lunedì 26 dicembre 2011

Mr Gwyn: Baricco è tornato

Non ricordo se mi sono innamorata prima del Baricco scrittore o del Baricco affabulatore. Certo è che a quei tempi – i tempi di Oceano Mare e Seta, di Pickwik e Totem – qualsiasi cosa scrivesse o pronunciasse mi ammaliava. Alzavo gli occhi dalle pagine e fissavo il vuoto, come ipnotizzata, per poi chiedermi come fosse possibile che frasi tutto sommato così semplici sapessero evocare immagini di assoluta suggestione. Con una leggerezza e una facilità quasi irritanti: ma come fa, accidenti a lui? E come riesce a rendere attraente qualsiasi libro passi tra le sue mani? Ricordo che un commesso di Feltrinelli disse che i romanzi che Baricco citava avevano immediatamente un picco di vendite. Ci sono cascata anch’io, peccato che il più delle volte quei testi su di me non abbiano prodotto lo stesso effetto: la qualità della divulgazione aveva superato la qualità del prodotto originale.
Non si è mai distinto per particolare simpatia, lo riconosco. Ma, come si dice, nessuno è perfetto. Il suo piglio un po’ snob non sarebbe stato un difetto, se non avessi riscontrato uno scadimento nella sua produzione: come se la fama, l’ammissione a personaggio da copertina, il proliferare di attività collaterali avesse affievolito la vena creativa del romanziere. Il processo parrebbe quasi scontato: troppo preso dalla promozione di sé e del suo sapere, resta ben poco con cui riempire le pagine. Dopo Seta, non ho rilevato nulla degno di nota. Fatico persino a ricordare il titolo dei successivi romanzi. 
Così, anche questo Mr Gwyn ha rigirato tra le mie mani con molta circospezione. Non ho saputo resistergli, era ovvio. Ma nutrivo un certo timore nell’approcciarlo: troppi condizionamenti rischiavano di inficiare il mio giudizio. L’amore dei tempi passati e la delusione delle prove più recenti si alternavano, stridendo: quale avrebbe prevalso in corso di lettura? Sarei riuscita a mettere a tacere entrambe, affrontando il nuovo romanzo con una semplice, sana e ingenua curiosità? È quanto ho tentato di fare. Sono bastate poche pagine: per alzare gli occhi dal libro, fissare il vuoto ed esclamare E’ tornato!
Quelle asserzioni abbaglianti buttate lì come nulla fosse; quella pennellate che danno colore ai sentimenti, senza mai nominarli; quei personaggi tanto assurdi quanto straordinari. Storie piccole, che evocano altre storie, eppure spiccano per la loro singolarità. Questo è il Baricco che amavo: il Baricco che amo, simpatico o antipatico che sia.

domenica 18 dicembre 2011

Castelmaggiore - Maratonina del Progresso

Perdere la quinta posizione ad un paio di chilometri dall’arrivo è un duro colpo, considerando che saranno premiate le prime cinque. Chissà, magari con un po’ di grinta in più, o con qualche incitamento, avrei potuto riagguantare il margine perduto. Ma tant’è, oggi è andata così. E mi dicono che dovrei essere contenta, perché il tempo realizzato è di tutto rispetto. Due minuti in meno dell’anno scorso non significano nulla? Sì, però allora la strada era ghiacciata. Allora, tutti i lavori, in salita vuoi che non ti siano rimasti nelle gambe. Certo, avrei dovuto fare almeno un po’ di scarico questa settimana. Insomma, va bene tutto, ma io contavo di rientrare nella cinquina, quindi non posso dirmi soddisfatta. Non è una novità? Vero anche questo. Significa che sono perennemente stimolata a fare meglio, no? Se questa testa fosse solo meno bacata… Innanzitutto, dovrei smetterla di farmi condizionare dalle performance più o meno sorprendenti delle mie avversarie: partendo dall’ovvio presupposto che dovrò sempre vedermela con questa o con quella (se no che gara sarebbe?), se credessi maggiormente in me e nelle mie possibilità eviterei di rimuginare ogni volta sui bicchieri mezzi vuoti. A quel mezzo pieno vogliamo buttarci un occhio, una volta ogni tanto?
Ci sarà tempo per le riflessioni. Il bilancio di fine anno dovrà tenere conto di svariati fattori. La corsa mi ha salvato dal baratro e, nella bufera, certi progressi hanno del miracoloso. Avrò modo di approfondire. Ciò che invece non può aspettare è l’accantonamento della lieve delusione odierna. Basta gare, almeno per un mese e mezzo. Che i frutti maturino nella giusta stagione.

domenica 20 novembre 2011

Una ragazza di campagna

Per qualche misteriosa ragione, la società preferisce vederci schierati al via del Trofeo Nassetti, piuttosto che a quello della Due Mulini. Così mi sono lasciata convincere, nonostante le mie gambette non fossero molto del parere: tutta quella salita, a solo una settimana dalla maratona? Suvvia, non è poi così dura. E un po’ di potenziamento, giusto per richiamo, potrebbe risultare funzionale ai prossimi impegni.
I ricordi di questa gara sono molto vaghi: risalgono al 2004, ed ero reduce da ben due maratone – Carpi e New York. Allora guadagnai parecchio terreno in salita, perdendone altrettanto in discesa. Stavolta però sento che faticherò di più nell’arrampicata, i muscoli sono ancora provati e hanno ormai dimenticato tutti i collinari dei mesi estivi. In compenso, saprò lanciarmi in picchiata: su questo versante ho fatto progressi – sempre che i pendii non siano sterrati.
La competizione si rivela un tira e molla tra me e Monica. Non ho idea di chi ci preceda, né controllo chi abbiamo alle spalle. Mi illudo che ci stiamo giocando la quinta posizione e mi fisso su questa ipotesi. In un tratto che percepisco di una durezza infinita, lei mi stacca, definitivamente. Faccio di tutto per ricucire lo strappo, ma il margine resta inviolato. La fatica di oggi supera di gran lunga quella di domenica scorsa. Il piazzamento, poi, è alquanto deludente: altro che quinta posizione, lei ottava e io nona. Prestazione insignificante. Certo, non potevo aspettarmi nulla di brillante. Ma nemmeno di tornare a casa senza la minima soddisfazione. E non si tratta solo della mia (scarsa) prova, ma del contesto di questa gara - chissà perché piace così tanto. Il ristoro è tra i più miseri che abbia mai approcciato, il pacco gara pressoché inesistente (un portachiavi, so già dove finirà), gli spogliatoi inaccessibili ai podisti. Il percorso potrà forse apparire suggestivo, ma questo non è certo un merito degli organizzatori. Insomma, oggi era meglio stare a casa e rimandare di una settimana l’impegno agonistico. Anche perché inevitabilmente domani il fisico chiederà il conto. Me la sono cercata, niente da dire. Devo però esorcizzare quanto prima questo senso di inconcludenza: domenica prossima ci riprovo.

Riprovo cioè a realizzare qualcosa che possa avere un senso: un tempo finale soddisfacente, un piazzamento significativo, un risultato, insomma, per qualche verso gratificante. Perché mi sembra alquanto improbabile che quella gara che ci suggerivano di evitare sia ambita da atlete di livello stellare. Ovvio, ci saranno sempre i fenomeni irraggiungibili, ma non certo più di quanti ne abbia incontrato (per modo di dire) ad Ozzano. Anzi, se non fosse per quel tratto sterrato che mi rovina la media, la Due Mulini sarebbe ottima per le mie caratteristiche.

Certo che questo clima… Tornare dall’allenamento col ghiaccio tra i capelli è un’esperienza che speravo di avere archiviato per sempre. Quell’inverno mi stese al tappeto, non mi sono più rialzata del tutto. Cosa dovrei pensare, ora che siamo solo in novembre? Evitiamo catastrofismi, ma evitiamo anche di sbatterci alla rincorsa di una performance alquanto improbabile. L’anticipo di inverno ha smorzato i miei entusiasmi: cambio di programma! Proverò a riscattarmi a Lavino, poi invertirò la rotta.

Due gradi sottozero, inizio il riscaldamento, ma i piedi si assiderano strada facendo. E se tornassimo a casa? Dico davvero! Tanto anche oggi finirò come un cane bastonato, ho già individuato la folta schiera delle pretendenti al podio e oltre. D’accordo, ormai siamo qua, tanto vale…
Tengo il ritmo, più di così non potrei andare. Non un granché, ma oggi è una prova di sopravvivenza. Ansimo come un moribondo, e il gelo mi attanaglia la gola. Ho persino l’impressione che si siano ghiacciate le lacrime dentro agli occhi, tanto mi risulta fastidioso sbattere le palpebre. Che disagio correre senza occhiali, ma con questa nebbia sarebbe servito un tergicristallo. Al settimo chilometro penso che siamo già a metà – ed è una considerazione decisamente positiva. Lo sterrato arriva però a mettermi alla prova – e l’ha sempre vinta lui, specie nella cavedagna più impiastricciata. Nulla di terribile, lo ammetto, ma io lo affronto al solito come una papera nel fango. Cerco di rifarmi una volta tornata sull’asfalto, per quel poco che manca. Se non altro, nessuna approfitta della situazione. Quinta. Tempo inferiore a quello del 2010. Senso compiuto.

Ora concediamo a questi poveri muscoli un po’ di respiro. Quanto basta per avvicinarsi al 2012 con la giusta carica – sempre che sopravviva all’inverno.

domenica 6 novembre 2011

Maratona Internazionale Ravenna Città d'Arte: SECONDA!!!

