N. 275 - settembre 2007
PER CASO
L’asfalto è generoso: sempre disponibile, immancabile, prontamente utilizzabile. Accessibile in ogni stagione, a qualsiasi ora, con qualunque condizione atmosferica.
Sull’asfalto muovono i primi passi i principianti della corsa. Alcuni presto l’abbandonano mentre altri, altrettanto presto, ne divengono dipendenti e si impossessano della strada. Misurano percorsi, contrassegnano distanze, creano variazioni. Ognuno ha un proprio giro classico e diverse percorrenze alternative, e anche le gare sono scelte in base alla conformità del tracciato, considerandone lunghezza, altimetria e fondo stradale.
La pista, per gli amanti della corsa su strada, è un mondo a parte. Molti ne ignorano completamente l’esistenza, alcuni si sforzano di utilizzarla per qualche allenamento specifico, altri ancora si spingono a cimentarsi in prove competitive – chi per curiosità, chi per dovere verso la propria società e chi, semplicemente, per caso.
Difficile, infatti, resistere al richiamo di un trofeo o di un campionato, magari di livello nazionale, quando la manifestazione ha sede ad un passo da casa. Soprattutto se si è già ben allenati e se non si contano ormai più le soddisfazioni ottenute nelle gare su strada. Così è per Donatella Vinci, atleta milanese categoria MF40 che vanta, tra i vari titoli, un secondo posto agli ultimi campionati italiani di corsa su strada nella distanza dei 10km (36’44”). “Vivo qui, come potevo non partecipare? Ma da domani torno all’asfalto e allo sterrato, la pista proprio non fa per me”. Sarà. È vero che le sue scarpe modello A2, uniche in un parterre di chiodate, rivelavano l’estraneità di Donatella a questo genere di prove. Ma che dire, allora, del suo terzo posto nei 1500mt?
Chi accede ad un campionato Master in pista, conoscendo solo la strada, è un po’ un alieno caduto su un altro pianeta. Specialità fino ad allora viste solo in tv, nelle performance dei grandi campioni, assumono una diversa fisionomia e tutto rientra in una nuova dimensione. Più tangibile, forse, magari più reale, senz’altro più umana. Un centrifugato di storie ed esperienze che genera energia, un’energia palpabile e contagiosa, che rimbalza tra un salto e una partenza, tra un lancio e una volata. In uno spirito che non considera né anagrafe né categorie, e unisce tutti i partecipanti in un’unica generazione.
PER PROVA
C’è chi aspetta di essere “grande” prima di cimentarsi in un campionato di livello nazionale. Forse non si è mai sentito sufficientemente pronto, o magari si è dilungato nell’attesa dell’occasione giusta, oppure semplicemente non aveva ancora preso in considerazione l’idea.
Svariati possono essere i motivi che spingono a rimandare l’ingresso a competizioni di tale rilevanza, ma tra essi è senz’altro da escludere un’eventuale tardiva preparazione. Con la pista non si scherza, e i gesti atletici che sono emersi nelle corsie dell’Arena Civica non sono affatto frutto di improvvisazione. Del resto, basta ascoltare i commenti a caldo sulle singole prestazioni per avere conferma dell’alto grado di preparazione di questi atleti. Come Dario Gasparo, categoria M45, già emerso in altre occasioni, ma al suo esordio in un contesto nazionale: e che esordio! Suo il titolo di campione italiano sia sui 400mt che sui 400 ostacoli (pur avendo riscontrato alcune difficoltà nell’impostazione del ritmo, a causa dell’elevata elasticità della pista). Dario voleva provare, innanzitutto a se stesso, quale prestazione avrebbe potuto realizzare, alla sua età, in un simile ambito. Ma, al di là del proprio risultato e della personale soddisfazione, a colpire la sua sensibilità è stata la percezione del prodigarsi di tante persone in una sfida contro la forza del tempo – tempo inteso, stavolta, non come esito cronometrico, né come clima, bensì come scorrere degli anni.
