martedì 20 settembre 2016

Giro Podistico Eolie 2016

Provi a scandagliarti, a cercare una risposta dentro di te: nei tuoi muscoli indolenziti, nella tua mente aggrovigliata, nel tuo animo avvilito. Nulla. Non c’è una spiegazione, solo un affastellarsi di ipotesi senza alcuna possibilità di verifica. Assurdo, questa è la parola. Assurdo che, quando tutto sembra procedere alla perfezione, qualcosa si inceppi e il meccanismo vada in tilt. Assurdo che ciò accada a ripetizione, a distanza di anni. Un film già visto, un bruttissimo film: uno di quelli che inquietano, che disturbano il sonno, che appaiono minacciosamente premonitori. E se fossi proprio tu ad indirizzare la profezia verso il suo avverarsi? Se fosse un’inconscia paura di vincere a farti inciampare sul più bello? Se, a prescindere da eventuali difetti nella preparazione e, soprattutto, nell'alimentazione, la causa di tutto fosse proprio la tua atavica mancanza di autostima?

Se quel giorno fossi partita più cauta non avresti esaurito tutte le tue energie a metà del percorso. Affrontare la terza tappa con oltre un minuto di vantaggio sulla tua diretta avversaria ti consentiva di gestire la gara con tranquillità. Chi l’avrebbe mai detto che ti saresti trovata a difendere la prima posizione? La prova iniziale l’avevi condotta con agilità: impegnata, certo, ma senza eccessivo affanno. Hai guadagnato la testa con il minimo sforzo e non ti sembrava vero: ovvio che le gambe volassero, sulla spinta dell’entusiasmo. Del resto, questa di Vulcano è la tua tappa preferita: una salita ostica quanto basta, poi una fantastica discesa dove buttarsi a capofitto, per tre volte. Sorridi a ogni passaggio, e quel sorriso ti accompagna fino al traguardo. Ora sei la leader della corsa, ruolo pesantissimo: è adesso che la sfida si fa dura. Non ci sei abituata. Tanti apprezzamenti, tante parole incoraggianti, tanta solidarietà. E tanti consigli tattici e strategici. Comincia a girarti la testa. Meglio buttarsi in acqua, quell'acqua cupa che tutto sa inghiottire. Affondi i tuoi pensieri, per poi lasciare che le emozioni evaporino al sole. Ti lasci cullare da questa spiaggia stregata: qui tutto viene ridimensionato. Si ribaltano le prospettive, si alleggeriscono gli stati d’animo, si alleviano le tensioni.
Sei pronta per la seconda prova. Nessuna paura, devi solo controllare. Ti incolli all'avversaria che vorrebbe andare in fuga. La lasci tirare, senza affannarti ma senza lasciarle respiro: sei la sua ombra nei primi tornanti, lungo il falsopiano, sull'ultimo strappo prima della discesa. Ecco, adesso puoi farti vedere, scarti e voli giù. La somma dei secondi è una garanzia, tutti già ti acclamano come la vincitrice del Giro. I numeri sono dalla tua parte, le premesse pure. Hai saputo correre con le gambe e con la testa, hai dimostrato forza e caparbietà: basta mantenersi su questa linea ed il gioco sarà fatto. Se non fosse per l’incubo del “tappone”…
