lunedì 30 luglio 2007

Vigarano Half Marathon 2007

N. 278 - DICEMBRE 2007

Oltre mille atleti hanno onorato la XXIV edizione della Vigarano Half Marthon. Da ogni parte d’Italia, società podistiche al completo hanno raggiunto in pullman la località ferrarese per partecipare alla gara, valida come Campionato italiano Master di mezza maratona.
Qualche problema di sovraffollamento in area di partenza, dovuto alla massa di corridori scalpitanti, si è subito risolto con lo sparo: migliaia di gambe sono libere di sfogarsi sul percorso che lambisce il territorio di Vigarano Mainarda. Il circuito, strutturato su due giri, è decisamente scorrevole; potrebbe risultare monotono a chi prediliga contesti cittadini, apprezzato invece dai podisti che amano spazi aperti e paesaggi di campagna. Il pubblico, molto vivace nella piazza del paese, contribuisce a sostenere lo sforzo. Sforzo gestito magistralmente dai vincitori, mai troppo impensieriti dagli avversari: Donatella Vinci stacca di oltre un minuto la seconda arrivata, Marina Gorra, a sua volta seguita da Souma Spiridoula. Analogo copione per il primo uomo, Maurizio Medri, che precede agilmente Rossano Altini e Giuseppe Gallitelli. Di questi, Donatella Vinci e Rossano Altini salgono una seconda volta sul podio, aggiudicandosi anche il titolo di campione italiano Master di mezza maratona nelle rispettive categorie – da notare che Altini ha recentemente conquistato la medaglia d’oro sui 10000, ai Campionati Mondiali Master di Riccione.
Amatori protagonisti, dunque, a dimostrazione che non sono solo ingaggi e montepremi a fare i numeri.

venerdì 27 luglio 2007

Castelbuono

Che delusione…

Stefano non è mai stato in gara, che tristezza vederlo arrancare nel gruppetto che inseguiva lo spagnolo. Ma c’era proprio bisogno di sfiancarsi su un simile percorso? Penso che lui si possa tranquillamente permettere di rinunciare a qualche ingaggio. Va bene che, in questa fase della sua carriera, lui voglia sparare tutte le cartucce ancora a sua disposizione ma, proprio per questo, non sarebbe meglio selezionare le occasioni che possano garantire risultati più soddisfacenti?
Comunque, che spettacolo questo Martinez. Partito sparato come dovesse correre un 800 in pista, ha mantenuto la stessa eleganza durante tutta la gara, permettendosi persino di esultare scherzosamente con il pubblico in prossimità dell’arrivo. Confesso che tutto ciò mi lascia un po’ perplessa, ma sul lato estetico nulla da eccepire.

giovedì 26 luglio 2007

Bradipo

Domenica un lungo pietoso, mai andata così piano. Va bene, si annaspava anziché respirare, va bene che per tutta la prima parte avevo il vento contrario, ma… se fossi io ormai andata a male?
Di certo, domenica prossima anticiperò l’allenamento di almeno un’ora, sperando che serva a qualcosa.

Se solo questa testa riuscisse a liberarsi dalla maledetta folla di pensieri negativi, e riuscisse a convincersi che, accidenti, sto bene e posso ancora ottenere buoni risultati… Una flebo di ottimismo mi servirebbe, altro che integratori!

Beh, ieri ho fatto un bel lavoro intervallato, oggi corsetta tranquilla nella canicola. E sì, voglio finire prima che inizi il collegamento di Rai Sat: è da tanto che non vedo Stefano correre e un po’ di belle emozioni non possono che farmi bene.

giovedì 19 luglio 2007

Pipistrello

Caccia grossa, ieri sera. Un pipistrello è entrato in camera da letto, non era mai successo prima. Poverino, non riusciva a ritrovare la finestra per uscire. E l’uomo di casa ha pensato bene di chiudere la porta, sperando che l’animaletto si arrangiasse da solo. Speranza vana. Così mi sono armata di scopa e ho cominciato a ramazzare l’aria, tentando di spingerlo all’esterno. Che fatica! Anche la povera bestiola era spossata, tanto da appendersi al soffitto per riprendere fiato. Ma, alla fine, la durissima impresa è andata a buon fine. Non avevo mai avuto un incontro così ravvicinato con un pipistrello, interessante esperienza.

