domenica 21 novembre 2010

Lavino: Camminata Due Mulini


Piove da giorni, forse da sempre. All’umidità siamo abituati: se non è pioggia, è nebbia. Bisogna rassegnarsi, il grigiore pervaderà i nostri sensi per molti mesi ancora. Devo però confessarlo: non mi dispiace affatto. Non che ami l’acqua, anzi, trovo decisamente fastidioso correre al bagnato, in qualsiasi stagione. Quella bruma che sale dai campi e avvolge ogni cosa, però, alimenta il mio animo malinconico e rende dolce il mio naufragare…


Naufragare, appunto. È quanto stava per accadermi oggi, in quei tre chilometri di fuori strada che caratterizzano il percorso della Due Mulini. Siamo già oltre metà gara, quindi sufficientemente provati. Specie se, come al solito, allo sparo siamo schizzati come fulmini. Insomma, come lo devo dire? So bene che non si fa e che ne pagherò le conseguenze, ma se non mi libero subito dalla ressa iniziale finisco coll’angosciarmi. Poi, anche oggi, come due domeniche fa, ho un’ulteriore giustificazione: devo mettere avanti i lavori, in previsione dell’affondo sullo sterrato. Certo che la gara di Molinella, in confronto, si correva su un’autostrada. Qui, invece, se nei primi due chilometri di sentiero basta fare attenzione ad evitare le pozzanghere, l’ultimo tratto in aperta campagna rappresenta una prova da equilibristi. Ecco, ora mi gioco di certo il vantaggio acquisito. Già immagino l’avversaria che ride alle mie spalle, vedendomi incespicare come una papera, pronta ad umiliarmi quando manca meno di una manciata di chilometri all’arrivo. È la volta buona che finisco nel fosso. Non sto controllando affatto i parziali, mi sento talmente in affanno che preferisco ignorare, per non demoralizzarmi ulteriormente. È anche vero che oggi sono meno motivata. Innanzitutto, non è gara sociale – per quanto questo, in parte, mi alleggerisca, limitando le aspettative di chiunque. La giornata, poi, è tutt’altro che invitante. Oltre alla pioggia, un vento freddo e insidioso che mi rattrappisce ancora prima di partire. Ho provato ad attaccarmi a qualche gruppetto, in cerca di riparo, ma mi scappano tutti via: non c’è proprio nessuno lento come me. Chi mi affianca per un po’, cambia marcia proprio sul terreno da me più detestato. Un altro che sembra scandire il ritmo insieme a me, tutto a un tratto si blocca e mi lascia andare (beh, devo ricredermi: qualcuno che va più piano c’è). Ad ogni modo, non posso permettermi un calo di tensione: non sia mai che tagli il traguardo col rimorso, avendo rinunciato a lottare per la mia posizione. Che, se non sbaglio, dovrebbe essere la terza. Sembra proprio la replica dell’ultimo film.


Finalmente l’asfalto. Consideriamo dunque i chilometri precedenti come una pausa rigenerante, e spariamo ora tutta la polvere che abbiamo in corpo. Ne abbiamo ancora? Certo che si. Devo riuscire a riagguantare Paolo, tanto per iniziare. Lui è più cauto, ritmo regolare fin dall’inizio, così mi frega proprio in dirittura d’arrivo, mettendo in evidenza la sconsideratezza della mia gestione di gara. Puntarlo, però, attizza la mia carica: so che difficilmente lo raggiungerò, ma fissare un obiettivo mi aiuta a non mollare. Resisti! Lascia che esplodano i polmoni, che il respiro si tramuti in lamento, che le gambe si facciano di piombo. Corri, e non ti curare d’altro. Ché il traguardo è lì. Certo, è proprio la voce dello speaker quella che senti, e chi corre in senso contrario è perché ha appena terminato la sua gara. Ora tocca a te. La terza donna, brava. Brava, sì: devi essere brava a tenere, fino in fondo. Ti sei guardata alle spalle, poco fa, e non hai individuato nessuna minaccia. Ma non fidarti: stringi forte i denti e difendi la tua pellaccia. Ecco Valentina Gualandi, che taglia il traguardo al quarto posto. Quarto? Ma allora?...