Quei cinque chilometri di tornanti in salita, subito dopo il via, fanno scattare l’allarme rosso: quanto soffrirai, quanto potrai concedere alle avversarie, quanto rischi lasciandole andare e quanto restando loro attaccata? L’ultima gara in salita, un mese fa, ti ha lasciato l’amaro in bocca e non riesci a scrollarti di dosso quella pessima sensazione. Provi a scacciare il tarlo rivivendo l’ultima edizione di questa medesima tappa, quando l’avversaria si involò sui tornanti fino ad uscire dalla tua visuale, per poi essere riagguantata – e staccata - in un soffio, nel corso della discesa: aggrappati a questa immagine e ricostruisci oggi quella perfezione. Perché tanta paura? Perché non riesci ad approfittare con scaltrezza del potere del tuo vantaggio? L’altra attacca e tu, anziché farla spingere subito, ti affianchi e fai il ritmo. È vero, adesso l’andatura ti sembra blanda, ma dovresti sapere bene quanto sia duro e sfiancante questo tratto. Finalmente ti decidi a lasciarla correre, ma è ormai troppo tardi. La riprendi in discesa, certo, ma hai già speso troppo. Subire il sorpasso, quando sei ormai convinta di aver riacquistato il possesso della gara, ti spezza le gambe. Resti letteralmente senza fiato. È adesso che deve emergere l’atleta vera, quella con i giusti attributi: che, evidentemente, non sei tu. Perché anziché dirti “Ehi, sei tu la prima, e prima devi restare fino alla fine: vai e fai vedere cosa sai fare! Go, Vale, go!”, crolli come un sacco di patate, fino a farti umiliare anche dalla terza donna. Sei morta. Ti mancano le gambe, ti manca il respiro. Sull'ultimo strappo, quando potresti ancora limitare i danni e recuperare preziosi secondi, ti blocchi inerme, incapace di qualsiasi reazione. Un’ameba. Lo stesso film, lo stesso incubo. Non sei riuscita a rendere felice chi è con te in ogni corsa (e in ogni momento della tua vita), e la sua delusione è la pietra più pesante. Hai deluso tutti: quel tifo che ti ha tanto accompagnata in tutti questi giorni non era meritato. E pensare che solo ieri avevi affermato che, indipendentemente dall'esito del Giro, le prime due tappe ti avevano fornito una grande dose di fiducia - per il seguito della stagione e per quella a venire. Altro che fiducia: come ti rialzi, adesso, da questa caduta? Perché non è solo una questione di posizioni d’arrivo, e non ti rincuora sapere che sei ancora in testa con un margine che puoi amministrare. No. È l’assurdità del prova odierna ad abbatterti, a prospettarti mille interrogativi, a scolorire ogni velleità. Ripetilo all'infinito: riposa, tranquillizzati, credici.
Riposi, non sei tanto tranquilla, ma ci credi. Devi crederci. È la tappa che più detesti, ma non importa: cosa vuoi che siano cinque giri da un chilometro? Basta attaccarsi a loro, ed è fatta. Peccato per quel dolore sotto al gluteo che proprio oggi ha pensato di risvegliarsi, ma l’hai sempre gestito e dopo lo sparo sarà sparito. Ottimo il primo giro, bene il secondo, al terzo cominci ad accusare poi, proprio nell'ultimo, di nuovo piantata. Quando provi a reagire, una fitta lancinante ti dice Alt. Arrivi al traguardo camminando. Riconsegni il chip: il tuo Giro delle Eolie finisce qui. Assurdo.