Oggi mi aspetta un allenamento massacrante, che dubito riuscirò a compiere adeguatamente. Pare che con simili temperature sia normale rallentare fino a 10”/km, un po’ mi consolo, ma fatico a non sconfortarmi quando sforo le previsioni. Almeno non ci fosse il solito insopportabile vento!

mercoledì 18 luglio 2007

Estate

Ieri sera 15 km con 35° e vento contrario per metà percorso: ho arrancato sul finale, poi mi sarei tuffata in un acquedotto. Vabbè, comunque sia, evviva l'estate!

A proposito di estate: voglio la messa al bando dell'aria condizionata!!! In questo schifo di ufficio ci saranno 15°, neanche d'inverno fa così freddo, e quando esco rischio il collasso. Ma si può??? Poi ci si riempie la bocca di parole per la difesa del pianeta!...

Sempre sull'estate: mio marito ha comprato uno scooter per me, ma io non lo so usare, o meglio, non lo so mettere sul cavalletto. Credo di essere l'unica imbranata al mondo! Ci sono ragazzine con moto giganti e io non riesco a spostare un banale 125. Ci ho provato, più di una volta, ma non c'è nulla da fare, mi sono procurata solo un gran mal di schiena! Meno male che lo usa lui, ma che vergogna...

lunedì 16 luglio 2007

Caldo

Mi dispiace proprio doverlo ammettere, ma è tristemente evidente: il caldo sta condizionando il mio rendimento. E questa settimana sono previsti 36 gradi di massima. Chissà se mi abituerò e se sopporterò meglio la fatica dei lunghi…

Ma si, li ho sempre fatti! Del resto, l’idea di correre tanto in Val di Zena mi esalta talmente che dovrei sentire meno lo sforzo. Ieri, poi, ho visto anche uno scoiattolo: era rossiccio, con una enorme coda. Stava in mezzo alla strada e non sembrava per nulla spaventato, ho dovuto fare schiamazzi per costringerlo a spostarsi. Bellissimo (ma non pensiamo al Central Park…)

domenica 15 luglio 2007

Racconto: Il Passatore

N. 273 - luglio 2007

Avevo 17 anni. La breve età in cui chiunque è immortale.
Nulla mi appariva più lungo, lento e noioso del margine che ancora mi separava dalla fatidica soglia, superato la quale avrei potuto rivendicare a pieno titolo i miei diritti di adulto. Dovevo sopportare ancora per diversi mesi l’assurdità di divieti e limitazioni che, da un giorno all’altro, avrebbero perso qualsiasi significato.
Devi essere maggiorenne per poter partecipare. Ti porterò con me quando avrai diciott’anni. Per il tuo compleanno ti regalo l’iscrizione ad una gara. Ecc. Ecc.
Mio padre non faceva che ripetermelo. Dovevo avere solo un po’ di pazienza, ormai non mancava tanto. Peccato che il fatidico giorno ricorresse nel mese di giugno, cioè due settimane dopo l’evento sul quale lui – e, di conseguenza, tutta la famiglia – investiva il frutto degli sforzi di mesi e mesi. Per due sole stupide settimane avrei dovuto rimandare di un anno intero ciò che sognavo da una vita.