Brava Vale, quarta! Un accidenti, chi mi sono persa? Ma dai, la marocchina, no? Avrà dato dieci minuti alla seconda! Già, e io non l’ho proprio vista. Ora che ricordo, alla partenza le ragazze dissero di averla individuata, ma io me n’ero del tutto dimenticata.


Beh, oggi ho fatto la mia gara al massimo delle mie possibilità, guadagnando un minuto rispetto all’anno scorso – quando le condizioni climatiche non erano così disastrose. Più di così non potevo fare. Conto però di riuscire a fare meglio, prossimamente.

lunedì 8 novembre 2010

Molinella: La Vallazza


Cosa sarà mai un po’ di sterrato? Pare che l’anno scorso (mentre io annaspavo nella maratona di Ravenna), le condizioni meteo avessero reso questa gara una vera e propria prova di cross. Oggi devo quindi ritenermi fortunata: non piove da alcuni giorni; per quanto l’umidità imperversi, il rischio di sprofondare nelle sabbie mobili dovrebbe essere scongiurato. Ma sì, questo terreno non è tanto male. Anzi, in un certo senso corro meglio adesso che nei precedenti chilometri: asfaltati, sì, ma tutti con vento contrario.


Sono partita come un razzo e non vorrei ritrovarmi impiccata prima del dovuto. Le prime due sono lì, non tanto distanti, comunque troppo per le mie possibilità. Troppo? Perché mai? Guai negarsi delle possibilità. È vero che oggi, dal principio, non brillavo per convinzione (lo so, non è una novità). Del resto, come si fa? Chi mi ha battuto per un soffio domenica scorsa mi aveva già umiliata in altre occasioni: di fatto, quest’anno non mi è mai stata dietro. Per quale ragione questa domenica dovrebbe andare diversamente? Il “capo” ha detto che mi vuole sul podio, che ridere! Però, a ben guardare, non si vedono tante avversarie: date per scontate prima e seconda classificate, la terza posizione è tutta da giocare. Giochiamo, dunque, e giochiamo duro. Sì, perché, comunque vada, una certezza voglio portarla fino al traguardo: avere dato il massimo.


Sentiero coperto da foglie bagnate: ahi, qui si rallenta troppo. Meno male che il tratto è breve, il ghiaino su terra battuta non limita più di tanto: su uno sterrato così riesco a correre quasi decentemente anch’io. Il Garmin, che sbircio di tanto in tanto, rivela che procedo ancora abbastanza spedita, questo mi rassicura ma ho forti dubbi sulla mia tenuta: sto faticando parecchio, e la gara è ancora lunga. Per quanto riuscirò a reggere questo ritmo? Vorrei tanto sapere cosa sta accadendo alle mie spalle, ma non oso girarmi. Ogni volta che avverto l’approssimarsi di qualcuno, cerco di cogliere dal passo e dal respiro se si tratti di uomo o donna. Temo davvero che l’avversaria mi stia controllando, per fregarmi sul più bello. Metà percorso è andato, ed il decimo chilometro arriva poco dopo. Impossibile evitare il brutto ricordo di una settimana fa quando, proprio in corrispondenza di questa distanza, persi una posizione. Ma questa è un’altra storia. Sto bene. Certo, qual cosina ho perso rispetto alla foga iniziale, ma le gambe sono ancora in buona spinta. In un paio di curve provo a verificare, con la coda dell’occhio, eventuali pericoli. Non colgo nulla di significativo, ma ad uno sguardo così rapido potrebbero sfuggire particolari determinanti. Occorre però mantenere la concentrazione, specie ora che mancano pochi chilometri: i più difficili. Richiamo alla mente immagini, pensieri, episodi di successo. Oggi non ho nessuno al mio fianco, non ci sono voci amiche che mi sostengano: è solo in me che devo trovare la giusta carica. Due chilometri ancora. Sono decisamente al limite, se mi supera adesso mi butto nel fosso. Meno uno. Brava, terza donna! Rizzo le antenne, per carpire eventuali incitamenti alla quarta… Non odo nulla, che sia già al sicuro? Meglio non fidarsi, specie dopo avere individuato, grazie ad una rotonda, che l’avversaria non è poi così lontana. Sono terza, e terza devo restare: metto le ali e volo, a costo di schiantarmi.