Vorresti delle risposte, degli strumenti su cui lavorare. Vorresti, soprattutto, riuscire a rialzarti senza troppe ferite. Ti aggrappi alle parole di chi, nonostante tutto, crede in te: te le tatui nell'anima, affinché siano un nutrimento sempre disponibile. Poi lasci che sia Vulcano a fare il resto. L’energia primordiale che gorgoglia sotto la crosta di questa terra si trasmette nel corpo, attraversa le fibre e le elettrizza: la vita è qui, qui ti rigeneri e qui dovrai tornare. 


domenica 8 maggio 2016

Bibione Half Marathon

“Eppure io credo che se ci fosse un po' più di silenzio, se tutti facessimo un po' di silenzio, forse qualcosa potremmo capire…”

Tacciano i pensieri assordanti, cessino gli assilli insistenti, svaniscano le immagini inquietanti. Devo correre. Per respirare e per restare senza fiato. Per annullarmi e ritrovarmi. Per fuggire e per ritornare. Ho bisogno di spazi aperti, di orizzonti infiniti, di ambienti sconosciuti. 

Perché Bibione? Perché nessuno ne ha mai parlato: è qualcosa di nuovo, di diverso, di lontano. Cambiare aria, ogni tanto, fa bene. Percorso sconosciuto, facce sconosciute, io stessa sconosciuta a chiunque: la condizione migliore per dare il massimo dall'inizio alla fine, sfidando soltanto me stessa. Certo, occorre tenere conto di alcuni punti critici: lo stress del viaggio, le difficoltà nel gestire l’alimentazione, la possibilità di trascorrere una notte in bianco (chissà se esistono al mondo alberghi silenziosi). Dettagli. Sulla linea di partenza la carica è sempre a mille.  

Inevitabile guardarsi attorno, cercando di individuare i soggetti “pericolosi”. Naturalmente, a me sembrano tutte più tirate, aggressive e potenti di me. Senza contare il fatto che spesso sono quelle apparentemente più innocue a farmi mangiare la polvere. Corri con la testa. Parti prudente. Che me lo dite a fare? Io mi impegno, giuro che lo faccio, ma cosa accadrà dopo lo sparo lo scoprirai solo strada facendo. E la strada, dopo nemmeno tre chilometri, diventa sterrata. Evviva! Lo sapevo, sono preparata. Mi avevano assicurato trattarsi di terra battuta, e in effetti così è. Non avverto particolari difficoltà, ma il grip è precario e l’andatura ne risente. O forse sono io che mi sto già spegnendo. Eh no, siamo solo al sesto! Quando accidenti usciremo da questo bosco? Ecco che il verde si dirada, e ci troviamo su un fantastico sentiero di ghiaia fine e compatta, di quella in cui il piede slitta che è un piacere. Riprendo comunque ritmo, tanto da riacciuffare una ragazza che mi aveva superata nel mio tratto più lento. Finalmente torniamo sull'asfalto, qualche ondulazione per far vibrare bene le gambe, e ci si approssima nuovamente al piazzale di partenza. C’è un bel tifo. E c’è il mio tifoso più grande: lo vedo e mi vede, il sorriso che regalo è quello che mi porto dentro. 

Non sono neppure a metà, eppure oggi sento che l’energia è quella giusta. Avanzo guadagnando posizioni, sensazione di euforia pura. Riesco persino a non inveire quando il percorso devia verso la spiaggia, portandoci su una sorta di passerella di legno sulla sabbia. Panorama estremamente suggestivo, non c’è che dire, ma correre lì sopra… Eppure non cedo, anzi, continuo a superare. Addirittura, sorpasso per due volte la stessa atleta: la prima volta nel tratto di andata, la seconda al ritorno, dopo il giro di boa. Gli effetti speciali di questo sport non smettono mai di stupirmi. Salutata la spiaggia, cominciamo a zigzagare tra le vie del paese. Ormai sono agli sgoccioli, ma ho ancora qualche preda da agguantare. Peccato per il vento contrario, proprio negli ultimi chilometri. E peccato anche per i pietrini della pista ciclabile sul lungomare. Il traguardo è vicino, lo sai che devi soffrire fino all'ultimo istante. Vuoi proprio non riuscire a prendere quella a pochi metri da te? È lì, a un soffio, a un secondo. Quel secondo che resterà tra lei e me, in classifica. Pazienza. Ho dato veramente tutto, non ho nulla di cui rammaricarmi. È vero, contavo in un piazzamento migliore  - va bene, lo ammetto, anche in un crono un pochino più basso: si è mai visto che sia soddisfatta al cento per cento? Però, tiriamo le somme: disagi della trasferta, percorso bizzarro, vento e caldo. Risultato: il migliore dal 2013. Quasi quasi mi illudo che sia un punto di partenza. Alla mia veneranda età, lasciatemi sognare.


