«Conto a estati, non a anni, il tempo»
Siamo
sinceri: il tutore è più ingombrante del gesso. Sarà pure la sofferenza di una
settimana, durante la quale dovrò indossarlo ininterrottamente, ma questo enorme
macigno è una vera tortura. Superati i sette giorni, mi sento come quando, al
termine di un’escursione in montagna, si tolgono finalmente gli scarponi: una
goduria che non ha eguali. Il piede può finalmente respirare. Lo muovo con
cautela, senza esagerare, con molta attenzione e tanta (troppa) paura. Decido che
è giunta l’ora di mettere in moto ciò che può essere attivato: giù a terra e
via di addominali. Sempre con la “palla” al piede, che complica qualsiasi
esercizio. Ma è bene iniziare. Ed è bene anche rivolgersi anche ad un
professionista per capire come sia meglio procedere nella riabilitazione. Dapprima,
un lungo massaggio alla cicatrice per scongiurare possibili aderenze. Sensazioni
piacevoli. Pizzica un po’, ma è quella specie di fastidio che dona tanto
benessere, una sorta di risveglio dei sensi dopo un prolungato torpore. Si passa
poi ad una serie di mobilizzazioni attive: devo usare la forza, che ovviamente
scarseggia, ma spingo meno di quanto potrei, sempre per eccesso di timore. Va bene
così, il tallone e vivo e vegeto, non mostra particolari segni di sofferenza –
per quanto, ai miei occhi, la ferita appaia orripilante. D’ora in poi dovrò
sbrigarmela da sola. Comincio così a dedicare una o due ore di ogni giornata
all’esercizio fisico, con l’attrezzatura di cui dispongo: panca, pesi,
elastici. Cercando di stimolare il maggior numero possibile di gruppi
muscolari, sognando il momento in cui potrò almeno pedalare. Nostalgia della
bici, chi l’avrebbe detto? È che non oso ambire ad altro. Se è vero che conto i giorni che mancano al
prossimo controllo, è altrettanto vero che tremo al pensiero di ciò che mi sarà
prescritto. Presumibilmente, sarò dispensata dal tutore, ma quali attività potrò
svolgere? Riuscirò ad indossare un paio di scarpe, sarò in grado di reggermi
sul piede operato: quando avrò la facoltà di camminare? E tra quanti mesi si
potrà pensare di azzardare qualche passo di corsa? Ne avrò mai il coraggio, con
i fantasmi di tutto il pregresso? Mi sto già martoriando con queste paturnie,
che senso ha? La ripresa, adesso, è pura fantascienza. Dovrei stare concentrata
sul quotidiano e accontentarmi dei segnali positivi riscontrati fino ad oggi: è
così che agirebbe una mente sana ed equilibrata. Ma un soggetto ipocondriaco e
maniaco-depressivo scalpita e ulula, scorgendo un baratro dietro ad ogni curva.
Eccomi dunque sempre qui a fremere, alternando momenti di iper-attività ad
altri di profonda inerzia. Umore perfettamente sintonizzato con la stagione: e
siamo solo all’inizio. Vorrei buttare nel fuoco stampelle e tutore: riappropriarmi
del mio corpo e delle sue minime abilità. Vorrei riuscire a sperare.