Sprofondata nel divano, Nina sulle gambe, cerco di sciogliere quel nodo che stringe in gola ogni volta che assisto alle immagini della folla sul Ponte di Verrazzano. Inutile nasconderlo: è là che vorrei essere. Inutile cercare di spiegarne le ragioni: finirei col ripetermi. Ma è anche inutile continuare a rimuginare: oggi non c’è spazio per la tristezza. Evidenziamo bene questa data, perché ciò che si è realizzato stamattina difficilmente potrà replicarsi. E pazienza se la partecipazione era scarsa: io c’ero. 

Sul cielo plumbeo prende forma un vivido arcobaleno. Non piove più, anche il vento si sta calmando. Contrasti di luce e di colori: la campagna riesce sempre ad affascinarmi. Quando riferirò questi particolari susciterò grande stupore: io che noto il paesaggio mentre corro? Davvero strano. Sarà che sto bene. Nessuno sforzo, il ritmo scorre facile. Durerà? Ma certo, perché non dovrebbe? Il passaggio alla mezza è ottimo, resta “solo” un’altra metà. Ho trovato diversi compagni occasionali, strada facendo: anche questo è un fatto insolito. Altrettanto strano è l’avviso di un ciclista che ci incrocia: sei seconda. Figuriamoci! Nella mischia tra chi si fermerà al trentesimo e chi proseguirà oltre, come avrà potuto contare le donne in gara? Meglio non pensarci, c’è ancora tanto da correre. Soprattutto, il peggio deve ancora venire. Se il lunghissimo lungofiume mi aveva proiettato in una sorta di trance (quanto amo gli infiniti rettilinei!), ora la città richiede ben altra concentrazione. A breve, un bivio dividerà le sorti del gruppo, qualcuno già allunga per lanciarsi sull’arrivo. Mentre per i maratoneti inizia la caccia all’indicazione. Attimi di panico, adesso dove si va? L’incubo che si materializza! Sì, perché capita occasionalmente che le mie notti siano disturbate da un sogno inquietante: sto gareggiando e, per qualche ragione, sbaglio strada. Capitasse davvero, proprio oggi, potrei commettere una strage! Un cartello giallo e un signore con la bandierina mi riportano alla realtà: sono ancora in gara e, innanzitutto, ancora in buona spinta. Individuo una sagoma familiare: Gaetano, possibile? Avrei voluto averlo accanto dall’inizio, sarebbe stato un buon traino, ma lui è partito sparato e chi l’ha visto più. Sul cavalcavia mi avvicino, e scendendo lo supero: Dai, vieni! Gli offro uno stimolo, ma non riesce a reagire più di tanto. Mi spiace, ma io proseguo. Qualcuno ha detto ancora che sono la seconda donna, che sia vero? Tra lo sterrato dei parchi, il labirinto di curve e il lastricato del centro storico, mantenere questa andatura ha del miracoloso. Rimbalzano voci sulla mia posizione, comincio a crederci davvero. Ma non posso accontentarmi, ho un tempo da sfidare e devo avere io la meglio. A tutta, fino alla fine. Si può fare. Un ragazzo in bici si accoda e comincia ad incitare. Penso sia l’amico del podista che ho appena affiancato, il suo tifo mi è comunque d’aiuto. Si preoccupa anche di precederci per sgomberare la strada dai cittadini a passeggio. Sia lui che l’amico si accalorano. Sei seconda, sei seconda, brava, brava, a braccia alzate! Mai sentito tanto entusiasmo da un compagno di corsa. Mai arrivata con tanta spinta al traguardo di una maratona. L’annuncio dell’arrivo della seconda donna, seguito dal mio nome, è un suono che non credevo avrebbe potuto accarezzare i miei timpani.


Certo, so benissimo che il piazzamento ha un valore relativo, dovendo essere contestualizzato. È comunque un fatto, per me importantissimo. Così come è importantissimo il tempo realizzato: anche questo deve essere contestualizzato. Perché la pioggia e il vento, il groviglio di strade e la varietà di pavimentazione hanno certamente condizionato la prestazione. E che dire del particolare momento della mia vita in cui ho piazzato una maratona? L’ultima settimana impegnata nel trasloco, con tutti gli annessi e i connessi. Insomma, non credo peccare di presunzione nel ritenere che, in condizioni più favorevoli, qualche minuto si poteva limare. È un impegno per il futuro. Finalmente comincio a crederci.


I messaggi di congratulazioni hanno cominciato a fioccare subito dopo il mio arrivo: da Federica, che aveva da poco terminato la sua prova, a Luciano che era alle mie spalle e non lo sapeva (e nemmeno io mi sono accorta di averlo superato: che magnifica sorpresa ritrovarci dopo anni, in una così importante occasione); Antonio, che non ha potuto correre con me; Mirko e Monica, impegnati nella gara sociale; Katia, che mi ha individuata sul web. E poi Maggie, Alberto, Scianca, Sabrina, Luca, Sarah, e quanti altri?... Spero che l’orso sia riuscito a ringraziare tutti, fosse anche con un ruglio.

domenica 16 ottobre 2011

Maratonina di Cremona

Seconda puntata della serie “Cosa ci faccio qui?”. Il bollino rosso sul pettorale ci ha aperto l’accesso all’area di partenza riservata ai top runner – il perché resta un mistero, forse dipende dall’iscrizione al campionato italiano fatta dalla società. Tremo dal freddo, la temperatura rigida deve avermi atrofizzato i pensieri, ho infatti la mente sgombra da qualsiasi assillo. Non avverto tensioni, quasi si trattasse di una tapasciata qualsiasi. Cosa mi sta succedendo? Comincio ad agitarmi solo quando la massa di podisti alle nostre spalle comincia ad avanzare verso di noi: tremila persone che si apprestano a calpestarmi. Lo sparo scatena le bestie, l’impresa ora è restare in piedi. Barcollo per qualche centinaio di metri, incapace di impostare un decente assetto di corsa. Fortunatamente l’incubo è di breve durata, la strada si allarga e trovo la mia scia. Ritmo allegro, ma non forsennato: azzardato immaginare di mantenerlo fino alla fine? Può darsi, ma è ancora troppo presto per fare i conti. Di tanto in tanto, mi appaiono flash dell’edizione dei bei tempi: ne ho vaghi ricordi ma, ripensandoci, constato che forse anche allora affrontai la gara con una sorta di sospensione del giudizio. Non avevo neppure calcolato quale ritmo avrei dovuto mantenere per realizzare un ipotetico tempo ideale: ottenni quel risultato, con discreta agilità. Bei tempi, si diceva.
Un po’ di tifo carica sempre. Al decimo penso che siamo ormai a metà, come se mancasse poco: ottimo segnale. Salto anche questo ristoro, troppo affollato (non ho ancora esorcizzato il mio terrore): spero nel passaggio della bottiglia da parte di qualche anima buona, ma ovvio che ognuno faccia per sé. Poco male, in fondo la sete non è un problema. Anche i guanti, di cui avrei voluto liberarmi dopo pochi chilometri, ora non danno più fastidio. Né caldo né freddo, meglio di così! Sento che posso spingere ancora, e quasi mi spavento: se poi scoppio? Trattenersi o lasciarsi andare? Ascolto le sensazioni, sempre buone, e procedo a caccia di sorpassi. Atlete che mi sembravano irrimediabilmente lontane si fanno via via più vicine. Ne supero un paio, e subito punto a quella successiva. Siamo ormai al diciottesimo, nessun indugio è più ammesso. Guadagno ancora qualche posizione, guardo il crono e vedo numeri che mi piacciono tantissimo. La ragazza che ho appena superato viene incitata da un suo sostenitore, galvanizzata mi riprende. Io non demordo e torno davanti. Manca un chilometro, per un attimo mi sento appagata, come se avessi già esaurito il mio compito. Ma è proprio adesso che bisogna sputare sangue. Vado in apnea, ma la rampa finale ha anche stavolta un effetto deleterio: i pietroni mi frenano, e lei ne approfitta. Dopo mi chiederà addirittura scusa - Scherzi? Scusa per cosa? La gara è gara, sei stata bravissima, complimenti! Io invece avrei potuto spremermi un po’ di più, non ho espresso grinta a sufficienza. Il tempo è ottimo, ci mancherebbe, il migliore dal lontano 2006. Resta però la percezione di non avere dato tutto il possibile, di avere lasciato margini inespressi. Posso interpretarlo come un buon pronostico, certo, ma condizioni perfette come quelle di oggi sarà difficile ritrovarle: clima secco, temperatura moderatamente fresca, assenza di vento, percorso agile (né nervoso né monotono), ritmo stimolato dai tanti podisti lungo tutto il tracciato. Inoltre, la lontananza e il senso di anonimato: l’ho già constatato, cambiare aria mi fa bene. Lontana dalle solite strade, dalle solite sfide, dai soliti confronti, mi sento più leggera. Non conosco nessuno e nessuno mi conosce: sono tra migliaia di persone, ma è come se fossi solo con me stessa. Tutto torna: l’orso si conferma tale. Prima di andare in letargo, però, deve ancora sistemare alcune cose.