Eccomi. Hai visto? Sono salita sul podio. Oggi sono soddisfatta. Certo, non al cento per cento, c’è sempre quella nota stonata che incrina leggermente il sorriso. Basta non farci caso, e lasciarsi cullare dalla melodia: ogni tanto fa bene.

lunedì 1 novembre 2010

Maratonina di Calderara di Reno

Tranquilla, la gara è ancora lunga.
È vero, ed è altrettanto vero che sono partita come una novellina sconsiderata, quasi non sapessi come sia fondamentale saper dosare le energie. Mi sono attaccata alla sconosciuta in testa, convinta di poter stare lì e controllare. Già, controllare: avessi fatto più attenzione a quanto rilevava il Garmin, mi sarei resa conto che quel ritmo non poteva essere alla mia portata. Ma stavo bene, non avvertivo neppure lo sforzo; la pioggia, poi, bagnava lo schermo del crono, così coglievo malamente quanto in esso riportato.

A metà gara, però, mi ritrovo già affogata. E l’avversaria che, nel superarmi, mi taglia la strada per servirsi al ristoro, costringendomi ad una brusca frenata, è una vera maledizione. Grazie a Gaetano, che oggi ha deciso di correre con me, riesco a non abbattermi. Tranquilla, la gara è ancora lunga. In effetti, dovevo aspettarmi questo smacco, nonostante, confesso, speravo che il margine guadagnato in quei dieci chilometri forsennati potesse mettermi sufficientemente al riparo. Gravissimo errore! Ora devo stringere i denti e cercare di limitare al massimo i danni. Va detto che avere accanto qualcuno che ti tiene il passo e ti incita se avverte segnali di cedimento è ossigeno puro. Certo, gambe e fiato sono i tuoi, ma una presenza amica sa darti quella forza e quella sicurezza che, nei momenti di difficoltà, crollano repentinamente rendendo vano qualsiasi impegno. Bastano poche parole, spesso anche solo un gesto, per scacciare i diavoli malefici che portano all’esaurimento delle energie. Mi sento come fossi alimentata da un generatore di corrente: quando sto per spegnermi, una ricarica improvvisa mi ravviva, impedendomi di perdere terreno. Va bene così, sono a distanza di sicurezza, tutto può ancora succedere.
Dai, attaccati che la prendiamo. È la voce di un compagno di società (che vergogna, non conosco neppure il suo nome…), oggi siamo in pochi e fa piacere trovare un alleato. Cerco di seguirlo, riuscire a stare in scia sarebbe perfetto, ora che il vento è fastidiosamente contrario. Ma il suo passo è al di sopra delle mie attuali possibilità.
Tranquilla, attacchiamo all’ultimo chilometro. Il mio angelo custode non mi abbandona, pur essendo decisamente più forte di me. Lui ci crede, e ci credo anch’io. Sono ormai pochi i metri che ci distanziano, ora è il momento. Sento già di averla agguantata, quando il suo compagno si volge indietro, avvertendo il pericolo. È ciò che temevo. Lei, ovviamente, reagisce. Gaetano mi sprona a non mollare ma, a circa 300 metri dall’arrivo, capisco che non sono in grado di sferzare la zampata vincente. Taglia il traguardo pochi passi prima di me. Anche oggi, la risposta a chi mi chieda se sia soddisfatta è la solita smorfia.

Brava, hai fatto una bellissima gara. Grazie, Gaetano, è anche merito tuo. Sono assolutamente convinta che da sola non avrei ottenuto questo risultato. Probabilmente mi sarei piazzata comunque al terzo posto, ma con un distacco ben più ampio – quindi, con un crono decisamente deludente. Non che abbia chiuso con chissà quale tempo, ma è comunque il migliore degli ultimi due anni: segno che la strada è quella buona. E dovrò proseguire sulle mie gambe, perché non sempre si ha accanto qualcuno che ti mette le ali. Di certo, conserverò il fervore di Gaetano come il ricordo più prezioso di questa giornata, affinché mi sia di aiuto anche nelle prossime.


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