Per scoprire chi sia il vincitore di tale sfida basti osservare questi atleti. Scrupolosi nel calcolare la suddivisione dei segmenti della superficie sulla quale compiere il triplo salto, pignoli nel contare i passi tra un ostacolo e l’altro, esigenti sulla precisione di misure e risultati. Non c’è spazio per l’approssimazione, né tanto meno per la distrazione. L’importante è partecipare, è vero, possibilmente divertendosi. Ma ciò non toglie che il campionato sia una cosa seria, alla quale
dedicare il meglio di sé, indipendentemente dalla categoria di appartenenza. Ecco perché quel famigerato tempo, che avrebbe la presunzione di spuntarla nell’impresa di fiaccare gli animi e smorzare gli entusiasmi, qui è costretto a chinare la testa, impotente. Inutile sfidare un’energia che non ha età e che, anzi, proprio dall’età trae le sue risorse. Poiché è proprio la determinazione dei veterani ad alimentare la grinta dei più giovani, dando vita ad un circolo virtuoso ricco e inesauribile.
PER SFIDA
Una volata tirata alla morte, il traguardo tagliato davanti a tutti, la medaglia di campione italiano al collo. Eppure, nessuno slancio di gioia: sul volto crucciato solo fatica e delusione. “Mi sentivo in gran forma e contavo di migliorare il mio record, ma non ci sono riuscito”, lamenta Alessandro Cipriani, già detentore del primato italiano M50 nei 400 ostacoli.
Duro agonismo e competizione sfrenata: i Master sono anche questo. Agguerriti nella ricerca del risultato, ma mai del tutto soddisfatti, perché si poteva sempre dare di più: chiudere in un tempo inferiore, saltare con maggior precisione, gestirsi con tattica superiore. Davvero l’importante è partecipare? Essere presenti, certo, non mancare nessun campionato, restando però sempre concentrati sull’obiettivo principe: migliorare.
Qualcuno pensa che, dopo una certa età, sarebbe più opportuno limitarsi alla tapasciata paesana, accontentandosi di portare a casa una confezione di pasta o di caffè. Come se esistesse un tempo massimo, superato il quale qualsiasi impegno agonistico apparirebbe privo di senso. Prive di senso risulterebbero invece proprio tali idee, se messe a confronto con i pensieri e le espressioni che colorano questi campionati. Il saltatore che impreca per un millimetro mancato, l’ostacolista che si ostina su un passo perduto, la mezzofondista assente alla premiazione perché chiamata al controllo antidoping. Dove sta la differenza tra queste competizioni e quelle degli atleti professionisti? Cambiano i numeri, ovvio, ma non l’atmosfera: concentrazione, grinta e determinazione sono le stesse.
La tensione verso il risultato è talmente decisa che è facile assistere a veri e propri litigi tra giudici di gara e atleti, qualora questi ultimi non reputino regolare una misurazione. Fino ad arrivare a mettere in discussione persino la validità del foto finish: quando si è saldamente convinti del valore della propria prestazione, neppure la tecnologia fornisce certezze.
Vincitori e vinti, conclusa una gara, già pensano al prossimo campionato. E dopo quello italiano, la sfida si apre sul fronte mondiale. Per molti non sarà affatto una novità, girare il mondo alla caccia del risultato per i più è ormai consuetudine. Ma quest’anno si gioca in casa, quindi le aspettative sono più alte. Chissà chi sarà la più generosa con i nostri atleti azzurri, tra Riccione ed Osaka?
PER COSTANZA
F75, M80, M90. Sigle che fanno rizzare i capelli. Inimmaginabili, fino a quando non si abbia la fortuna di assistere alle prove di questi atleti, e di incontrare sul campo le loro espressioni di allegria e serenità. Si incontrano e si confrontano da generazioni, campioni che, possiamo affermarlo, hanno fatto la storia dell’atletica. I loro aneddoti riuscirebbero a riempire pagine su pagine. Evidentemente, l’esercizio fisico influenza positivamente anche la memoria, considerata la disinvoltura con cui snocciolano nomi, record e annate. È un piacere ascoltare Ottavio Missoni, un solare “under 90”, che ricorda di quando, sedicenne, si aggiudicò l’oro nei 400mt: proprio sulla pista dell’Arena Civica, esattamente settanta anni fa. O Bruno Sobrero, classe 1920 il quale, pur lasciando trapelare un pizzico di nostalgia per certe mitiche staffette, promette scintille ai mondiali di Riccione, dove gareggerà anche nel decathlon. Per tacere, poi, di Giuseppe Ottaviani, categoria M90 (per la precisione, anno 1916): i suoi 100mt in 22”06 parlano da soli.