PS: una gara dall'organizzazione impeccabile non può scivolare su uno degli aspetti più rilevanti: le premiazioni. Forse mi è sfuggito qualche cavillo, ma se lo speaker annuncia che “da regolamento Fidal” saranno premiati i primi dieci classificati, “esclusi gli stranieri e le Run Card”, mi chiedo che cosa ci facciano sul palco tanti africani. Quanto ai premi di categoria, capisco che non debbano attenersi a nessuna normativa, ma basterebbe un minimo di buon senso - o di buon gusto - per evitare che alle donne siano assegnati riconoscimenti ridicoli rispetto a quelli offerti ai pari grado di sesso maschile.

lunedì 11 gennaio 2016

My Hero

And the clock waits so patiently on your song...
A tredici anni ero già alquanto irrequieta. Un’età difficile, si sa: i genitori diventano ingombranti, i fratelli maggiori si allontanano e vorresti inseguirli, il mondo offre infiniti orizzonti da esplorare. Tanti amici, tutti con qualche anno in più: i motorini, le fughe dal paese, la discoteca. Ciò che non è consentito si fa di nascosto: oppure ci si accontenta di quello che si ha a disposizione. Per esempio, una sala ARCI. E un gruppo di attivisti che prende a cuore la causa dei “giovani” e chiama due DJ per animare le loro domeniche pomeriggio. Fu lì che accadde: la folgorazione. Certi accadimenti non hanno una spiegazione, impossibile razionalizzare un colpo di fulmine: succede e basta, e resti segnato per sempre. Quella canzone… Mai sentita prima, nonostante fosse già datata: forse troppo, per me, chissà. Chissà quali corde mi fece vibrare, chissà come rivoluzionò il mio sentire. Fatto sta che con Heroes il mio senso per la musica fu sconvolto per sempre. Un amore senza mezzi termini: ti prende totalmente, come una malattia. Di lui non sai nulla, e ora vuoi conoscere tutto: e tutto ti sembra straordinario.
Mi chiudo in camera, appoggio l’LP sul piatto, la puntina sull’LP, e parto. Il mio primo acquisto importante, il mio primo disco di David Bowie. Ma la musica non mi basta: devo leggere la biografia, imparare i testi, ammirare le foto – che ovviamente hanno già tappezzato le pareti, in fondo sono un’adolescente. Inizia così il rito: una volta assimilato l’intero album, ne acquisto un altro, e così via, fino a completare la collezione. Comprese le rarità, le raccolte, i live. Non mi sfugge nulla. Nemmeno la notizia del suo concerto in Italia. Non mi pongo neppure il problema se mi sia permesso o meno: il 9 giugno 1987, alle sette di mattina, sono davanti allo stadio di Firenze. Inutile descrivere un’esperienza che è scontato definire unica: una ragazzina sotto al palco, incantata di fronte al suo idolo. Ho detto tutto.
Gli anni passano, i gusti cambiano, la vita presenta difficoltà sempre crescenti. Ma nulla ha incrinato quella passione: quella ragazzina resta viva in me. È la stessa che ha assistito a tutti i suoi concerti in Italia (a volte anche in più date del medesimo tour), immancabilmente in prima fila: dopo Firenze, Torino, Milano, Modena, Bologna, Pistoia, Lucca… Capisco che è sciocco, so di apparire stupida, ma tutt’ora mi è sufficiente una sua nota, o una sua immagine, per paralizzarmi. Nessun altro artista, per quanto apprezzato, ha mai avuto su di me un simile effetto. Non me lo so spiegare. Forse perché tutto è nato in un momento particolare della mia vita, l’età in cui si è alla ricerca di punti di riferimento e si recepisce con enfasi ogni stimolo; forse per l’estrema grandezza del personaggio – estremo e grande in tutti i sensi, e in tutti gli ambiti artistici in cui si è espresso. O forse perché la passione si vive e basta. Nulla la definisce, e nulla la spegne. Nemmeno la morte.
Di quest’ultima non riesco ancora a parlare senza che mi si appanni la vista. So di non essere l’unica. So che non me ne farò mai una ragione. So anche che non smetterò mai di ascoltarlo, e che nessuna altra musica saprà mai toccarmi come la sua.
Stars are never sleeping. Dead ones and the living.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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