domenica 9 ottobre 2011

Zena, Savigno e dintorni

Il lungo è un’esperienza mistica: un confuso monologo interiore scandito da ritmo del respiro, un flusso di (in)coscienza che affastella immagini, pensieri, sensazioni. C’è sempre un po’ di apprensione nell’approccio: l’impresa richiede un notevole impegno di forze fisiche e mentali la cui gestione non ha nulla di scontato. La compagnia può aiutare, c’è chi non può farne a meno. Non io. Questione di abitudine, o di indole – certe bestiacce o si sa come prenderle, o meglio lasciarle perdere. Oggi mi lascio perdere. E lascio perdere anche gli scaffali da svuotare e le scatole da riempire: a Jader l’incombenza. Stamattina va così. E non è che la cosa mi entusiasmi. Con tutto quello che c’è da fare, penso solo a correre: e mentre corro, penso a tutto quello che c’è da fare. Parto malissimo. Fatico a carburare e mi sento immediatamente fuori giri: con queste premesse, dove credo di andare? C’è vento, ovviamente contrario. Se sforo anche solo di un secondo mi altero, così rischio di scoppiare subito. Non va, non dovrei essere qui, non avrei nemmeno dovuto iscrivermi: come si può pensare ad una maratona, nel bel mezzo di un trasloco? Smettila, e vai forte! Se non ci fossi tu… Beh, a dire il vero oggi manchi davvero. Anzi, è in assoluto la prima volta che non mi segui in un lunghissimo. Già ti sento: Come è andata? La mia risposta può essere una sola, e devo portartela a casa con entusiasmo.
Le gambe cominciano a sciogliersi. Chissà, forse ci voleva la salita per risvegliarle. Questo è il tratto più impegnativo, fino al giro di boa c’è parecchio da faticare. Ma è come se fossi spinta da nuova energia. Succede, nel lungo. All’inizio si arranca, si vorrebbe avanzare subito a perfetta andatura, ma la partenza repentina non lo consente. È che, in prospettiva di tanti chilometri,  il riscaldamento diventa un optional. Come in rodaggio, si sbuffa per un buon tratto. Fino al varco. Non ha una linea ben definita, né è segnalato con preavviso: inaspettatamente, ti accorgi che stai correndo in scioltezza, senza curarti d’altro. Come in trance. La sfida diventa allora mantenere questo stato di grazia fino alla fine. Ecco Zena: dietrofront! Adesso è più facile, si frulla che è un piacere. Superate le salite più dure, mancano “solo” dodici chilometri, dolcemente ondulati. Sto correndo troppo bene, mi aspetto il botto da un momento all’altro. Arriverà in prossimità del cartello 5, non so perché ma lì inizia per me il tratto più ostico. Eccolo. Non succede nulla... Passo il 4, ancora tutto bene. Vedo il 3, e penso che ormai è fatta. Al 2 prendo la rincorsa, adesso c’è quella salita che mi stronca. L’1 è passato, avanti a tutta!


 
Fossi arrivata con questa spinta anche alla fine della Bologna-Savigno, domenica scorsa. Quel giorno la mia tabella prevedeva 30 km, la gara cadeva quindi a fagiolo. Ovviamente, lungi da me l' intenzione di svolgerla tranquillamente, come un qualsiasi allenamento. Impensabile: quando attacco il pettorale, scatta la molla della competizione, soprattutto se un buon piazzamento è alla mia portata.
Assaporo l’ebbrezza della prima posizione fino al sesto chilometro, quando un Ciao bella infrange i miei sogni di gloria. Come ipotizzato, ecco l’outsider che rompe le uova nel paniere. L’avessi vista alla partenza, non mi sarei illusa. Invece la forte atleta modenese che conobbi due anni fa alle Eolie (e che miracolosamente precedetti a Lucca, il mese scorso), sbuca all’improvviso, saluta e se ne va. Pazienza, cerchiamo almeno di mantenere un distacco dignitoso. Percorso infame, questo: sempre a corda tesa, finché ti abbatte definitivamente verso il venticinquesimo chilometro. Dalla regia mi avvisano che chi mi precede ha percorso l’intera salita camminando, alle prese coi crampi: potrei quindi avere qualche speranza. Mi impongo di continuare a correre, anche se l'andatura non differisce molto dal camminare svelto. È però una questione mentale: se cedo alla pendenza, mi sento sconfitta. Insisto a sfidarlo, questo Mongiorgio, ma lui è più forte di me. A poco serve, infatti, lasciarsi andare in picchiata, dopo un chilometro di agonia: al termine della discesa, sono piantata. Avverto anche un vago senso di nausea. Arriverò alla fine? Già mi vedo calpestata da tutto il mondo podistico che ho alle spalle. Cerco disperatamente immagini positive dentro di me, ma nulla riesce a liberarmi dal piombo che ho nelle gambe. Come rovinare, in soli tre chilometri, una prestazione fino a quel punto discreta... È vero, doveva essere solo un allenamento e, in quanto tale, è stato svolto alla grande. Quel finale così sofferto, però, lascia un pessimo sapore: devo addentare al più presto qualcosa di più gustoso.

domenica 18 settembre 2011

Porretta - Lizzano

Brrr, qui c’è aria da neve! Beh, forse esagero, ma scommetto che ai piedi del Corno se non nevica, poco ci manca. Quel monte è come il castello di Fata Morgana: perennemente circondato da nubi minacciose. Riuscire a scorgere la croce issata sulla cima è un evento, il più delle volte è necessario raggiungere la vetta per individuarla. È anche vero che, in giornate di raro nitore, proprio da quella vetta è possibile intravvedere il mare. Ma questa è un’altra storia - la storia di un’escursionista che ha abbandonato gli scarponi da quando un’improvvida discesa le ebbe procurato un’amara cicatrice. La passione per il trekking frantumata nell’attimo di un grido – e amplificata a dismisura quella per la corsa.

Un’altra storia, si diceva. Quella che mi porta ancora qui, sulla strade che conducono al parco del Corno alle Scale. Di nuovo a Porretta, come un mese fa, ma stavolta diretta a Lizzano – come un anno fa. La medaglia d’oro del Trofeo Alto Reno è già mia (sempre che non stramazzi lungo il percorso): partire con una certezza è un fatto eclatante, specie per chi di certezze non ne possiede pressoché alcuna. Non sia mai che questa evidenza mi tolga quel minimo di determinazione indispensabile per affrontare una gara tanto impegnativa. Figuriamoci! Una prova sotto tono abbatterebbe il mio morale, già tanto precario: non me lo posso certo permettere. In questa fase sto mettendo costantemente alla prova i miei margini di miglioramento, e l’obiettivo di oggi è portare a casa un’ulteriore conferma. Certo, se non avessero cambiato il percorso avrei un preciso punto di riferimento, limare qualche minuto al crono dell’anno scorso era infatti ciò a cui ambivo. Ma così, con un chilometro in meno, a cosa posso puntare? Al piazzamento? Parametro affatto significativo: le concorrenti sono diverse e, sicura vincitrice a parte, ne ignoro le caratteristiche. Alle mie sensazioni, forse. Ricordo una sofferenza infernale, certe salite affrontate sulle ginocchia, persino qualche tratto camminato. Eh no, stavolta di camminare non se ne parla proprio. Ho zompettato allegramente (più o meno) su rampe ben più temibili, non sarà certo una Porretta-Lizzano a mettermi in crisi! Vedremo poi la media finale, almeno quella qualche indicazione la potrà fornire.

Nemmeno stavolta ho coscienza della mia posizione, temo di essermi persa qualcuna che non ho più visto dopo la partenza. Ovviamente non mi guardo alle spalle, ma vado avanti tranquilla, ché le gambe girano bene. Il vento infastidisce meno di quanto avevo paventato, il caldo è discreto ma sopportabile: si corre piacevolmente. Devo preoccuparmi? Intendo: non sarà che queste belle sensazioni siano sintomo di una partenza avventata, che pagherò strada facendo? Ma no, non ho esagerato. Del resto, sono solo 15 chilometri scarsi, mica ci si può industriare con chissà quali tattiche. In costante salita, poi, si può solo sperare che le gambe non cedano all’improvviso. Che strano, non è dura come la ricordavo. Eppure fu proprio qui che mi bloccai di colpo, col traguardo distante anni luce. Il cartello segna 12, ne mancano due o tre? Non ho capito bene quale sia l’effettiva lunghezza di questa gara, ciò che conta è che ormai ci siamo e, soprattutto, che sono ancora sufficientemente in spinta. A breve saremo deviati verso l’arrivo, mentre i più temerari proseguiranno diritti verso il Cavone. C’è un muro da scalare prima di vedere la fine, ce la dobbiamo proprio guadagnare questa meta. Quasi travolgo i giudici, che non so cosa stiano pasticciando (tanto per cambiare…): basta che annotino correttamente la mia presenza e il mio risultato – che è di tutto rispetto.