Quanto al settore femminile, inutile precisare che queste atlete non hanno nulla da invidiare agli uomini di analoga categoria. Anzi, a ben vedere, si potrebbe sostenere che l’unica nota di leggera invidia è quella provata dalla sottoscritta, la quale dubita fortemente di essere in grado di raggiungere, ora come ora, risultati simili a quelli ottenuti da queste campionesse - campionesse che, senz’altro, hanno dovuto lottare non poco per ritagliarsi, nel quotidiano, lo spazio sufficiente ad allenarsi.
Infinita costanza, rinvigorita dai risultati e dalle soddisfazioni. Ma anche dal piacere di ritrovarsi: avversari in uno sprint e compagni in una staffetta, antagonisti su una certa distanza e tifosi l’uno dell’altro su una diversa, ad applaudirsi reciprocamente sopra e sotto il podio.
Se i giovani Master stupiscono per l’elevato livello atletico delle prestazioni, sono però le categorie più anziane ad arricchire di senso questi campionati. Perché, se anche con pantaloni di spugna o calzettoni di cotone si possono stabilire invidiabili primati e se, al di là dei risultati, lo spirito e l’energia non si lasciano intimorire dal tempo che avanza, non è assurdo ipotizzare che chiunque possa ambire al proprio momento di gloria, avendo soltanto la voglia e il coraggio di mettersi alla prova. Un messaggio, forse banale ma necessario, ai ragazzi che si affacciano al mondo dell’atletica: quale più fruttuosa lezione di una giornata da spettatori, in un simile contesto?
PER PASSIONE
“Spostatevi, se no mio marito non riesce a fotografare”, esorta un’atleta dall’alto del podio, rivolgendosi a giudici e fotografi che oscurano la visuale al signore che la sta ammirando, aggrappato alla rete che separa la pista dalla tribuna.
Amore per la corsa e amore per chi corre: passioni che si intrecciano, si fondono, a volte si scontrano.
Passione, appunto. Quella che si legge sui volti degli atleti che abbiamo incontrato, che illumina i loro sguardi e vivacizza le loro parole. Anche se non viene nominata, è evidente che sia lei, qui, la protagonista: in sua assenza, mancherebbero sfide e risultati. Privato del motore primo del proprio meccanismo, qualsiasi sport non avrebbe modo di esistere.
I Master, si sa, non possono permettersi di vivere di atletica. Ciò non toglie che abbiano organizzato la loro vita in modo che non vengano mai a mancare i momenti per dedicarsi a ciò che più li rende vitali: perché mai come in quelle ore di corsa (o in quel salto, o in quel lancio), ci si sente così intensamente e totalmente se stessi. È questo ineffabile e indefinibile senso di appagamento che rende possibili sacrifici altrimenti impensabili – e a molti incomprensibili. E spiega anche perché tanti atleti non perdano occasione di misurarsi in contesti competitivi, nonostante svariate avversità abbiano loro impedito di prepararsi adeguatamente. La passione è contagiosa, e l’adrenalina che impregna l’atmosfera del campo di atletica lo è ancora di più: chi ne è assuefatto, non saprà farne a meno.
Malato di corsa, in quanti se lo saranno sentiti dire. Tra i tanti, certamente anche Umberto Golino, categoria M65, che già da ragazzino correva scalzo attorno alla struttura della pista di Formia, sognando i campioni che si allenavano all’interno. Le prime scarpette le ebbe in regalo dall’autista di autobus che, vedendolo ogni giorno, si era impietosito di tanta folle determinazione. Ora Umberto fa il nonno a tempo pieno, ma la sua prima passione non si è affatto spenta, e gli frutta ancora notevoli soddisfazioni - del tutto simili a quelle dei campioni che, allora, vagheggiava.
C’è poi chi sul podio non riesce più a salire, chi non vi ha mai messo piede e chi non lo avvicinerà mai. Ma non per questo demorde. Spesso il contesto è più gratificante della singola prova o, addirittura, è tutto ciò che fa da contorno alla gara a dare un senso alla gara stessa. I programmi di allenamento, i giorni di fatica e quelli di riposo, le varie tappe di avvicinamento: tanti tasselli a comporre il mosaico di un momento. Che può riuscire più o meno bene, ma che è talmente ricco di colori e di sfumature da risultare comunque indelebile.
Come indelebile è la prestazione di ogni singolo atleta, di qualsiasi sesso, di qualunque categoria.
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