Il segnale era la coda di Birba: quando cominciava a scacciare le mosche, capivo che papà stava arrivando. Correvo subito alla finestra, volevo essere lì prima che lui alzasse lo sguardo per cercarmi. Dovevo essere pronto a ricevere il suo saluto festoso, ad accogliere il suo arrivo trionfale, ad esultare per quel cappellino sventolato al cielo, che sarebbe di lì a poco finito sulla mia testa.
Questo rito segnava la fine del giorno: lasciati compiti, amici e giochi, entravo nel mondo del crepuscolo e delle favole, mondo del quale mio papà era il sommo principe. Erano certo grandi imprese quelle che lo rendevano così affannato e sudato, ed ero sicuro che assistendolo avrei potuto assimilare il suo valore per poter anch’io, prima o poi, sostenere simili prove. Così, osservandolo di sottecchi attraverso la visiera che mi scendeva sugli occhi, cercavo di imitare i quegli strani gesti con gambe allungate di qua e di là, piegato, disteso e poi ancora piegato. Birba ci guardava stranita, ma ormai aveva imparato che non doveva azzardarsi a saltarci addosso, non era questo il momento di giocare. Terminati gli esercizi, arrivava il momento per me più impegnativo, quello che mi vedeva investito di una grande responsabilità: dovevo prendere il suo quaderno e trascrivere i dati che lui mi dettava. Numero di chilometri, ore minuti e secondi, condizioni meteorologiche e considerazioni di vario genere su soddisfazione, fatica o eventuali acciacchi. Gli riconsegnavo poi il diario, pronto a rispondere all’immancabile domanda: Quanto manca? La mia trepidazione per il grande evento era pari alla sua, se non più intensa. A mano a mano che la data si avvicinava, cominciavo a trascurare gli amici, sempre meno interessato ai tiri al pallone: volevo accostarmi il più possibile a lui, al suo spirito, alle sue sensazioni. Pensavo che, dimostrandogli che potevo emularlo, si sarebbe sentito ancora più forte. L’orgoglio di avere un fedele seguace, nonché un degno erede, non poteva che renderlo più sicuro delle proprie capacità. E questo, oltre a rappresentarlo invincibile ai miei occhi, avrebbe fornito sempre più concretezza al mio sogno: quello di correre con lui. Solcavo il perimetro del campo di calcio, mentre i miei compagni schiamazzavano nelle loro partite. Giravo e giravo attorno come un criceto nella ruota, senza stile né ritmo, fino a sfinirmi. Ma mi guardavo bene dal lasciar trapelare qualsiasi segno di stanchezza quando lui rientrava dall’allenamento: non solo perchè la sua eroica fatica doveva trovare un forte e pronto supporto, ma anche per non rivelare prematuramente i miei propositi. Doveva essere una sorpresa, tale da fare luccicare i suoi occhi: per lo stupore di trovarmi al suo fianco in pantaloncini e canotta e per l’orgoglio di avere un nuovo, fedele, insostituibile compagno di corse.
Non ho mai capito cosa non avesse funzionato nei miei piani. Probabilmente sapeva da sempre che non avevo mai calciato un pallone, o forse la sua era semplice e geniale intuizione paterna. Fatto sta che, per la promozione in prima media, ricevetti in regalo un fiammante paio di scarpe da corsa. Non l’avesse mai fatto! Come poteva pretendere, ora, che lo aspettassi buono e tranquillo alla finestra? Le mie gambe ben carburate scalpitavano, i miei piedi fremevano nel nuovo rivestimento, il mio impeto cercava sfogo e soddisfazione. Anziché attenderlo al varco, iniziai a corrergli incontro, e ben presto l’ultimo tratto del suo rientro diventò una sfida a chi toccava per primo il muro di casa, con Birba che incitava abbaiando vivacemente. Non so quando smise di lasciarmi vincere, quando il suo sforzo si fece reale e le mie vittorie, da semplice gioco, divennero una vera e propria conquista. Di certo, la strada per incontrarlo si allungava sempre di più, e sempre più esteso era il percorso che condividevamo.
Mi guadagnai così la partecipazione alle manifestazioni domenicali dove, però, dovevo accontentarmi dei circuiti ridotti, riservati ai ragazzini e a quelli che non volevano impegnarsi troppo, mentre papà esprimeva il suo talento sulle prove competitive. A me non era permesso, non ancora. Incapace di placare la mia irrequietudine, vivevo emotivamente le gare, condividendo le gioie e i dolori del mio mentore. Saltavo e urlavo come un clown quando lo scorgevo approssimarsi ansimante al traguardo, liberando finalmente tutta l’ansia dell’attesa.