La medaglia è davvero bellissima. La foto che la ritrae altrettanto: è stata pubblicata su tutti i giornali, sono quasi diventata famosa… Ci vuole proprio poco, è vero, ma questo poco mi aiuta a sorridere – e solo io so quanto ne abbia bisogno.


domenica 11 settembre 2011

Lucca - Campionati italiani 10 km

Era troppo caldo per correre forte, sudavo io a fare il tifo.
Questo il commento di Stefano al mio ringraziamento: il suo “Vai Vale!” mi ha illuminato, ma non è stato sufficiente a farmi volare come avrei voluto. Ho mancato il mio obiettivo per due manciate di secondi, eppure non mi sembrava di chiedere troppo. Chissà, se avessi controllato il crono sul finale, avrei forse trovato le forze per uno sprint più grintoso, guadagnando magari una posizione sulla ragazza che mi precedeva di un passo e non facendomi acchiappare da quella che mi seguiva. Ragazze, appunto, la metà dei miei anni o poco più. Incoraggiante potersi ancora confrontare con tanta gioventù. Interessante, d’altro canto, confrontarsi con il top delle atlete. Beh, in questo caso parlare di confronto è un po’ azzardato: diciamo che si parte tutte assieme e si percorre il medesimo tragitto ma, per chi guarda, è come assistere a gare completamente diverse.
Cosa ci faccio qui? Me lo sono chiesta dall’inizio, da quando cioè il presidente ha cominciato ad accennare alla nostra partecipazione ai campionati italiani assoluti – e, sottolineo, assoluti. Devo venire anche io? A fare cosa? 10 km, distanza infernale. Bisogna correre forte dall’inizio alla fine, chi è capace? E meno male che sono solo due giri, se non altro non si rischia il doppiaggio. Spero solo di non arrivare ultima…

Partenza alle 17, che razza di orario! Detesto gareggiare di pomeriggio: tutto il giorno a pensare alla gara, tutte energie sprecate. Però, che meraviglia è Lucca, un vero peccato non potersi fermare con più calma. L’ultima volta che venni qui fu per il concerto di David - e fu anche l’ultima volta che lo vidi, sembrano passati secoli. Se allora mi avessero detto che sarei tornata in questa città per una gara podistica, avrei riso come una pazza. Oggi invece non c’è proprio niente da ridere. Cerco di convincermi che farò una gran gara, qualche volta ha funzionato – come a New York, nel magico 2005. Ero carica di rabbia e la sfogai sul mio Moleskine: “Io sono calma e farò una gran gara”, ripetuto in un’intera pagina. Non sarà stato quello, ma realizzai una delle mie migliori prestazioni. Oggi non succederà nulla di simile, sono passati quei tempi, ma voglio ancora credere di potermi stupire.
Il primo passaggio è discreto, ma è proprio adesso che il gioco si fa complicato. L’impressione è di essere ancora in spinta, in costante fase di sorpasso. Ma l’atleta a cui puntavo si allontana: ha accelerato lei oppure ho rallentato io? Gli ultimi 500 metri sono i più nervosi, una S, quindi una curva a U prima del breve rettilineo finale. Pare che, rispetto al primo giro, abbia guadagnato una quindicina di posizioni. Sarà. Sta di fatto che volevo andare più forte e non ci sono riuscita.



domenica 21 agosto 2011

Altri 5 Passi in Val Carlina

- Scusa, ma dov’è finita la prima?
- Cosa dici? Sei tu la prima!
Già, pare proprio che sia così. Eppure Greta ha salutato tutte subito dopo il via, e io non l’ho certo ripresa. Diceva che non era giornata, ma chi fa caso a simili discorsi in fase di partenza? Oggi, poi, la temperatura trasforma in delirio qualsiasi ragionamento. C’è chi sostiene che la cura migliore per guarire da un infortunio sia correrci sopra, chi dichiara che partecipa solo per rilassarsi, chi non ne ha avuto abbastanza della gara in montagna del giorno prima. Poi ci sono io, che sento ancora nelle gambe gli ultimi allenamenti, mi chiedo se abbia mangiato abbastanza e mi sforzo di stare serena, tanto non si può vincere due volte la stessa competizione.
Dai, che la salita più dura è finita. Scuoto la testa, ho già esaurito le riserve, stavolta non arrivo alla fine. Un muro infinito a inizio gara può stroncare anche le migliori intenzioni, soprattutto quelle di chi conosce il seguito del percorso: se sono morta adesso, come potrò affrontare il tratto di vera montagna che incombe a metà via? Almeno riuscissi a ritrovare un assetto decente, invece di barcollare come se mi mancasse il terreno sotto i piedi. Coraggio, è solo una fase di transizione, sai bene che la variazione di pendenza condiziona l’andatura: questo po’ di discesa inizierà presto a produrre i suoi effetti, così potrai recuperare e attaccare con grinta le prossime rampe.
Ecco la prima donna! Cari, peccato che vi siate persi un passaggio. Capita. Essere seconda è già una grande soddisfazione, ma la strada è ancora tanta e le avversarie sono notevoli: insomma, sarà sofferenza fino all’ultimo metro. Le ondulazioni consentono di mantenere un buon ritmo, un barlume di lucidità mi fa persino apprezzare il paesaggio ameno. Godrò di meno sul sentiero per stambecchi che stiamo ora imboccando. Il podista che mi precede continua a correre, io lo tallono pur camminando: imito le skyrunner viste in TV, se lo fanno loro avrà senz’altro un senso. Meglio poi fare attenzione a dove si mettono i piedi, tracciato troppo esposto per i miei gusti. Meglio anche non alzare lo sguardo: non scorgendo la fine del tunnel si rischia di cedere allo sconforto. Ogni tanto azzardo qualche passo di corsa, giusto per non dire che ho sempre camminato. Sento delle voci, è arrivato il mio giorno o stiamo per uscire dal bosco?
Grande Vale! Dai, che il peggio è passato. Puro ossigeno il tifo personalizzato… Il giro di boa mi permette di individuare le inseguitrici, il distacco è abbastanza importante, ma non saprei dire se possa ritenersi definitivo: c’è ancora da penare parecchio. Appena un attimo di respiro poi si riprenderà a salire, con tanto di ulteriore tratto montanaro, stavolta arricchito da una “bella” discesa. La corro tutta, incredibile. È breve, lo so, l’asfalto è lì che mi aspetta: curva a sinistra poi giù in picchiata. Uno sguardo oltre la mia spalla, nessuno in vista: che sia al sicuro?
Ecco la prima donna! Ancora? Ho già sentito tante volte questa esclamazione, vuoi proprio che siano tutti accecati? Se insistono finirò col crederci…
Strade trafficate, segno che siamo ormai prossimi all’arrivo. Deviati su una traversa secondaria, troviamo ancora qualche saliscendi. Mi sorprendono le forme della chiesa di Lizzano, che noto dall’alto: hanno un ché di orientaleggiante, non l’avevo mai constatato prima. A dire il vero, non avevo mai individuato neppure la chiesa, o forse ne ho perso memoria. Sfinita come sono, è già tanto se ricordo il mio nome. Sento nuovamente delle voci, e vedo gente: forse è davvero la volta buona.
Ecco la prima donna! Editto che suona ufficiale. È dunque vero: ho vinto io, anche quest’anno. Bel mistero. Mi fiondo sulla fontana, l’acqua fresca lava tutte le perplessità e allevia le fatiche: i “mai più” di pochi minuti fa scorrono e vanno. Restano solo i sorrisi di chi oggi esprime radiosa contentezza.

domenica 7 agosto 2011

Porretta

Quando su di te pesano troppe aspettative, diventa estremamente facile deluderle. Non è che, avendo vinto due gare consecutive, risulti automatico vincere anche le altre. Beh, e perché no? Nemmeno a Vidiciatico credevi di farcela. Chi ci sarà mai oggi? Non lo so, ma meglio evitare illusioni: troppe atlete che non conosco, potrebbero benissimo essere tutte più forti di me. È vero, stamattina sono un po’ spenta: sarà l’intontimento causato dalla dormitina fatta in auto, sarà la consapevolezza che non si può sempre essere al top, o sarà forse che ultimamente mi vedo un mostro. Fosse anche semplicemente la solita scaramanzia pre-gara, una cosa è certa: il mio obiettivo è migliorare il tempo realizzato l’anno scorso, a prescindere dal piazzamento. Ovvio che mi interessi anche quest’ultimo, come negarlo? Ma è su di me che devo essere concentrata.

Concentrazione che vacilla quando, proprio nel momento di tregua, al termine del primo terribile tratto in salita, un’agile atleta mi spodesta dalla terza posizione. Il miraggio del podio svanisce miseramente. Una più tosta a questo punto avrebbe detto: non sia mai! E sarebbe partita in quarta per riagguantare il vantaggio perduto. Io invece vorrei stramazzare al suolo, mi sembra di non avere mai fatto tanta fatica in vita mia e, come ogni volta che mi coglie questa sgradevole sensazione, penso che farei meglio a ritirarmi e che di gare simili non ne vorrò più vedere fino a chissà quando. Film già visto, che noia… Perché lasciarsi inquinare da tante scemenze, quando la ragazza è lì ad un passo. Eh sì, la discesa aiuta e io prendo il volo. Torno in carreggiata con una marcia in più. Peccato che, quando dovrò scalare nuovamente, il mio motore non ne voglia più sapere. Che delusione. Nonostante tutti i miei strabilianti allenamenti in salita, con risultati che mai avrei sognato, oggi il dislivello mi sta uccidendo. E la giovane avversaria ne approfitta. Ora posso solo sperare che si scollini il più presto possibile, ma questa rampa non finisce mai, e quando concede un attimo di respiro ecco che subito torna ad impennarsi. Ecco, ora si scende davvero: la vedo, è proprio a tiro. Ma quel briciolo di distanza che ci separa non accenna a diminuire. Una decina di secondi. Incolmabili.

Mi dispiace. È quanto mi sento di dire al mio presidente, che si aspettava certo di più. Io ho abbassato di oltre un minuto e mezzo il mio tempo su questo percorso: non è poco, su un simile tracciato. Dovrei essere pienamente soddisfatta, ma… quando mai? So di avere reso al massimo, ho dato fondo a tutte le mie forze, altre non ne avevo. Allora perché non riesco a togliermi dalla testa quel duello da cui sono uscita sconfitta? Il tarlo continua a rodere: se avessi reagito così, se avessi attaccato colà, se avessi provato a… Basta!!! Il risultato è ottimo, ti vuoi convincere? Obiettivo centrato: stai migliorando, è evidente. Alza lo sguardo, che altre mete sono all’orizzonte - e non ammettono incertezze.


domenica 10 luglio 2011

Berzantina: finalmente mia!


