domenica 5 maggio 2013

14 ^ Maratona d'Europa: benvenuti a Trieste!


Chissà: se non avessi spinto contro il vento sin dall’inizio, se non mi fossi preoccupata da subito della media, se avessi provato ad accodarmi ad un gruppo…

Chissà perché tante maratone si chiudono con una scia di chissà. Qui c’è ben poco da indagare: un alito di vento è sufficiente a condizionare un mio qualsiasi allenamento, figuriamoci come possa ridurmi la Bora. Trieste mi ha dato il benvenuto mostrandomi i suoi gioielli il sabato, per poi schiaffeggiarmi la domenica. Ma io non ho abbassato la testa: non avrai il mio scalpo, porterò la mia pellaccia in quella magnifica piazza anche strisciando. Non posso deludere chi mi ha preparata a puntino per questa occasione, né chi aspetta per ore al traguardo: e nemmeno posso deludere me stessa con un ritiro che non saprei  perdonarmi. Le condizioni più avverse ci sono tutte: raffiche che quasi mi gettano a terra, una gamba da buttare via, una notte insonne in una stanza d’albergo troppo calda e troppo rumorosa. Questa è la sfida: resettare tutto sulla linea di partenza, concentrandosi su quelle parole famose “Io sono calma e farò una gran gara” .


Del resto, il clima d’attesa è decisamente tranquillo, si chiacchiera in bella compagnia in mezzo al verde così si allevia un po’ la mia tensione. Parto allegra, forse troppo. Cerco di controllare il ritmo, so che la scorrevolezza della prima parte può fregare. La Bora comincia a frustarmi, ma io provo a non farmi condizionare: è solo una ventata, poi si calma… Invece sono io a calmarmi, nel senso che cedo il passo rallentando rovinosamente. E non conta considerare che è iniziata la salita: ho lottato per metà gara ed ho esaurito le forze. Ora si tratta di sopravvivere. Tanto più che da adesso in poi ci si dovrà destreggiare tra il popolo della mezza maratona: se fossi stata in spinta, a lottare per un tempo o una posizione, questa ressa mi avrebbe sicuramente irritata, specie in prossimità dei ristori. In queste condizioni, invece, mi è quasi di aiuto: in fondo, non faccio altro che sorpassare gente, e mi godo persino qualche apprezzamento. Meno male che c’è la discesa, già tremo all’idea degli ultimi sette chilometri in piano. Solo sette, che sarà mai? Basta non fare la fine delle transenne, capovolte sull’asfalto. Il conto alla rovescia è iniziato, una manciata di minuti ancora. Quando all’improvviso scorgo uno sbarramento sul percorso: una fila di carrozzine che occupa tutta la strada, proprio in dirittura d’arrivo. Non ci posso credere, neanche un varco per passare e poter accennare uno sprint fino al traguardo. Riesco a svicolarmi inveendo, ma ormai la pedana è lì, e non posso nemmeno godermela.

Sono uno straccio, completamente persa. Nessuno a raccogliere quel che resta di me, non so dove andare. Raggiungo le corriere con le sacche personali, ma vedo solo quelle della mezza maratona: sto per cedere ad una crisi di pianto, quando scorgo il mio pullman. Ritirato lo mio zainetto, mi siedo sul marciapiede e do finalmente un segno di vita.

L’ho finita, e sono tutta intera. E’ andata così, non come speravo, ma è stato bello. E sono pronta per ripartire. Col sorriso.



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