Attesa che aveva un sapore quasi surreale in quella tanto sospirata notte di maggio. Cento chilometri sono un’eternità, un abisso, follia pura. Quale pazzo ambirebbe a correre per cento chilometri? Eppure, i pazzi sono tanti, centinaia, e mio padre è uno di loro. Ovvio che io abbia sempre considerato questa sua passione tutt’altro che perversa: quella che, immancabilmente, lui realizzava ogni anno, era per me l’impresa delle imprese. Del resto, un evento intitolato al mitico Passatore non poteva che evocare memorabili gesta. Trascorrere la notte nella piazza di Faenza era ormai un appuntamento fisso. I primi atleti cominciavano ad arrivare in tarda serata, e a stento si poteva credere che fossero partiti da una città tanto lontana come Firenze. Sotto il traguardo si snocciolavano podisti più o meno provati dalla fatica. Io li osservavo attentamente, uno a uno, soffrendo per loro e, soprattutto, per il “mio” podista, quello che chissà a che punto si trovava del percorso e chissà in quali condizioni… Sapevo che l’avrei abbracciato solo sul fare del giorno, ma ugualmente pativo alla vista di ogni figura che si stagliava nel buio della strada, in prossimità della piazza.
Quell’anno, però, l’idea di stazionare ore e ore nel centro di Faenza non mi dava pace: non riuscivo a rassegnarmi al fatto che non potessi ancora correre con lui, solo a causa di una stupida beffa del calendario. Supplicai mio padre affinché mi permettesse di accompagnarlo anche senza essere iscritto, ma lui non volle sentire ragione. Giustamente, voleva evitare che mi sottoponessi ad uno sforzo per me ancora prematuro, ma alla mia mente giovane e ardita un simile divieto suonava come un’incomprensibile crudeltà. Insistendo con bronci e mugugni, riuscii ad ottenere almeno una concessione: quella di seguirlo in motorino, così da tenere sotto controllo ogni fase della sua prova ed essere pronto per qualsiasi evenienza. Salito sul camper dei suoi compagni di gara, ero già in fibrillazione. Una volta a Firenze, fissai con un groppo in gola il folto gruppo di atleti schierato alla partenza, prima di allontanarmi sul mio mezzo, precedendoli sul percorso per non essere di intralcio. Non mi rendevo ancora conto di quanto avrei penato, anch’io, nello stare tante ore su una sella, procedendo ad un ritmo che, sulle due ruote, risultava insopportabilmente lento. Avevo però modo di distrarmi: scrutando papà e immaginandomi nella stessa situazione. Quanto avrei sofferto, quanto avrei alleviato la sua fatica, quanto avremmo potuto confortarci a vicenda? Così fantasticando, i chilometri, scorrevano fluidi, sotto un sole che sfumava gradatamente, mentre le ombre dei podisti si allungavano, rade, sulla strada. Il buio piombò all’improvviso e, quando il motore si fece particolarmente rumoroso, capii che iniziava la salita: quella famigerata cima della Colla di cui tanto avevo sentito parlare. L’incubo di tutti coloro che osavano sfidare il Passatore, il punto in cui tanti cedevano: ma, una volta superato quel limite, l’arrivo era già a portata di mano. Sapevo che papà avrebbe affrontato di passo il duro ostacolo, quindi non mi meravigliai quando lo vidi rallentare. Ma quando si accasciò, appoggiato ad un albero, saltai subito in suo soccorso. Lui mi allontanò, temendo che il mio intervento potesse comportare una sua squalifica. Sto bene, disse, solo un po’ stanco. Ma non si decideva a ripartire. Senza troppo indugiare, mi dimenticai del motorino e, dopo averlo invitato a seguirmi, cominciai a correre piano piano davanti a lui. Non sprecò fiato per chiedermi che cosa stessi facendo, ma riuscì a rimettersi in strada e a riprendere il suo cammino. Bravo papà, così si fa! Procedeva lentamente, con me che lo precedevo di un passo, a fargli da traino. L’aria era fredda, nera e ostile, ma noi eravamo forti e determinati. Invincibili. La discesa era lì, palpabile, e Faenza, in fondo, non era tanto lontana. Di nuovo di corsa, ora, papà sempre dietro di me. Non avevo l’abbigliamento giusto, ma che importava? A quell’ora, su quelle strade, nessuno ci avrebbe fatto caso. Il cielo gradatamente ammorbidiva i suoi colori, segno che la distanza si stava via via accorciando. Io davanti, papà a ruota. Un lungo rettilineo e la piazza in fondo. Uscii dal percorso quando ormai l’impresa era compiuta, lasciandolo solo, per il suo personale trionfo. Per la prima volta non lo vidi tagliare il traguardo. Per l’ennesima volta, invece, lo sentii inveire contro il Passatore, giurando e spergiurando che non l’avrebbe mai più affrontato. Sapevo che, dopo una dormita, avrebbe subito cambiato idea. E sapevo che la stessa dichiarazione, di lì ad un anno, l’avremmo fatta insieme.

