La colpa è solo ed esclusivamente mia. Avevo deciso per Firenze, e Firenze doveva essere. Non perché lì avrei potuto fare chissà cosa, specie con le condizioni meteo di quest’anno, ma era quello l’obiettivo che mi aveva accompagnato durante e dopo Venezia, quindi era su quello e non su altro che dovevo restare concentrata.
Invece, mi sono fatta convincere che qualche settimana in più di allenamento mi avrebbe portato a migliori risultati. Già, come se a Reggio Emilia una come me potesse ricercare il primato, con quella temperatura e con quei saliscendi. Come se non me lo fossi già detto prima che, tirando fino a dicembre, sarei arrivata con l’acqua alla gola.
L’acqua, appunto. Nella mia, pur breve, carriera podistica non avevo mai gareggiato sotto la pioggia: evidentemente ci voleva una prima volta. Ovvio, ne avrei fatto volentieri a meno. O, se proprio dovevo provare tale inebriante emozione, avrei preferito farlo d’estate, magari in una corsa più breve.
Non ricordo esattamente che cosa abbia pensato quando ho avvertito le prime gocce. Ero all’incirca a metà gara, e inizialmente forse non vi ho dato peso. Poi, il diluvio. Se cercavo un valido pretesto per ritirarmi, questo cadeva proprio a fagiolo. Ancora un chilometro, poi mi fermo. Ancora uno, ancora uno…Fino al 42°.
Come sia riuscita ad andare avanti, in simili condizioni, ancora me lo domando. Ho corso con muscoli e articolazioni al limite della sopportazione, mi aspettavo da un momento all’altro il cedimento di qualcosa. Ma si trattava della mia decima maratona, potevo forse chiudere l’anno ancora a quota nove? E come mi sarei meritata un corroborante riposo se non fossi arrivata in fondo. Inoltre, ero certa che Jader mi pensasse già ritirata, volevo quindi scorgere la sua sorpresa nel vedermi arrivare.
Tagliato il traguardo, ho continuato a tremare per almeno un’altra ora (la doccia fredda, negli spogliatoi, era proprio quello che ci voleva!)
Ora, posso solo dirmi soddisfatta di averla finita. Del resto, ero spenta già dalla partenza. Sin dai primi chilometri mi chiedevo fino a dove sarei stata in grado di arrivare. L’entusiasmo di Venezia si era già esaurito, esaurita era anche la brillantezza degli allenamenti di qualità dopo quella gara. Insomma, sono arrivata “lunga”: ho tirato troppo la corda. Avrei dovuto chiudere prima la stagione. Del resto, dopo l’esperienza di Milano non avevo detto che mai più avrei programmato maratone da novembre in poi?
È andata così. Mi compiaccio comunque di me stessa per non avere mollato, per non essermi neppure mai fermata. È comunque un segnale positivo.
Adesso vado un po’ in letargo. Se ne riparla il prossimo anno…
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