Resisti, resisti, resisti. È questo l’imperativo che scandisce il ritmo dei miei passi affaticati, lungo il sentiero che si inerpica nel bosco, dopo un paio di chilometri dal via. Gaetano, poco più in su, piegato sulle ginocchia, procede camminando. Capisco che, su simili pendenze, camminare svelti o correre a fatica cambi poco; si tratta però di una questione mentale: bloccare la corsa è comunque un segno di cedimento, specie se accade su un percorso già collaudato. E' quanto mi capitò l'anno scorso, e ancora non me lo perdono – anche perché significò rinunciare alla sfida per la prima posizione. Oggi ho un solo obiettivo: tagliare il traguardo con la certezza che non avrei potuto fare meglio. In fondo, non dovrei nemmeno essere qui. Risparmiamo benzina e diamo priorità all’allenamento, ci dicevamo: accontentiamoci dei bei risultati appena ottenuti e non carichiamoci di ulteriori tensioni – perché, per quanto sia, il pettorale scatena sempre qualche tempesta ormonale. Quindi, tabella eseguita alla lettera per l’intera settimana, nonostante la canicola: medio, collinare, ripetute in pianura e in salita; per riposare, lunedì una trentina di chilometri in bici e sabato una breve sgambata in tutta scioltezza, con la prospettiva di un bel giro sui colli domenica mattina.
Però, la Berzantina…Del tutto inspiegabile il mio affetto per questa gara, cosa c’entro io con la corsa in montagna? Eppure ho perso il conto di quante ne ho corse da quando, secoli fa, partecipai come non competitiva, trascinata dai compagni della mia prima società. In seguito feci l’abbonamento alla seconda posizione in classifica – che è certo un bell’andare, ma dopo un po’ ti lascia come un senso di incompiuto. C’è sempre chi va più forte, cosa vuoi farci? E non sarà diverso neppure quest’anno, inutile illudersi. Quindi evitiamo di pensarci e passiamo oltre. Però…
Sabato pomeriggio, scaricando dall’auto il cocomero appena acquistato, ho una visione: il tavolo del ristoro finale, ricco di succose fette rosse. Ecco ciò a cui maggiormente mi dispiacerà rinunciare. Giusto, allora domani si va! Sei matto? Non sono preparata, e poi è così lontano. Ma se sei in formissima, non ti spaventerà mica quella corsaccia? Dai, che facciamo un giretto... Lo ammetto: era proprio ciò che volevo sentirmi dire.
Senza preavviso, senza preparazione, senza aspettative. Correre per correre. Sono in testa, non c’è dubbio. Ignoro chi siano le inseguitrici, né ho idea di dove possano essere: mi preoccupo solo di spingere più che posso. Al primo tornante butto un occhio alle spalle: non scorgo pericoli, ma potrei ingannarmi. Restano un paio di chilometri da scalare, se non cedo qui sarà poi difficile acchiapparmi in picchiata. E’ questa l’unica gara in cui riesco a lanciarmi anche nella discesa sterrata, ma solo perché si sviluppa su una strada larga, ghiaiata ma ben battuta, e non eccessivamente ripida. Quando finalmente riprende l’asfalto, frullo come Bip Bip. Il susseguirsi di curve strette costringe a frenare, ma consente anche di verificare chi sta arrivando. Sembrerebbe tutto tranquillo, potrei magari mollare un po’ la presa, in effetti sono un po’ stanchina. Suvvia, hai tirato fino adesso, ormai arriva alla fine: e gustati l’opportunità di superare qualche maschietto, che è sempre bello cogliere il loro disappunto nell’essere sorpassati da una donna. Giù in volata prima della rampa d’arrivo: destra, sinistra, traguardo! Ho spezzato l’anatema del secondo posto e, incredibile, ho fatto vibrare il quarto WOW! Essere sola su quel gradino altissimo è quasi imbarazzante: non condivido affatto la scelta degli organizzatori di premiare come vincitori assoluti i primi tre uomini e solo la prima donna, ma non posso evitare di sprizzare gioia da tutti i pori. E pensare che non dovevo neppure essere qui…

domenica 3 luglio 2011

Vidiciatico - "Corri nel Verde"


Sì vabbè, però…
D’accordo, d’accordo, non lo dico. Confesso che il pensiero mi è sfuggito, ma affermare che ho vinto perché non c’era nessuno sarebbe irrispettoso nei confronti delle mie avversarie. E che avversarie! Sulla linea di partenza avevo già individuato la medaglia d’oro, la stessa dell’anno precedente. Ipotesi aperte sulle restanti posizioni: queste valli di confine sono facile terreno per tante atlete toscane, particolarmente agili sui percorsi montanari. Fortunatamente oggi si corre su asfalto, quindi nessuna difficoltà tranne la pendenza. Da parte mia, di salite ne sto masticando parecchie e l’ultima prova ha dato esiti più che soddisfacenti. Quindi, quale che sia il parterre, le premesse per una gara brillante ci sono tutte: devo esserne convinta dal primo all’ultimo metro.
Al via ci fiondiamo in discesa; riesco ad aprirmi un varco e supero subito le prime due atlete che mi precedevano. Quando però l’inclinazione è tale da costringermi a frenare, ecco Monica che sgattaiola agile. Non mi do per vinta, appena riesco a mollare le briglie le sono sui talloni. Presto il pendio impennerà, e allora il gioco si farà duro. La strada inizia dunque a salire: mi sento in grado di attaccare perciò non indugio e vado. Poi la pagherò, lei è indiscutibilmente più forte e, soprattutto, ha una grinta che io mi sogno. Ora però sono in vantaggio, ed è già un risultato: una bella boccata di fiducia. Questa salita, però, non da tregua. Ansimo come un moribondo, eppure sono ancora in grande spinta. Chissà, forse schiatterò di colpo, senza preavviso. Chissà… Intanto mi trovo ancora qui, e sono più i chilometri fatti che quelli mancanti. Appunto: è proprio sul finale che si subiscono le umiliazioni più dure. Non penserai davvero di poter vincere questa gara? Anzi, probabilmente non sei neppure in testa, magari c’è un’altra là davanti, tanto avanti che nemmeno la vedi. Ovvio, deve essere per forza così. Nel dubbio, però, meglio continuare a tenere alto il ritmo. Quanto vantaggio avrò? Non mi guardo mai alle spalle, neppure stavolta. A cosa servirebbe, se non a destabilizzarmi? Ho corso finora sentendomi il fiato sul collo, più di così non potrei dare. Sul finale la strada spiana, mancherà qualche centinaio di metri. Attenta alle spalle. Lo sapevo! Dai, fai frullare quelle gambe, che ne hai ancora. Curva a destra, il traguardo è là. Tanti Brava Vale accolgono il mio arrivo. Avrò mica vinto? Prima donna. Ho vinto! Arriva subito Monica, anche lei mi acclama. Rallegramenti per entrambe: entrambe abbiamo battuto la vincitrice del 2010, e non di poco! Io ancora stento a crederci. Inutile dire che avrei riso in faccia a chiunque avesse pronosticato un simile risultato. Dovevo invece dare più credito ai proverbi: il terzo WOW è affermato.

sabato 25 giugno 2011

Cronoscalata di San Luca

A testa bassa, spingi in avanti e non saltellare! Ti sento, sai? Sei all’arrivo ad aspettarmi ma è come se mi stessi accompagnando in questa prova di sopravvivenza. L’anno scorso ero all’esordio, oggi so cosa mi aspetta, ma non sono sicura che questo sia un vantaggio: viene meno la leggerezza dell’assenza di aspettative e si rimugina sulle insidie del percorso, come se un muro di 2 km consentisse chissà quali tattiche. Due chilometri, cosa vuoi che siano? Alle 16 parte il primo atleta, io dopo 6 minuti e 30 secondi: pochi indugi, così mi tolgo subito il pensiero. Se solo fossi un po’ meno agitata… Non ha senso innervosirsi, non per questa gara. Oggi avevo in tabella le ripetute in salita, invece partecipo alla cronoscalata: solo una piccola variazione di programma, niente di più. Basta un numero attaccato sul petto a scatenare l’adrenalina? Decisamente, sì. Nonostante la sfida più pregnante sia quella con me stessa. In termini ufficiali, l’ambizione è quella di confermare la posizione del 2010. Personalmente, però, mi preme rilevare se e quanto i miglioramenti cronometrici riscontrati nei recenti allenamenti sapranno riprodursi anche in questa prova. Io e il cronometro, cosa c’è di più bello? Finalmente nessuna minaccia per i miei piedi!
Riuscirò a raggiungere Samanta, partita subito prima di me? A testa bassa, spingi in avanti e non saltellare! Spingo, spingo. Queste orfanelle mi stanno schiantando, ma non mollo. Anzi, è proprio nel tratto più duro che mi riesce il sorpasso. Vorrei dirle una parola, se solo avessi un alito da spendere. Ma lei non ha bisogno di alcun incitamento, anzi, probabilmente aspettava solo me per cambiare marcia. Grande Sam, sei in ottima forma! Quando la salita concede un attimo di tregua io non sento più le gambe, tu invece parti in quarta e torni al tuo posto. Brava davvero! Se ne avessi tenterei un nuovo attacco: se ne avessi, appunto. Solo nel rettilineo finale ho la forza di sprintare, ma ormai l’arrivo è lì. Se non altro, per un po’ mi godo il limbo della prima posizione. So che non durerà, le avversarie più forti devono ancora partire. La mia vittoria personale però è già conquistata: 42 secondi in meno rispetto all’anno scorso. Ci sta proprio un grande WOW! E quando la classifica è completa, mi trovo in seconda posizione. Ci sta davvero un altro grande WOW!
Due WOW in un colpo solo è molto di più di quanto potessi aspettarmi. Chissà però se il proverbio funziona…




domenica 22 maggio 2011

Strapanaro (altro flop)

C’è chi è soddisfatto, nonostante il peggioramento di 4 minuti rispetto alla buona prestazione di un mese fa; c’è chi invece contava di migliorare quella prestazione di almeno una trentina di secondi ed è quindi sconfortata dal risultato odierno. Ed hanno poca presa le parole di conforto: con questo percorso e con questa temperatura, non si poteva fare meglio; anzi, il risultato di oggi vale più di quello di allora. Sarà. Di fatto, l’obiettivo è ancora lì appeso, e sembra spostarsi in continuazione. Per che cosa mi alleno?...