venerdì 13 luglio 2007

Pessimismo

Una settimana di ferie, in totale immersione nella mia più grande passione, è volata in un soffio.
È bastato un giorno, anzi, un’ora di lavoro per inquinare tutto, per annientare il benessere assorbito durante quella breve parentesi. Come è facile deturpare il bello e come è triste adattarsi al grigiore dopo avere goduto di tanta luce. Lo ammetto, sono io a non riuscire ad eliminare dalla mia visuale la patina scura che precede ogni mio passo: sono io quella che dovrei cambiare atteggiamento mentale, aprirmi ad un maggiore (e più salutare) ottimismo. Lo so. Ma non ne sono capace. Conosco la cura ma non so seguire le prescrizioni. Pessimista cronica – per non dire cosmica…

lunedì 2 luglio 2007

Ma dove corrono i bolognesi

N. 272 - giugno 2007

A qualsiasi ora del giorno, qualunque strada si transiti, a Bologna si incontra gente che corre. Basta dare un’occhiata all’asfalto per notare, ai margini delle carreggiate, numeri tracciati con la vernice, in ordine progressivo, a distanze regolari: i segni dei runner che hanno misurato il proprio terreno di allenamento. Si tratta di circuiti più o meno lunghi, realizzati da quei podisti che non vivono nelle immediate vicinanze di un parco pubblico – e potrebbe essere curioso stilare un elenco di questi percorsi personalizzati, raccogliendone le descrizioni dai diretti interessati.
Certo, dovendo fornire suggerimenti sui luoghi deputati alla corsa, non si possono che citare i principali parchi bolognesi: dai Giardini Margherita, polmone verde della città, ai Parchi dei Cedri e della Resistenza, in prossimità di San Lazzaro di Savena, fino al Parco Talon, ricco e boscoso, a Casalecchio di Reno. Esiste poi una rete di piste ciclabili, molto utilizzata anche dai podisti, e una serie di altri percorsi nel verde, alcuni dei quali recentemente ristrutturati.
Uno di questi si sviluppa su un tracciato di grande valore storico, oltre che ambientale. La ciclovia del Navile, infatti, segue il corso dell’omonimo canale realizzato in epoca medievale e utilizzato sia ai fini della produzione energetica che per la navigazione. Partendo dal parco di Villa Angeletti (accesso da via de’ Carracci, ampio parcheggio), si attraversa Via Gagarin per immettersi nell’ambiente fluviale. Si supera il Sostegno del Battiferro, attivo complesso industriale fino al XX secolo, oggi centro tecnologico e mussale poi, sempre seguendo il Navile, oltrepassati il Sostegno del Torreggiani e quello del Landi, si giunge ad una biforcazione del sentiero, che torna a riunirsi presso il Ponte della Bionda - suggestiva struttura in pietra, fresca di restauro. Attraversata via dei Terraioli, il percorso termina al Porto di Corticella – da notare il Ponte del Vignola, di inizio ‘800. Si sono così corsi circa 4,7 km, che sarà un piacere ripetere per il ritorno.
Tra gli interventi di recupero dell’antica Bologna “città delle acque”, c’è anche il progetto di valorizzazione ambientale e turistica delle aree attraversate dal fiume Reno. Appena fuori Bologna, nel comune di Castel Maggiore, si può correre lungo i sentieri di uno dei frutti di tale progetto: il Parco Fluviale di Trebbo di Reno. Tre i percorsi, tutti ben segnalati, con partenza presso la rotonda di via Byron (dietro la chiesa): un anello di 2,2 km che segue l’ex cava, uno di 4 km tra la golena e l’argine, e un rettilineo di 5,5 km che, sempre seguendo l’argine, giunge fino ai laghetti in località Boschetto (ritorno sul medesimo percorso dell’andata). Nel mese di settembre si svolge qui l’EcoMaratona del Medio Reno, una gara a staffetta (6x7,033) organizzata dalla UISP Provinciale.
Chi invece non vuole spostarsi troppo dal centro della città, ha a disposizione i Giardini Margherita (accesso principale da viale Gozzadini, tra le porte Castiglione e Santo Stefano), il parco bolognese per antonomasia, meta prediletta anche da chi desidera semplicemente godersi una passeggiata in un luogo ameno, con tanto di laghetto artificiale. Diverse manifestazioni sportive hanno proprio nel parco il loro punto di riferimento. Tra queste: la Maratona dei Castelli Medievali (25 aprile), con partenza da Vignola e arrivo, appunto, ai Giardini, e la UnicreditBanca Rune Tune Up - La mezza maratona di Bologna (prima domenica di settembre), che fa convergere nei Giardini l’intero evento – centro gara, partenza e arrivo. Al di fuori delle occasioni agonistiche, i podisti possono correre sul tracciato asfaltato che abbraccia l’intero perimetro del parco, per un totale di circa 1,6 km.

