mercoledì 25 aprile 2012

Jon Krakauer, ARIA SOTTILE


Non è un libro per te. Perché no? Forse perché non ho mai provato interesse per l’alpinismo? O forse perché la montagna non ha saputo scatenare in me un’autentica passione (tante magnifiche escursioni, è vero, alcune decisamente indimenticabili, ma archiviate nel cassetto dei ricordi dopo lo schianto su quello stupido sentiero)? Oppure a causa della mia totale avversione verso tutto ciò che è estremo? Questo è vero. Ma non è l’impresa in sé ad attrarmi, né il luogo nella quale si svolge. È che ho un disperato bisogno di infilarmi negli ingranaggi della motivazione, carpire i meccanismi mentali che permettono di dominare le reazioni fisiche, cogliere spunti che possano fungermi da ispirazione. Certo, la bibliografia pullula di testi che promettono metamorfosi strabilianti, ma i facili indottrinamenti restano carta stampata. Io devo immergermi nelle pagine, perdermi tra le parole, entrare nel libro e scordarmi di tutto il resto: solo così potrò conservarne fertili tracce. E per far sì che ciò accada, è necessario che chi scrive non sia un saggio qualsiasi: per quanto colto, preparato, competente, se non riesce a catturarmi lo abbandono al primo capitolo.
Di Krakauer conosco ben poco. E, a ben pensarci, quel poco non è molto invitante. Il film da cui è stato uno dei suoi libri è infatti tra i più insopportabili che abbia mai visto: fossi stata sola, sarei uscita dal cinema dopo una ventina di minuti, anziché sopportare per  tre ore le cazzate di un bamboccio odioso. Un film, appunto: i libri sono altra cosa. Mi auguro che un autore affermato sappia narrare con profondità fatti tanto sconvolgenti quanto dibattuti.
Mi sono spesso chiesta cosa spinga un individuo a sfidare la sorte, in una prova che ha scarsissime possibilità di successo. E successo, in questo caso, non significa conquistare la vetta: significa sopravvivere. Uno su quattro ce la fa, media agghiacciante. Disinteresse per la propria sorte, presunzione di onnipotenza, ossessione totale e totalizzante verso un obiettivo che si impone come unica ragione di vita? Krakauer non fornisce una risposta: Krakauer descrive i fatti esattamente come li ha vissuti, riportando pensieri, impressioni, deliri di un uomo che è stato protagonista di un’immensa tragedia. Ho divorato questo libro, ripetendomi in continuazione: "Com'è possibile?". È vero che la vicenda è già sconvolgente in sé, come probabilmente lo sono tutte le avventure analoghe. Ma un conto è la fredda cronaca di un episodio, toccante sul momento, ma svanita un attimo dopo. Aria sottile è tutt’altro. L’autore rende tangibile l’inimmaginabile,  dà concretezza all’inverosimile, e quasi ti trascina nel suo vortice di follia. Sfidare la morte, sfiorare la morte,  portare la morte in sé – irrimediabilmente. È questo che Krakauer racconta, trafiggendoti con le sue considerazioni. Non fornisce risposte, perché risposte non esistono. Domande, dubbi, inquietudini: questo è ciò che resta. Un testo inquietante, che è difficile lasciare. Appena terminato, l’ho subito ricominciato: dovevo tornare su certi concetti, riappropriami di alcune riflessioni, sottolineare, annotare, meditare. Mi sono sentita vicina a quest’uomo, una sorta di affinità elattiva - chi l’avrebbe detto? E pensare che non doveva essere un libro per me…

domenica 22 aprile 2012

Lovoleto nella tormenta

Le illusioni hanno vita breve, svaniscono nel nulla come palloncini trasportati dal vento. Il vento, appunto. Da spostare le gambe. Ma sarebbe troppo facile attribuire alla bora il triste esito di una gara tanto sospirata. Ormai è storia, con Lovoleto ho un rapporto speciale – forse troppo speciale. Sì, perché succede che finisca per caricare di eccessive aspettative un evento che dovrebbe essere ponderato come tutti i suoi simili: prendendo cioè in considerazione ogni fattore che abbia caratterizzato la preparazione fino a quel giorno. Quindi, se le condizioni fisiche, mentali, ambientali non hanno prodotto allenamenti brillanti, inutile aspettarsi miracoli. Peccato che la mente a volte abbia voglia di crogiolarsi in belle speranze, alimentate da sparuti episodi di sorprendente efficienza. Insomma, dopo una mezza da non buttare e un diecimila conquistato con i denti, credevo di trovarmi in una fase di crescita. Invece, a crescere sono stati solo i minuti accumulati, in una gara che ho portato a termine solo grazie all’incoraggiamento della buon anima che mi ha seguito in bici. Senso di pesantezza sin dai primi chilometri, quando ancora pensavo di poter restare agganciata alle ragazze poco più avanti. Le gambe non girano come vorrei, sono già impiccata e siamo appena a metà. Il peggio, inoltre, deve ancora arrivare: oltre quella curva il vento si accanirà contro di me, e io soccomberò come una foglia in autunno. Mi sento già sconfitta, mentalità perdente, senza speranze. Avessi solo la metà della grinta di chi mi precede… Ma sono qualità che non si costruiscono, o ci sono o non ci sono. E io non ci sono. Non oggi, non qui. Mi sembra di retrocedere anziché avanzare, un passo avanti e due indietro, ogni accenno di reazione viene spazzato via dall’ennesima folata. E lo speaker, al mio arrivo penoso, osa persino accennare alle mie numerose presenze nell’albo d’oro - come dire: ecco l’ex atleta sul viale del tramonto.