Gambe un po’ legnose, forse la Montanara non è smaltita del tutto. La partenza, però, promette bene: basterebbe riuscire a mantenere questo ritmo, tutto sommato abbastanza agevole. Ma il primo tratto sterrato fa scattare l’allarme, e da qui in poi non mi riprendo più. Identico sforzo, ma ridotto rendimento. Capisco che il percorso non si presta alla ricerca della prestazione, e questa considerazione mi rende meno determinata. Subdola, si insinua la tentazione del ritiro: meglio fermarsi subito, piuttosto che subire un risultato deludente. Ma che dici? Poi cosa racconti? Mi sono ritirata… Bella roba! Scaccio il demone e cerco di non perdere il riferimento di alcuni podisti che corrono sul mio ritmo, qualcuno riesco addirittura a staccarlo, segno che non sono scoppiata del tutto. Quanto manca? I chilometri sono come elastici, si allungano all’inverosimile. Nessun conforto dalle oasi di salvezza: oggi ovviamente i ristori sono presi d’assalto, quindi troppo affollati per me. Dovrei fermarmi, ma poi chi riparte più? Se non altro, il paesaggio offre scorci di notevole fascino – non so però come interpretare il fatto che io riesca ad apprezzare la natura circostante, considerando che, solitamente, quando corro vedo solo la strada davanti ai miei piedi: significa forse che ho smesso di pensare alla gara? Eh no, non rassegniamoci adesso, cerchiamo almeno di dare un senso a tanta fatica. Gli ultimi tre chilometri sono sempre i più critici (a ben pensarci, il 3 è decisamente il mio incubo: non riesco a liberarmene): senti che ormai è fatta, ma quel traguardo non si vede mai. Nel penultimo provi ad accelerare, come sarebbe bello arrivare in spinta, ma i mille metri finali sono come mille frustate: per quante gare tu abbia già terminato, ogni volta ti chiederai come sia possibile che un chilometro sia così lungo. Oh no, sterrato anche il finale! Come sarebbe una volata su questo prato, solcato da un minuscolo sentierino? Fisso il cronometro, che almeno di 3 se ne veda uno solo.

Nessuna buona notizia da comunicare, vado ad affogarmi sotto la doccia – unica goduria della giornata. Non c’è dubbio: le gare con docce a disposizione meritano quattro stelle, a prescindere.

mercoledì 18 maggio 2011

Vatti a fidare dei volantini (a proposito della Camminata Montanara di Vergato)

Due paroline agli ideatori del volantino: “Il percorso si snoda su strade asfaltate” non può avere un significato diverso da quello letteralmente espresso. Vi saranno fischiate le orecchie quando, piantata sul sentiero CAI in mezzo al bosco, non solo ho perso la posizione che avevo appena conquistato, ma ho rischiato di essere travolta e calpestata da tutti i podisti che avevo alle spalle. Preferivo schiattare in salita, piuttosto che rovinare in questo tunnel! Ecco, uno spiraglio di luce e finalmente l’asfalto. E la salita - guai a te se ti lamenti!

Non la immaginavo così dura, questa gara. Mai era rientrata nei miei programmi, anche perché in passato il percorso era diverso, una classica corsa in montagna di 21 km - quindi, da non prendere neppure in considerazione. Ma 15 km “su strade asfaltate” si possono affrontare.

Si continua a salire. Mi preoccupo della mia tecnica, chiedendomi se sto saltellando a vanvera o se invece riesco a proiettarmi in avanti: sento la voce di Jader che, sotto il portico di S.Luca, mi sprona a spingere a testa bassa fino al centesimo metro. E rivedo la tappa di Salina, la vittoria in Val Carlina, la cronoscalata: ricordi di estrema fatica ma di immensa soddisfazione. È questa che devo ritrovare, quale che sia il risultato finale. Correre fino alla fine, ché un solo passo camminato rovinerebbe tutto. Piegata dalla pendenza e dalla fatica, osservo le mie cosce, cercando di individuare i muscoli impegnati nello sforzo: dove sono? Per forza ti stanno davanti, hai visto che gambe hanno? Sono il doppio delle tue! Sarà. Passi sulle prove brevi, passi anche sulle salite, ma nelle lunghe distanze non dovrebbero contare le “dimensioni”: l’Incerti non mi sembra un esempio di possanza. Vabbè, certi paragoni sono fuori luogo. Intanto, una di quelle dotata di cotante gambe è lì ad un passo, non credevo l’avrei più rivista, per lo meno non nella fase ascendente. Mi consolo. Nonostante mi fossi sentita una vera schiappa di fronte alle mie compagne, capaci di spendersi in due gare al giorno, constato che non sono la sola a soffrire l’interminabile salita: anzi, sto recuperando rispetto a chi, su simili percorsi, è indubbiamente più forte. Faccio il pieno di grinta e punto l’obiettivo. Il tracciato mi aiuta: siamo ormai in cima, fate largo che prendo il volo! Discesa impegnativa, non c’è che dire, ma non tocco i freni, incurante dell'incessante diluvio. Circa 5 km così lanciati non sono pochi, e mettono a dura prova la tenuta delle esili leve. Qualche tratto pianeggiante o nuovamente in salita spezza il ritmo: cambio pericoloso, che però affronto senza scosse. Solo in prossimità dell’ultimo chilometro mi trovo in difficoltà: pendenza da panico, fortunatamente solo per un centinaio di metri. Poi l’ultima apnea, fino al traguardo.

Ho dato tutto, come mi avevi chiesto. Adesso ho tanto freddo, portami a casa..

domenica 8 maggio 2011

Black out a Fornace Zarattini

I risultati delle ultime prove e quelli dei più recenti allenamenti mi avevano illusa. Ma una settimana in cui lo sconforto ha fatto da padrone non poteva che concludersi con una prestazione disastrosa.
 
Esattamente ciò che ci voleva per sprofondare ancora più in basso: è proprio vero, al peggio non c’è mai limite. Credi di vedere una luce in fondo al tunnel, speri di poterti riappropriare delle piccole cose che sembrano alla portata di tutti tranne che alla tua, assapori nuovamente il gusto di quella banale normalità che tanto ti manca. Invece… Certo, superficialità e opportunismo non dovrebbero più sorprenderti, ma risulta difficile non vacillare di fronte ad un futuro sempre più sfocato.

La gara, dicevamo. Una pessima gara. La classica giornata no, può succedere. Mettici il vento, per buona parte contrario (il mio incubo fisso), mettici queste scarpe nuove che vorrei buttare nella spazzatura (una volta che mi trovo bene con un modello, questo diventa introvabile), mettici anche qualche carico di troppo: ce ne sarebbe abbastanza per giustificare lo scadente risultato. L’insoddisfazione è comunque alquanto condivisa: i tempi, in generale, sono piuttosto alti – come si dice, mal comune… Insomma, cancelliamo tutto o cerchiamo di calamitare, dal pagliaio, qualche ago positivo? Vediamo: sono arrivata alla fine, nonostante già dal sesto chilometro avessi capito che non giravo affatto; ho effettuato un sorpasso godendo più del solito (piccola vendetta); sono stata premiata sul palco. Seppelliamo pure questa controprestazione, senza però accantonare l’obiettivo: continuando a crederci e, soprattutto, resistendo alla furia degli eventi. Pare sciocco accanirsi nella corsa quando tutto va a rotoli, ma se rinunciassi anche a questa insanabile passione finirei con l’impazzire.

lunedì 25 aprile 2011

Ozzano Emilia - Camminata della Resistenza

L’idea era: dopo Lovoleto, riposo. E così è stato. Più o meno. Per tre giorni mi sono comportate benissimo: non ho neppure guardato le scarpette, né ho degnato della minima attenzione la bicicletta. Mi sono persino concessa un massaggio, preoccupandomi che le mani esperte lavorassero a dovere su quell’infimo dolorino che mi perseguita da mesi. L’umore, però, cominciava ad alterarsi, meglio correre ai ripari. Appunto, meglio correre. Una sgambatina appena, giusto per mantenere viva la circolazione e non polverizzare quel po’ di forma faticosamente conquistata. Cerco la scioltezza e la decontrazione, ma mi sento una schifezza. Vabbè, un altro giorno di riposo poi andrà meglio. Sabato mattina sono ancora una mezza podista, ma già domenica va meglio -sarà che è Pasqua… Ma sì, ho cazzeggiato per una settimana, rischio di ammosciarmi: domani gareggio, tanto per darmi una scrollata. Consideriamolo un bel medio collinare, dopo tanto tempo un allenamento così ci sta bene. Specie in previsione di quella corsaccia che non avrei minimamente preso in considerazione se non fosse finita nel calendario sociale – non che sia obbligata, ma quando non ho valide ragioni per esimermi preferisco partecipare.
So poco o nulla di questa Corsa della Liberazione. Se non ricordo male, gli anni passati era discretamente partecipata, per quanto poco considerata dalle società solitamente più agguerrite nel classico circuito provinciale. Non posso fare raffronti, essendo per me la prima volta, ma oggi mi sembra che siamo davvero in pochi. Incontro qualche amico, ma non individuo nessuna concorrente – almeno, nessuna faccia conosciuta. Di certo, una griglia di partenza così rilassata non ricordo di averla mai vissuta.
So che dovrò affrontare una lunga salita, occorre quindi prudenza. Del resto, c’è poco da calcolare: qui non posso inventare nulla, si tratta semplicemente di resistere allo sforzo, sfruttando al meglio ogni minima risorsa. Tanto più che sono in testa, e non ho la minima idea di chi mi stia seguendo. Le rampe sembrano non avere mai fine, appena un attimo di respiro e di nuovo un’altra a spezzare le gambe. Sto tenendo discretamente, solo un piccolo cedimento che però non ha avuto repliche. Prima o poi dovrà pur finire… Con la discesa inizia anche una strada bianca: mi avevano parlato di un breve sterrato, assicurandomi però che fosse in salita. Sorvoliamo, lasciamo andare le gambe che qui si corre bene. Supero un paio di amici che erano partiti prima, partecipando alla non competitiva: mi incitano e mi acclamano come la prima donna. Riuscirò a restare tale? Mi piacerebbe sapere chi corre dietro di me, a quale distanza, ma non faccio nulla per scoprirlo: sono troppo impegnata ad affrontare questi saliscendi, del resto più di così non potrei spingere. In salita ho visto rosso, in discesa ho frenato un po’ nei tratti particolarmente ripidi, per poi lanciarmi i picchiata a rotta di collo. Ultimo chilometro, sono imballatissima ma ancora in spinta.