domenica 1 luglio 2007

Istantanee da Milano - Campionati italiani master su pista 2007

N. 275 - settembre 2007

PER CASO
L’asfalto è generoso: sempre disponibile, immancabile, prontamente utilizzabile. Accessibile in ogni stagione, a qualsiasi ora, con qualunque condizione atmosferica.
Sull’asfalto muovono i primi passi i principianti della corsa. Alcuni presto l’abbandonano mentre altri, altrettanto presto, ne divengono dipendenti e si impossessano della strada. Misurano percorsi, contrassegnano distanze, creano variazioni. Ognuno ha un proprio giro classico e diverse percorrenze alternative, e anche le gare sono scelte in base alla conformità del tracciato, considerandone lunghezza, altimetria e fondo stradale.
La pista, per gli amanti della corsa su strada, è un mondo a parte. Molti ne ignorano completamente l’esistenza, alcuni si sforzano di utilizzarla per qualche allenamento specifico, altri ancora si spingono a cimentarsi in prove competitive – chi per curiosità, chi per dovere verso la propria società e chi, semplicemente, per caso.
Difficile, infatti, resistere al richiamo di un trofeo o di un campionato, magari di livello nazionale, quando la manifestazione ha sede ad un passo da casa. Soprattutto se si è già ben allenati e se non si contano ormai più le soddisfazioni ottenute nelle gare su strada. Così è per Donatella Vinci, atleta milanese categoria MF40 che vanta, tra i vari titoli, un secondo posto agli ultimi campionati italiani di corsa su strada nella distanza dei 10km (36’44”). “Vivo qui, come potevo non partecipare? Ma da domani torno all’asfalto e allo sterrato, la pista proprio non fa per me”. Sarà. È vero che le sue scarpe modello A2, uniche in un parterre di chiodate, rivelavano l’estraneità di Donatella a questo genere di prove. Ma che dire, allora, del suo terzo posto nei 1500mt?
Chi accede ad un campionato Master in pista, conoscendo solo la strada, è un po’ un alieno caduto su un altro pianeta. Specialità fino ad allora viste solo in tv, nelle performance dei grandi campioni, assumono una diversa fisionomia e tutto rientra in una nuova dimensione. Più tangibile, forse, magari più reale, senz’altro più umana. Un centrifugato di storie ed esperienze che genera energia, un’energia palpabile e contagiosa, che rimbalza tra un salto e una partenza, tra un lancio e una volata. In uno spirito che non considera né anagrafe né categorie, e unisce tutti i partecipanti in un’unica generazione.

PER PROVA
C’è chi aspetta di essere “grande” prima di cimentarsi in un campionato di livello nazionale. Forse non si è mai sentito sufficientemente pronto, o magari si è dilungato nell’attesa dell’occasione giusta, oppure semplicemente non aveva ancora preso in considerazione l’idea.
Svariati possono essere i motivi che spingono a rimandare l’ingresso a competizioni di tale rilevanza, ma tra essi è senz’altro da escludere un’eventuale tardiva preparazione. Con la pista non si scherza, e i gesti atletici che sono emersi nelle corsie dell’Arena Civica non sono affatto frutto di improvvisazione. Del resto, basta ascoltare i commenti a caldo sulle singole prestazioni per avere conferma dell’alto grado di preparazione di questi atleti. Come Dario Gasparo, categoria M45, già emerso in altre occasioni, ma al suo esordio in un contesto nazionale: e che esordio! Suo il titolo di campione italiano sia sui 400mt che sui 400 ostacoli (pur avendo riscontrato alcune difficoltà nell’impostazione del ritmo, a causa dell’elevata elasticità della pista). Dario voleva provare, innanzitutto a se stesso, quale prestazione avrebbe potuto realizzare, alla sua età, in un simile ambito. Ma, al di là del proprio risultato e della personale soddisfazione, a colpire la sua sensibilità è stata la percezione del prodigarsi di tante persone in una sfida contro la forza del tempo – tempo inteso, stavolta, non come esito cronometrico, né come clima, bensì come scorrere degli anni.
Per scoprire chi sia il vincitore di tale sfida basti osservare questi atleti. Scrupolosi nel calcolare la suddivisione dei segmenti della superficie sulla quale compiere il triplo salto, pignoli nel contare i passi tra un ostacolo e l’altro, esigenti sulla precisione di misure e risultati. Non c’è spazio per l’approssimazione, né tanto meno per la distrazione. L’importante è partecipare, è vero, possibilmente divertendosi. Ma ciò non toglie che il campionato sia una cosa seria, alla quale

