lunedì 25 agosto 2008

Grazie, Stefano

Non avevo neppure il coraggio di andare ad aprire la porta. Quando Jader, appostato alla finestra, mi annunciò che erano arrivati sentii una scossa percorrermi da capo a piedi. Lo conoscevo, certo, ci eravamo già parlati ed eravamo anche stati insieme a tavola. Ma non a casa mia! Avevo invitato Daniele a cena come ogni tanto capitava di fare: durante la seduta di massaggio ci si perde in chiacchiere e finisce che gli chieda di venire a mangiare da noi, tanto per stare un po’ in compagnia. Quando mi telefonò per informarmi che proprio quella sera doveva vedere Stefano e che avrebbero finito il trattamento proprio verso ora di cena quindi, se non mi dispiaceva, sarebbe venuto con lui…

Era radioso. Ricordo che mi colpì il suo sorriso che lo illuminava tutto. Non l’ho mai visto così bello.
Superato l’imbarazzo, tutto divenne molto spontaneo e naturale. Si parlò di sport, ovviamente: la tv trasmetteva le immagini dello stadio di Atene, dove erano già iniziate le prove di atletica. Si commentava quanto stava accadendo, quanto era già avvenuto ed anche ciò che sarebbe successo di lì a una settimana…
Nessuna immagine ad immortalare quella serata, non ebbi il coraggio di scattare foto, mi sembrava sciocco e fuori luogo. Che sia stato solo un sogno?

Un sogno sembrava anche ciò che si stava realizzando sulla strada di Atene, quella magica domenica di agosto. Lo schermo era pieno della sua immagine, nessun altro a fargli ombra. Sicuro e determinato, fiero della sua superiorità. Splendido. Splendido fu il suo ingresso nello stadio, elegante come un felino, furioso come un rapace. Io ammutolita dall’emozione, sciolta in lacrime.

Quante volte mi ha fatto piangere, Stefano. Il suo ritiro ai mondiali, la sua vittoria agli europei, la sua ultima prova olimpica. Un campione in ogni occasione, con qualsiasi risultato. Perché la grandezza di un atleta non è fatta solo di primati e di medaglie. La consapevolezza di sé e dei propri avversari, il sapersi (ri)mettere in gioco, l’affrontare le sfide con coraggio e dignità: saper coinvolgere ed emozionare perché si è coinvolti ed emozionati. Questo fa la differenza, questo lascia una traccia nei cuori e nella storia.
A Pechino a vinto Wanjiru. Sapevo, tutti sapevano, che Stefano non aveva speranze. La mia speranza era che finisse la gara. Ma lui non si è limitato a questo: non solo ha portato a termine la maratona, ma ha anche guadagnato posizioni su posizioni, dimostrando per l’ennesima volta la sua superiorità tattica, oltre che la sua inesauribile forza fisica.
Ancora una volta si è dimostrato il più grande. Ancora una volta ci ha fatto sognare. Ancora una volta lo devo acclamare, con le lacrime agli occhi.

Grazie, Stefano!

giovedì 21 agosto 2008

NEW YORK!

Speranze disilluse, occasioni nelle quali avevi smesso di sperare, ricordi che non fornivano nutrimento altro che alla nostalgia – non riuscendo più ad alimentare i sogni.

Poi la notizia. Inaspettata, inattesa, inimmaginabile. Da cadere dalla sedia.

Invece sulla sedia sono saltata, vano ogni tentativo di contenere la gioia.
Ciò che non riuscivo a evocare senza magone, l’evento che più di ogni altro mi aveva travolto di emozioni, il luogo che avevo prima denigrato per poi finirne irrimediabilmente attratta tornava ad essere palpabile.
Incredibile come una breve telefonata possa sconvolgere l’equilibrio di un giorno e di una stagione. Come una semplice proposta riesca a scatenare energie che rimescolano e ridefiniscono i già precari equilibri emotivi.

Il 2 novembre sarò sul Ponte di Verrazzano. Tutto il resto, in questo istante, mi appare molto più sbiadito.

lunedì 4 agosto 2008

Ciao Naida

Fatico a ricordare i compagni e le compagne di scuola. Di nessuno di loro ho più notizie, nemmeno di quelle che ai tempi sembravano amiche del cuore. Finita la complicità sui banchi, è finito tutto quanto. Ognuno è andato per la sua strada e, ora, di alcuni non ricordo neppure il nome e dubito che li riconoscerei se li incontrassi casualmente.

Poi capita che, chiacchierando del più e del meno, si finisca per rievocare fatti e persone che hanno segnato in qualche modo il nostro passato. E si riaprono squarci di vita che, per qualche attimo, destabilizzano il presente.

Naida era mia compagna di banco alle scuole medie. Una testa matta, sempre a caccia di guai e per nulla interessata a qualsivoglia lezione. Famiglia disastrata, un fratello bello e maledetto, uscito miracolosamente da una travagliata esperienza di tossicodipendenza, lei non si sottraeva al fascino del proibito, della facile evasione, del mito dello sballo. Due occhi sgranati sul mondo e un sorriso disarmante, un folletto irrequieto e curioso.
Cosa aveva in comune un simile soggetto con la sottoscritta, studentessa modello, ligia al dovere e tutt’altro che trasgressiva? Eppure ci volevamo un bene dell’anima. Non ho mai frequentato le sue amicizie, né l’ho mai seguita nei suoi giri loschi. Ma conoscevamo tutto l’una dell’altra. Ci perdevamo non solo in chiacchierate infinite, ma anche in letterine che ci scrivevamo persino quando eravamo entrambe in classe, durante le lezioni più noiose. Siamo rimaste a lungo in contatto negli anni a seguire. Non ricordo quando sia avvenuto il nostro ultimo incontro, certamente tantissimi anni fa. Poi siamo finite l’una nei ricordi dell’altra, in quell’angolo della memoria che, quando visitato, fa riaffiorare le emozioni di quei giorni, di quel tempo in cui tutto era ancora da realizzare.

Ieri sera la gelata. Chissà come mi è tornata in mente la storia di Raffaele, il fratello bello e maledetto (quella vicenda mi procurò persino un premio giornalistico). Da chi conosce bene la gente di paese, ho voluto sapere se lui stesse ancora bene, se davvero tutto fosse filato liscio.
“Sì, sta bene. Solo che da poco gli è morta la sorella, Naida, hai presente?”

Da tre mesi Naida non c’è più. E io, da anni, non sapevo nulla di lei. Non sapevo che stava lottando contro un cancro che l’ha lentamente distrutta. Lei che ha sfidato le avventure più assurde, non ha potuto superare l’ostacolo più infimo. Non posso avere rimorsi, in fondo è naturale che le persone si allontanino. Ma, accidenti, siamo state grandissime amiche, proprio nell’età in cui l’amicizia è il sentimento più grande. Ora non serve a nulla pensare che si dovrebbero mantenere i contatti, che dovremmo curare i nostri affetti e preoccuparci sempre e comunque di chi abbiamo avuto accanto. Non riesco a pensare a questo, anche perché mi suona molto scontato e retorico.
Riesco solo a pensare che Naida non c’è più
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