Mi sto ancora cambiando quando dal palco chiamano la prima donna. Quanta fretta! Premiazione insieme ai primi tre uomini, chissà perché non con le altre due donne – che, ancora, non so chi siano. Una vittoria da poco, d’accordo, ma pur sempre una vittoria. Le più forti avranno preferito godersi il 25 Aprile in luoghi più ameni, beate loro: oggi però io mi godo la mia medaglietta d’oro.

domenica 17 aprile 2011

Lovoleto - Maratonina della canapa

La graziella ha le ruote piccole, sembra un giocattolo rispetto alla possente bicicletta da uomo di papà. Eppure la bambina pedala come una forsennata, non vuole affatto restare indietro. Il parco è proprio lì, oltre la rampa: il gioco è a chi arriva prima. È la sfida di ogni domenica: ogni pomeriggio di festa, con la bella stagione, si fa una scampagnata fino a San Marino. Il parco, coi suoi anfratti, le sue grotte, i suoi sentieri; il laghetto coi pesci rossi, il ponticello, le statue; la villa, col Museo della civiltà contadina che tanto piace a papà, quasi avesse nostalgia di quegli anni. Si perlustrano angoli ormai non più nascosti, si sbircia la lenza dei pescatori, ci si rilassa sul prato col ronzio della radiolina – ché papà non vuole perdersi i risultati delle partite. Poi si torna a casa: una bella rincorsa per l’ultima sfida sulla la rampa…

Quella rampa, tra il terzo e il quarto chilometro, è il primo dei tre cavalcavia che movimentano un piatto percorso di campagna,. Amo questa gara. Non tanto perché, citando il comunicato stampa, sono la “detentrice del maggior numero di presenze sul podio nelle precedenti edizioni, due vittorie e tre medaglie di bronzo”: quei (bei) tempi ormai sono andati, da quando il montepremi è diventato troppo ricco per il mio mediocre livello. È che su queste strade mi sembra quasi di uscire dal letargo: si risvegliano sensi, ricordi, emozioni; riassaporo odori e colori familiari, riconosco scorci e paesaggi, sento miei i luoghi che attraverso.
Il rischio è arrivare all’appuntamento troppo carica di aspettative. Mi sono ripetutamente imposta di stare coi piedi per terra: lasciamo perdere le illusioni, il raffreddore di questi giorni non può avermi lasciato indenne e le sorprese, si è già visto, sono sempre da mettere in conto. Inutile però nascondere che “sento” questa gara più di quanto dovrei. Ostento tranquillità, ma solo io so quanto tenga al risultato. Con le prime posizioni già opzionate, principale avversario diventa il cronometro – la cui sentenza sarà poi determinante anche ai fini della classifica del trofeo provinciale: i calcoli non sono il mio forte, so solo che qui ci giochiamo il primo posto. E pensare che, all’inizio dell’anno, dubitavo di poter rientrare nelle prime tre…
Mai come oggi ho sperato di riuscire ad aggrapparmi a qualche podista di buon cuore. Ne trovo un paio strada facendo, ma dopo un po’ mi abbandonano, me tapina. Sto forse cedendo? Il secondo cavalcavia, in prossimità del tredicesimo chilometro, è un duro scoglio, può avere un effetto tanto deleterio da compromettere tutto il seguito della competizione. Quando mi sembra di essere tornata in carreggiata, il colpo più duro: plotone in avvicinamento, allarme rosso! Non esiste nulla che mi metta più in apprensione del rumore di passi (tanti passi) alle mie spalle, purtroppo quel trauma vibra ancora. Il sorpasso si rivela indolore, ma non senza conseguenze: nel gruppo c’è una ragazza che non mi aspettavo affatto di vedere. Sorpresa e delusione mi abbattono, non riesco infatti ad restare in scia. Mancano circa quattro chilometri, sono tanti, tutto è ancora da decidere. Le gambe rispondono, i passaggi lo confermano. Ci vorrebbe quella marcia in più capace di mettere a tacere la stanchezza e chiamare all’appello risorse apparentemente nascoste: bisognerebbe però riuscire ad ingranarla. Adesso sì servirebbe un aiuto: qualcuno che mi spronasse, che mi incitasse a recuperare la posizione, a non darmi per vinta. Come quell’anno in cui Alberto, a meno di due chilometri dall’arrivo, mi accompagnò a riconquistare la terza posizione (ai bei tempi di cui si parlava…). Cerco le forze dentro di me, ma da sola non mi basto. Fino al ventesimo ancora ci credo, poi vado in trance pregando che finisca in fretta.

Un piccolo miglioramento rispetto alle precedenti prestazioni sulla distanza, ma non quanto speravo. Il violento attacco di tosse che mi piega a metà, impedendomi di parlare e respirare, mi fa capire però che pretendevo troppo. Da quando non facevi questi tempi? Dovresti essere ampiamente soddisfatta! Dovrei?...

sabato 9 aprile 2011

S.Agata Bolognese - Camminata di Terre d'Acqua

In teoria l’orario dovrebbe essermi favorevole, essendo lo stesso in cui solitamente mi alleno. Ma una gara è tutt’altra storia: comporta pensieri, apprensioni, rituali che non possono protrarsi troppo a lungo. Non per me - specie in questo periodo, già sufficientemente carico di tensioni. Le perplessità iniziano già dalla sera prima: cosa faccio domattina? Punto la sveglia per una piccola sgambata o dormo finché ne ho? Poi, cosa mangio? E quando? Se solo potessi dire due paroline a chi ha fissato alle 16,45 l’orario di partenza… Di buono ci sarà che forse mi abbronzerò un po’ – vale a dire, fisserò ulteriormente il segno dei calzini, già bello definito. Del resto, senza giardino e senza spiaggia, il look zebrato è inevitabile. Poco importa, ormai ci sono abituata. Non ho invece ancora fatto l’abitudine a questa insolita temperatura: talmente insolita che quasi stento a crederci. Trenta gradi ai primi di aprile, possibile? Possibile che sia già sudata ancora prima di iniziare il riscaldamento? E pensare che fino a qualche giorno fa mi preoccupavo perché avevo perso uno dei guanti che utilizzo in gara. È ovvio, sarà un fenomeno transitorio, succederà anzi che ci ritroveremo a battere i denti quando il calendario segnerà l’inizio dell’estate. Sarà…ma oggi come la mettiamo? Insomma, orario assurdo, temperatura assurda, aggiungiamoci pure il vento – che, purtroppo, assurdo non è: incrociamo le dita e spremiamo ciò che abbiamo. Cioè, ben poco.

Tre chilometri scorrono veloci, poi sarei già a posto. Nel senso che sono già impiccata e mi chiedo come possa percorrerne altri sette. Devo trovare qualche ragione valida per non ritirarmi, almeno una. Potrei fissarmi su chi mi precede, ponendomi l’obiettivo di guadagnare terreno: sfida dura, ma non impossibile. L’errore sarebbe, anzi, considerarmi già vinta. L’imperativo, oggi, è resistere. Resistere perché, comunque vada, questo è un ottimo allenamento che mi sarà utile prossimamente; resistere perché un ritiro mi renderebbe insopportabile (agli altri e a me stessa); resistere perché c’è in gioco anche il trofeo provinciale, perciò è necessario arrivare. Possibilmente vivi. Mai vista una simile strage su così breve distanza. Crollano a manciate, come birilli. Io mi sto trascinando, meglio non sapere a quale andatura, ma c’è chi sta molto peggio. Nell’ultimo chilometro riesco persino a riagguantare un’avversaria che mi aveva superata all’inizio del mio tracollo, peccato però che non riesca a mantenere il vantaggio - se non altro, nessun’altra riesce ad approfittare della mia crisi.

