giovedì 21 ottobre 2021

I hate fall (Day 34)

 

«Conto a estati, non a anni, il tempo»

 




Siamo sinceri: il tutore è più ingombrante del gesso. Sarà pure la sofferenza di una settimana, durante la quale dovrò indossarlo ininterrottamente, ma questo enorme macigno è una vera tortura. Superati i sette giorni, mi sento come quando, al termine di un’escursione in montagna, si tolgono finalmente gli scarponi: una goduria che non ha eguali. Il piede può finalmente respirare. Lo muovo con cautela, senza esagerare, con molta attenzione e tanta (troppa) paura. Decido che è giunta l’ora di mettere in moto ciò che può essere attivato: giù a terra e via di addominali. Sempre con la “palla” al piede, che complica qualsiasi esercizio. Ma è bene iniziare. Ed è bene anche rivolgersi anche ad un professionista per capire come sia meglio procedere nella riabilitazione. Dapprima, un lungo massaggio alla cicatrice per scongiurare possibili aderenze. Sensazioni piacevoli. Pizzica un po’, ma è quella specie di fastidio che dona tanto benessere, una sorta di risveglio dei sensi dopo un prolungato torpore. Si passa poi ad una serie di mobilizzazioni attive: devo usare la forza, che ovviamente scarseggia, ma spingo meno di quanto potrei, sempre per eccesso di timore. Va bene così, il tallone e vivo e vegeto, non mostra particolari segni di sofferenza – per quanto, ai miei occhi, la ferita appaia orripilante. D’ora in poi dovrò sbrigarmela da sola. Comincio così a dedicare una o due ore di ogni giornata all’esercizio fisico, con l’attrezzatura di cui dispongo: panca, pesi, elastici. Cercando di stimolare il maggior numero possibile di gruppi muscolari, sognando il momento in cui potrò almeno pedalare. Nostalgia della bici, chi l’avrebbe detto? È che non oso ambire ad altro.  Se è vero che conto i giorni che mancano al prossimo controllo, è altrettanto vero che tremo al pensiero di ciò che mi sarà prescritto. Presumibilmente, sarò dispensata dal tutore, ma quali attività potrò svolgere? Riuscirò ad indossare un paio di scarpe, sarò in grado di reggermi sul piede operato: quando avrò la facoltà di camminare? E tra quanti mesi si potrà pensare di azzardare qualche passo di corsa? Ne avrò mai il coraggio, con i fantasmi di tutto il pregresso? Mi sto già martoriando con queste paturnie, che senso ha? La ripresa, adesso, è pura fantascienza. Dovrei stare concentrata sul quotidiano e accontentarmi dei segnali positivi riscontrati fino ad oggi: è così che agirebbe una mente sana ed equilibrata. Ma un soggetto ipocondriaco e maniaco-depressivo scalpita e ulula, scorgendo un baratro dietro ad ogni curva. Eccomi dunque sempre qui a fremere, alternando momenti di iper-attività ad altri di profonda inerzia. Umore perfettamente sintonizzato con la stagione: e siamo solo all’inizio. Vorrei buttare nel fuoco stampelle e tutore: riappropriarmi del mio corpo e delle sue minime abilità. Vorrei riuscire a sperare.

venerdì 8 ottobre 2021

Navigare a vista (Day 21)

Uno potrebbe vivere nel suo buco solo tutta la vita. Sì, certo. Ma avrebbe sempre bisogno di qualcuno per calarlo nella fossa anche se se la fosse scavata con le sue mani. Tutti lo facciamo. Solo l'uomo seppellisce i morti. Quel che colpisce subito. Seppellire i morti. Dicono che Robinson Crusoe è realistico. Bene allora lo seppellì Venerdì. Ogni Venerdì seppellisce un Giovedì a pensarci bene. 
(Joyce)

Giornate che scorrono tutte uguali, ma con sempre maggiore stanchezza. Stanca di far niente, di stare scomoda in qualsiasi posizione, di incontrare difficoltà ad ogni movimento. Sempre con la paura di farmi male, ché è un attimo perdere l’equilibrio e moltiplicare i danni. Ormai ho maturato la convinzione che certe imprese deve affrontarle chi possiede i mezzi appropriati – fisici e mentali: chi può farsi beatamente assistere, chi può organizzare opportunamente gli spazi, chi ha fiducia in se stesso e nel mondo.

Vado a ripetere le analisi del sangue, ricevendo conferma della meschinità del genere umano. Che si palesa con qualcosa che va oltre l’indifferenza: una persona in bilico sulle stampelle viene semplicemente ignorata solo perché non può essere subitamente abbattuta. Manca poco che mi calpestassero, per passarmi davanti. E non va tanto meglio nemmeno là dove gli “invalidi” sono il pane quotidiano: al Rizzoli ho dovuto zampettare lungo un infinito corridoio per raggiungere l’ascensore che conduceva agli ambulatori. Fossi stramazzata al suolo, non se ne sarebbe accorto nessuno. Dopo una lunga attesa, eccomi finalmente al cospetto del mio dottore. Come va? Che dire? Non ne posso più. Già, dovevo saperlo, devo avere pazienza… No, questo non lo dice, me lo dico tra me e me, da momento che dovrei avere ben memorizzato la tiritera. La rimozione dei punti è meno dolorosa di quanto mi aspettassi, e ora pare che non ci sarà bisogno di ulteriori medicazioni. Nessun fastidio nemmeno premendo sulla zona martoriata. Il gesso può dunque essere sostituito dal tutore (nuovo di zecca): da indossare permanentemente per una settimana, sempre osservando le precauzioni adottate sinora, per poi cominciare ad appoggiare e a concedere al piede un po’ di movimento. E qui verrà il bello: stando al referto, potrò iniziare anche idrokinesiterapia e fisioterapia per rinforzo muscolare e esercizi per il ROM. A parte il fatto che non so proprio di cosa si stia parlando, mi chiedo dove andare a sbattere. In acqua, rabbrividisco solo al pensiero, e direi di scartare a priori quest’opzione. Potessi nuotare, farei forse uno sforzo, ma poiché ciò non rientra nella profilassi, opto per l’esclusione di tutte le attività al bagnato. E la fisioterapia? Chi la paga? Se almeno sapessi quali accidenti siano gli esercizi per il ROM, potrei pensare di svolgerli autonomamente. Certo, proverò a documentarmi sul web. Resta in fatto che continuo a navigare a vista – e all’orizzonte non vedo nulla di piacevole. Intanto, ho ancora una settimana di immobilità, durante la quale riflettere e rimuginare (tanto per cambiare). 


Questa condizione, se non altro, favorisce la lettura: ho piacevolmente riesumato tomi che avevo abbandonato anni fa. Letture straordinarie, che evidentemente avevo approcciato con spirito inadeguato. Ora, non so quale genere possa accarezzare il mio stato d’animo, di certo il tempo a disposizione gioca a favore di libri impegnativi. Ho deciso quindi di esagerare: ci riprovo con Joyce, per la terza volta. Duecento pagine sono già andate, ormai non mi fermo più: consapevole che per buona parte vagherò nella nebbia, sono convinta che ne valga la pena.

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