Ora bisognerebbe analizzare le ragioni di un simile sfacelo: errori nella programmazione, acciacchi condizionanti, preoccupazioni incidenti? Le ipotesi si sprecano, tanti i fattori da valutare ma nessuna certezza sulla quale intervenire. E adesso? Adesso sarebbe già buona cosa riuscire ad evitare previsioni catastrofiche. Il 2012 è iniziato nel peggiore dei modi, si dovrebbe ipotizzare che possa solo migliorare, no? Difficile però diradare i nuvoloni che si accumulano all’orizzonte di un anno dal quale ci si attendeva tanto. Inutile, non posso permettermi rosee prospettive, nemmeno nelle rarissime giornate in cui il vento sembra a favore. Azzerare tutto e ricominciare da capo. Ancora una volta. Finché avrò energie per farlo.


PS: Naturalmente questi crucci sono inezie rispetto a quanto accaduto sul campo. Nerio però lo sa bene, noi parliamo solo di corsa: e non aspettiamo altro che tornare a farlo insieme a lui.

domenica 1 aprile 2012

S. Agata col botto

Un evento straordinario. Non era mai successo, e ancora mi chiedo come sia potuto accadere. Sul rettilineo finale mi sentivo ormai al sicuro – sciocco errore di valutazione, frequente per chi non si guarda mai alle spalle. Invece, ecco una fantastica Maggie che sfreccia agguerrita: giusto che sia così, la ragazza ha ormai preso il volo e presto scomparirà dal mio orizzonte. Sono più morta che viva, ma riesco ad emettere un flebile “Brava Maggie”. Dunque, ho ancora una minima riserva di fiato, devo proprio stare a guardare? Aspetta che ci provo. L’arco è lì, a uno sputo, giusto lo spazio sufficiente per una lotta all’ultima goccia di sudore. Uno scatto d’orgoglio, e riaggancio la quinta posizione che avevo appena perso. Il pubblico incita, sono tre i nomi che avverto: c’è quindi un’ulteriore minaccia in avanzamento. Spingere alla morte, nessuna tregua è ammessa, non ora. Resisti, resisti, resisti. È fatta! Mai traguardo è stato più combattuto, l’arrivo in volata è un’emozione che non avevo ancora provato. Maggie mi scuserà ma, si sa, la gara… Lei, poi, chissà quante soddisfazioni potrà ancora togliersi: questa vecchietta, invece, deve giocarsi al meglio le poche cartucce che ormai le sono rimaste. Non che abbia perso mordente, sia chiaro, ma è inevitabile fare i conti con margini sempre più ristretti. L’esperienza di oggi, però, è di quelle che lasciano il segno, e per questo devo ringraziare chi ha fatto scattare in me una forza che non credevo mi appartenesse: devo fare mia questa reazione, e conservare in uno scrigno le sue belle parole del dopo gara.

Gara sulla quale non avrei giocato un centesimo e che, tutto considerato, privata di questo evento (personalmente, storico), potrebbe essere archiviata senza lasciare traccia. Perché correre alle cinque di pomeriggio è già di per sé un atto di violenza. È vero, sì, che questa è l’ora in cui solitamente mi alleno, quindi il mio metabolismo dovrebbe essere ben rodato, ma un conto è svolgere un compito quotidiano, altra storia è affrontare una competizione: un’intera giornata in cui non puoi né fare né pensare ad altro. Con l’aggravante di un raffreddore e martello in testa da due giorni. Devo proprio esserci? Certo che sì! Uff, non se ne può più di queste gare, tutti gli anni le stesse. Ma che lo dico a fare? Il menu non offre altro, e migrare verso altri lidi è un sogno irrealizzabile. Perciò, eccoci qui, anche oggi. Entusiasmo zero, forma fisica più o meno uguale, perciò vale sempre la medesima regola: dare il massimo, qualunque esso sia. Brillante nei primi cinque km, fase calante nella seconda metà. Solita gestione da principiante. E imprevedibile chiusura col botto - come si è già detto.

È arrivata la primavera, speriamo di uscire definitivamente dal letargo.
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