Chi ha finito in ambulanza, chi ha finito camminando, chi non ha finito proprio. Una vera gara di sopravvivenza, grazie anche al prezioso contributo dell’organizzazione: un solo ristoro, al sesto chilometro, quasi nascosto nei campi. Oggi essere in classifica equivale ad avere vinto, a prescindere dalla posizione.






domenica 20 marzo 2011

Maratonina di Imola

Me ne sono capitate tante, nella mia vita “podistica”, ma questa mi mancava. Non mi era infatti mai successo che un’avversaria mi si parasse davanti, tagliandomi la strada, per impedirmi di sorpassarla, zigzagando in modo isterico fino ad averla vinta. Avrebbe comunque avuto la meglio, essendo poi riuscita a staccarmi di una trentina di secondi, ma è anche vero che quell’atto inconsulto mi ha tarpato le ali: proprio da lì, infatti, ho cominciato ad arrancare. Gli ultimi chilometri sono stati un vero calvario, l’incredibile forza con la quale avevo affrontato la bora nella seconda parte di gara sembrava avermi abbandonato all’improvviso. Evidentemente stavo raschiando il fondo, ed è bastato un vuoto di concentrazione per farmi crollare. Peccato. Ciò non toglie che, all’arrivo, mi sia comunque detta Brava!
Sì, perché un crono simile non me l’aspettavo, non in una simile giornata. Quando mi sono ritrovata a spingere contro un vento che piegava, ho smesso di controllare i passaggi. Credevo che, finita la salita, avrei potuto prendere il largo, invece il cambio di direzione è equivalso ad un muro improvviso. Mettercela tutta, solo questo dovevo fare, traendo energie dal progressivo approssimarsi della concorrente che mi precedeva: schiacciata sull’obiettivo, non si dice così? Meno di una manciata di chilometri all’arrivo, ce la posso fare. Invece…
Certo che gli esempi di eccelsa sportività non mancano, neppure nel nostro umile sport. Mi è appunto saltato in mente il racconto di Ilaria, a proposito di quanto le accadde sulla linea del traguardo della Strasimeno: la sua reazione, sì, fu encomiabile. Tanto di cappello, Ilaria. E perdonami se oggi non ti ho riconosciuta, sono davvero irrecuperabile…

Tornando alla mia gara, visto che non era in programma, rappresentava quindi poco più di un allenamento; visto che la settimana è stata tutt'altro che riposante; soprattutto, vista la forza di Eolo, quasi quasi me lo dico ancora: Brava! (Sottovoce, però, che non mi senta nessuno...)

arrivooooo!!!


martedì 15 marzo 2011

Feccia

Il percorso è sempre quello. Una volta segnavo i chilometri con la vernice, adesso mi affido al Garmin, così posso introdurre qualche variazione – invertendo il senso di marcia, deviando verso altre strade, aggiungendo giri intermedi.

Oggi corsa blanda, in scioltezza: la mezza di domenica, per quanto sembri smaltita, è senz’altro ancora nelle gambe. E se ne voglio affrontare un’altra tra pochi giorni, meglio concedersi un po’ di respiro. Tanto più che è una giornataccia, la pioggia non tarderà e il vento…beh, al vento mi devo purtroppo rassegnare – giuro, non è una scusa per giustificare le scarse prestazioni!
Sono ormai a metà strada, dopo la villa e il ponticello sul canale, proseguirò dritto anziché svoltare a sinistra verso casa, così da allungre di un paio di chilometri. Oggi c’è meno traffico del solito, ma un podista l’ho già incrociato. L’individuo sbuca dalla curva non ha però nulla a che vedere con la corsa: mi aveva appena superato su uno scooter, ora si esibisce in piedi a braghe calate. Un attimo e sparisce, sul suo ronzino. E adesso? Corro fino al cancello della villa, si è appena chiuso e c’è qualcuno sul sentiero. Chiamo, ho bisogno di aiuto. Sento lo scooter riavvicinarsi, ma evidentemente nota il movimento e si dirige proprio nella stessa direzione che avevo intenzione di percorrere. Intanto è arrivato, in auto, uno degli uomini che avevo allertato. Gli espongo la situazione, mi chiede se voglio un passaggio. Posso fidarmi? Vorrei solo accertarmi che l’idiota non torni indietro. Si è fermato poco in là, non ha quindi intenzione di arrendersi, il bastardo. Finalmente riparte e sparisce dalla visuale. Ringrazio per l’assistenza e decido di riprendere la corsa, rinunciando però al mio programma: mi affretterò sulla via del ritorno, sperando di non avere altri guai.

Dieci chilometri scarsi, peraltro interrotti. Nera di rabbia. Non è il primo episodio del genere, ma era passato tanto tempo e non ci pensavo più. Del resto, è pomeriggio inoltrato, orario in cui le strade su cui corro sono solitamente abbastanza frequentate. Eppure, quel breve tratto senza case, leggermente in curva, ha qualcosa di malefico. Con quale coraggio tornerò ad allenarmi sul mio percorso abituale? Com’è possibile che la nostra libertà debba ancora essere limitata da trogloditi che vorrei si estinguessero tra mille sofferenze? Sembra che capiti solo a me, non ho mai sentito altre ragazze lamentarsi per fatti del genere. Possibile? Non so davvero come reagire, ho il terrore che il fetente si apposti ad aspettarmi. Cambiare zona, ma dove? Ho sempre ritenuto una fortuna vivere ad un passo dalla campagna, poter uscire di casa ed iniziare a correre senza dovermi spostare in auto. L’ideale sarebbe che l’orso trovasse compagnia, ma abbiamo tutti programmi, orari e zone difficilmente conciliabili. Non ho soluzioni, oggi ho solo una grande amarezza. L’idea che gente da galera possa condizionare i miei movimenti mi è intollerabile. Questo mondo mi fa schifo.

domenica 13 marzo 2011

Pieve di Cento - Maratonina delle Quattro Porte

Incredibile, alle 12,30 siamo già diretti verso casa. Che sia merito della pioggia? Oppure gli organizzatori si sono resi conto che terminare le premiazioni quando in piazza sono rimasti solo i piccioni non ha molto senso? Comunque sia, ciò che conta è avere in saccoccia un risultato per certi versi sorprendente. Il che non significa soddisfacente al 100% (quando mai?), ma quantomeno piuttosto interessante. Specie in questa gara, che mi ha sempre bistrattata. Ingrata! Io che l’ho ammirata, apprezzata, quasi anelata, ne sono uscita tutti gli anni piegata a metà. Eppure si svolge sul mio percorso ideale: rettilinei infiniti persi nella campagna, orizzonti malinconici interrotti solo da argini o casolari, borghi anonimi e silenti che appena ci notano. Peccato che questo periodo dell’anno la nostra pianura patteggi una sorta di gemellaggio con la Patagonia: il vento non da tregua. Chi vive in città a malapena lo nota, le costruzioni riparano e smorzano le folate, ma appena fuori dai centri abitati occorre armarsi di forza e pazienza per affrontare certi allenamenti. E io, che già esco alquanto malconcia dall’inverno, arrivo all’appuntamento con Pieve ricca di buoni propositi ma povera di energie.

Oggi, però, qualcosa ha girato per il verso giusto. Che cosa, non saprei dire. Voglio pensare che la preparazione stia dando i suoi frutti, cos’altro, se no?
Mi approssimo verso la linea di partenza abbastanza serena. Del resto, qui c’è poco da giocarsi: sarebbe già tanto riuscire a piazzarsi tra le prime venti, al massimo si può ambire ad un premio di categoria. La mia più diretta avversaria è proprio accanto a me, intenta a scherzare con i podisti che ci circondano. L’orso, invece, sta come sempre sulle sue. Non colgo facce familiari, vorrei solo che partissimo presto perché comincio a sentire freddo. Oggi devo spezzare l’incantesimo: rivolgere la gara, questa gara, a mio favore. Che non si dica, anche stavolta, che a Pieve faccio sempre schifo.

Nei primi chilometri mi mantengo a distanza di sicurezza, troppa ressa attorno a lei. È vero che nel gruppo si sta riparati, ma è noto che io non riesco a correre tra tanti piedi. Il ritmo è buono, ma stranamente prudente: avrei scommesso in uno slancio maggiore, se non altro per acquisire margini di sicurezza. Mi sto avvicinando, non posso farne a meno. Mi nota e alza l’andatura. Bene, io sto qui. Già immagino una lotta all’ultimo metro, come un mese fa. Dopo il decimo chilometro, al riparo dell’argine, cambio marcia. Senza chiedermi se sia opportuno o meno, rompo gli indugi e me ne vado. Mi aspetto una reazione, sarò sicuramente subito riagguantata. Invece no, procedo sorpassando a destra e a manca. Incosciente? Forse, ma accendo nella mente il film della Stralugano e cerco di riviverlo. Che prestazione, fu quella! Un spalla a spalla snervante, finché non decisi di dare una sferzata, proprio quando mancavano una decina di chilometri all’arrivo. Perché non dovrebbe riuscirmi anche oggi? Mi concentro sulle mie forze, ne ho ancora e devo averne fino alla fine. Non mi guardo indietro, mai. Tutto si proietta davanti a me. Nell’ultima manciata di chilometri il vento mi mette alla prova: non è particolarmente forte, ma in questa fase basta un alito di troppo a farmi penare. Sto rallentando, eppure non avverto i classici segnali di crisi che ammosciano le gambe, riducendoci a strisciare sulla linea del traguardo. Manca un chilometro. Dai che è finita, mi sprona un ragazzo, invitandomi a seguirlo. Ci provo, e ci riesco. Riesco a spingere ancora, a tirare un finale in apnea: schiatterò, pazienza…

Marescalchi mi scorge da lontano, il mio nome risuona là dove sto per arrivare. Il cronometro mi infligge una punta di delusione. Dettagli. Di poco spessore, rispetto alle due principali soddisfazioni della giornata. La seconda di queste: ho realizzato il mio miglior tempo in questa gara, corsa oggi per la sesta volta. Un altro tassello del mio puzzle: quasi quasi comincio a credere che riuscirò a completarlo.


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