dedicare il meglio di sé, indipendentemente dalla categoria di appartenenza. Ecco perché quel famigerato tempo, che avrebbe la presunzione di spuntarla nell’impresa di fiaccare gli animi e smorzare gli entusiasmi, qui è costretto a chinare la testa, impotente. Inutile sfidare un’energia che non ha età e che, anzi, proprio dall’età trae le sue risorse. Poiché è proprio la determinazione dei veterani ad alimentare la grinta dei più giovani, dando vita ad un circolo virtuoso ricco e inesauribile.

PER SFIDA
Una volata tirata alla morte, il traguardo tagliato davanti a tutti, la medaglia di campione italiano al collo. Eppure, nessuno slancio di gioia: sul volto crucciato solo fatica e delusione. “Mi sentivo in gran forma e contavo di migliorare il mio record, ma non ci sono riuscito”, lamenta Alessandro Cipriani, già detentore del primato italiano M50 nei 400 ostacoli.
Duro agonismo e competizione sfrenata: i Master sono anche questo. Agguerriti nella ricerca del risultato, ma mai del tutto soddisfatti, perché si poteva sempre dare di più: chiudere in un tempo inferiore, saltare con maggior precisione, gestirsi con tattica superiore. Davvero l’importante è partecipare? Essere presenti, certo, non mancare nessun campionato, restando però sempre concentrati sull’obiettivo principe: migliorare.
Qualcuno pensa che, dopo una certa età, sarebbe più opportuno limitarsi alla tapasciata paesana, accontentandosi di portare a casa una confezione di pasta o di caffè. Come se esistesse un tempo massimo, superato il quale qualsiasi impegno agonistico apparirebbe privo di senso. Prive di senso risulterebbero invece proprio tali idee, se messe a confronto con i pensieri e le espressioni che colorano questi campionati. Il saltatore che impreca per un millimetro mancato, l’ostacolista che si ostina su un passo perduto, la mezzofondista assente alla premiazione perché chiamata al controllo antidoping. Dove sta la differenza tra queste competizioni e quelle degli atleti professionisti? Cambiano i numeri, ovvio, ma non l’atmosfera: concentrazione, grinta e determinazione sono le stesse.
La tensione verso il risultato è talmente decisa che è facile assistere a veri e propri litigi tra giudici di gara e atleti, qualora questi ultimi non reputino regolare una misurazione. Fino ad arrivare a mettere in discussione persino la validità del foto finish: quando si è saldamente convinti del valore della propria prestazione, neppure la tecnologia fornisce certezze.
Vincitori e vinti, conclusa una gara, già pensano al prossimo campionato. E dopo quello italiano, la sfida si apre sul fronte mondiale. Per molti non sarà affatto una novità, girare il mondo alla caccia del risultato per i più è ormai consuetudine. Ma quest’anno si gioca in casa, quindi le aspettative sono più alte. Chissà chi sarà la più generosa con i nostri atleti azzurri, tra Riccione ed Osaka?

PER COSTANZA
F75, M80, M90. Sigle che fanno rizzare i capelli. Inimmaginabili, fino a quando non si abbia la fortuna di assistere alle prove di questi atleti, e di incontrare sul campo le loro espressioni di allegria e serenità. Si incontrano e si confrontano da generazioni, campioni che, possiamo affermarlo, hanno fatto la storia dell’atletica. I loro aneddoti riuscirebbero a riempire pagine su pagine. Evidentemente, l’esercizio fisico influenza positivamente anche la memoria, considerata la disinvoltura con cui snocciolano nomi, record e annate. È un piacere ascoltare Ottavio Missoni, un solare “under 90”, che ricorda di quando, sedicenne, si aggiudicò l’oro nei 400mt: proprio sulla pista dell’Arena Civica, esattamente settanta anni fa. O Bruno Sobrero, classe 1920 il quale, pur lasciando trapelare un pizzico di nostalgia per certe mitiche staffette, promette scintille ai mondiali di Riccione, dove gareggerà anche nel decathlon. Per tacere, poi, di Giuseppe Ottaviani, categoria M90 (per la precisione, anno 1916): i suoi 100mt in 22”06 parlano da soli.




