ne ha conquistati un’infinità. Tra i fondatori del movimento podistico bolognese, negli anni dell’austerity e delle domeniche senz’auto, ora presidente della Polisportiva San Rafèl, Gaetano ha sempre guadagnato posizioni di prestigio in tutte le gare che ha corso. Circa sessanta maratone, comprese le ultra – con quel famigerato Passatore che, nonostante l’abbia fatto soffrire per tre anni consecutivi, senza mai appagarlo pienamente, resta tra i ricordi più vivi. In uno sport in cui spesso le emozioni trascendono qualsiasi risultato, può anche capitare che le beffe della sorte rendano amari sudati successi. Come accadde alla maratona di Mirandola, quando Gaetano, dopo aver realizzato il suo personale (2h33’46”), fu squalificato per avere accettato una spugna da uno spettatore non autorizzato.
Sono comunque poche le ombre che offuscano un percorso tanto luminoso, dove ogni traguardo è accompagnato da una storia, in un solido intrecciarsi di agonismo e umanità: la suggestione della Romaratona, il calore dei tifosi che lo acclamano nella maratona della sua città, la vittoria in staffetta ai campionati mondiali Master di Riccione. Fino a New York, 5 novembre 2006. Un obiettivo studiato, preparato con forza e determinazione. Un obiettivo centrato: ancora una volta, non certo l’ultima. Nel 2007 i mondiali master torneranno a Riccione, e Gaetano avrà ancora molto da raccontare.

venerdì 5 gennaio 2007

New York City Marathon 2006

N. 267 - GENNAIO 2007

Pare che quella di New York sia la maratona con la più bassa percentuale di ritirati. Sarà per il fragore della folla, che incita lungo quarantadue chilometri ogni singolo podista, o forse per il carattere mitico di questa manifestazione, che trasforma anche i più sedentari in eroici atleti, oppure per l’atmosfera da grande evento, che si respira dal primo all’ultimo giorno. Di fatto, risulta quasi impossibile tornare a casa senza la medaglia al collo. Sottolineo, quasi.

Ho riposto tante speranze in questa gara. Forse troppe. Un’overdose di aspettative: mie, di chi mi sta vicino, di chi crede nelle mie capacità. Eppure, so bene di non essere in perfette condizioni, ma confido nel potere taumaturgico dell’esperienza newyorkese e incrocio le dita.
Grazie al mio precedente piazzamento e alle ambiziose previsioni, quest’anno godo di un trattamento di favore: al riparo dal freddo e dalla calca, la lunga attesa può diventare una piacevole occasione di relax e concentrazione. Quale migliore auspicio, poi, del sorriso di Stefano Baldini, incrociato ai piedi del ponte, pochi minuti prima dello sparo?
Eccomi dunque a rivivere la maratona di New York. Fu qui che esordii, nel 2002, quando a malapena sapevo che cosa significasse correre. E qui sono tornata ogni anno, credendo sempre che fosse l’ultimo: e sempre assaporando le medesime emozioni, pur nel variare degli obiettivi.
Può succedere però che gli ingranaggi si incastrino e che la ruota non giri per il verso giusto: anche nel contesto più favorevole, un meccanismo inceppato stenta a scorrere. Così, dopo un paio di miglia troppo tirate, mi accorgo che i pensieri negativi stanno già pericolosamente inquinando la mia mente. Dove posso arrivare, se già da ora sento odore di fallimento? Cerco di visualizzare immagini positive, sperando che queste possano dissolvere il piombo che sta piantando le mie gambe. In effetti, dopo il decimo chilometro procedo più sciolta.
Go, Vale, go! E’ buffo come gli americani pronuncino il mio diminutivo (stampato sulla canotta): talmente curioso che, la prima volta, mi ci volle un po’ per realizzare che quel Veil incitava proprio me. Lo ripeto anch’io, go Vale, go! Sono forte, ce la posso fare, ce la devo fare. Ma cos’è l’angoscia che mi prende quando, all’ottavo miglio, i percorsi si uniscono e la strada è inondata da un mare di gambe? E il panico che mi assale ad ogni ristoro? E’ evidente che non ho superato il trauma fisico e morale dell’incidente di Carpi, quando sono stata letteralmente scaraventata sul tavolo dei rifornimenti, al decimo chilometro della maratona.
Il Queensborough Bridge dà il colpo di grazia al mio arto acciaccato, e a nulla serve il boato della folla, in uno dei passaggi più entusiasmanti della gara. Non mi sto godendo proprio nulla, e una simile sgradevole sensazione qui, nella più magica delle maratone, non è assolutamente ammissibile: se la sofferenza supera l’euforia, non ha senso continuare.
Ma cosa succede se ci si ritira a New York? Già l’esperienza del ritiro è frustrante in sé. Figurarsi quando si verifica in un contesto tanto fuori dalla norma. All’esterno del percorso, si trovano pullman che raccolgono i podisti malandati: offrono assistenza, acqua e un telo di alluminio, ma devono ovviamente aspettare la coda della gara per dirigersi verso l’arrivo. Cioè, diverse ore. La metropolitana, col pettorale, è gratuita. Ma trovare una stazione è un’impresa, e vagare per le strade seminudi e sudaticci, ad una temperatura di una decina di gradi, non è molto igienico.
Ormai prossima ad una crisi isterica, mi salvo saltando su un taxi. Fortunatamente il mio albergo è vicino all’arrivo, così indosso in fretta qualcosa e mi appresto a recuperare la mia sacca. Ho un po’ di problemi a capire dove sia il punto di raccolta, fino a quando un volontario compassionevole, colpito dalla mia disperazione, mi fornisce le giuste indicazioni. Ricevo i complimenti. Non l’ho finita, preciso. Oh, non importa, andrà bene l’anno prossimo!
Per quattro volte, a New York, ho tagliato il traguardo con le lacrime agli occhi. Hanno tutt’altro sapore le lacrime di oggi. Le ingoio con amarezza. E già penso a un’altra occasione. Non so quando e non so dove, ma avrò la mia rivincita.
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