Quanto al settore femminile, inutile precisare che queste atlete non hanno nulla da invidiare agli uomini di analoga categoria. Anzi, a ben vedere, si potrebbe sostenere che l’unica nota di leggera invidia è quella provata dalla sottoscritta, la quale dubita fortemente di essere in grado di raggiungere, ora come ora, risultati simili a quelli ottenuti da queste campionesse - campionesse che, senz’altro, hanno dovuto lottare non poco per ritagliarsi, nel quotidiano, lo spazio sufficiente ad allenarsi.
Infinita costanza, rinvigorita dai risultati e dalle soddisfazioni. Ma anche dal piacere di ritrovarsi: avversari in uno sprint e compagni in una staffetta, antagonisti su una certa distanza e tifosi l’uno dell’altro su una diversa, ad applaudirsi reciprocamente sopra e sotto il podio.
Se i giovani Master stupiscono per l’elevato livello atletico delle prestazioni, sono però le categorie più anziane ad arricchire di senso questi campionati. Perché, se anche con pantaloni di spugna o calzettoni di cotone si possono stabilire invidiabili primati e se, al di là dei risultati, lo spirito e l’energia non si lasciano intimorire dal tempo che avanza, non è assurdo ipotizzare che chiunque possa ambire al proprio momento di gloria, avendo soltanto la voglia e il coraggio di mettersi alla prova. Un messaggio, forse banale ma necessario, ai ragazzi che si affacciano al mondo dell’atletica: quale più fruttuosa lezione di una giornata da spettatori, in un simile contesto?

PER PASSIONE
“Spostatevi, se no mio marito non riesce a fotografare”, esorta un’atleta dall’alto del podio, rivolgendosi a giudici e fotografi che oscurano la visuale al signore che la sta ammirando, aggrappato alla rete che separa la pista dalla tribuna.
Amore per la corsa e amore per chi corre: passioni che si intrecciano, si fondono, a volte si scontrano.
Passione, appunto. Quella che si legge sui volti degli atleti che abbiamo incontrato, che illumina i loro sguardi e vivacizza le loro parole. Anche se non viene nominata, è evidente che sia lei, qui, la protagonista: in sua assenza, mancherebbero sfide e risultati. Privato del motore primo del proprio meccanismo, qualsiasi sport non avrebbe modo di esistere.
I Master, si sa, non possono permettersi di vivere di atletica. Ciò non toglie che abbiano organizzato la loro vita in modo che non vengano mai a mancare i momenti per dedicarsi a ciò che più li rende vitali: perché mai come in quelle ore di corsa (o in quel salto, o in quel lancio), ci si sente così intensamente e totalmente se stessi. È questo ineffabile e indefinibile senso di appagamento che rende possibili sacrifici altrimenti impensabili – e a molti incomprensibili. E spiega anche perché tanti atleti non perdano occasione di misurarsi in contesti competitivi, nonostante svariate avversità abbiano loro impedito di prepararsi adeguatamente. La passione è contagiosa, e l’adrenalina che impregna l’atmosfera del campo di atletica lo è ancora di più: chi ne è assuefatto, non saprà farne a meno.
Malato di corsa, in quanti se lo saranno sentiti dire. Tra i tanti, certamente anche Umberto Golino, categoria M65, che già da ragazzino correva scalzo attorno alla struttura della pista di Formia, sognando i campioni che si allenavano all’interno. Le prime scarpette le ebbe in regalo dall’autista di autobus che, vedendolo ogni giorno, si era impietosito di tanta folle determinazione. Ora Umberto fa il nonno a tempo pieno, ma la sua prima passione non si è affatto spenta, e gli frutta ancora notevoli soddisfazioni - del tutto simili a quelle dei campioni che, allora, vagheggiava.
C’è poi chi sul podio non riesce più a salire, chi non vi ha mai messo piede e chi non lo avvicinerà mai. Ma non per questo demorde. Spesso il contesto è più gratificante della singola prova o, addirittura, è tutto ciò che fa da contorno alla gara a dare un senso alla gara stessa. I programmi di allenamento, i giorni di fatica e quelli di riposo, le varie tappe di avvicinamento: tanti tasselli a comporre il mosaico di un momento. Che può riuscire più o meno bene, ma che è talmente ricco di colori e di sfumature da risultare comunque indelebile.
Come indelebile è la prestazione di ogni singolo atleta, di qualsiasi sesso, di qualunque categoria.
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