lunedì 18 settembre 2017

Giro Podistico Eolie 2017 - Capitolo 3: ancora Lipari, sempre Vulcano

Da qui si vedono tutte, sette perle placcate dall'ambra del sole che digrada. Persino Alicudi, la più lontana, la più selvaggia. Chissà se ospita ancora quel bizzarro pittore francese che ci incantò con la sua immagine bohémien tanti anni fa. Quanto tempo è passato? Da quanto tempo non osservavamo da questa prospettiva il panorama dei nostri sogni? La salita al cratere è una passeggiata eppure, per una ragione o per l’altra, quella bocca rovente continuava a sfuggirci. Stavolta no, a costo di salire con una gamba sola. Che, in effetti era quello che temevo: più che di dover rinunciare a gareggiare, avevo paura che, costringendomi a farlo, avrei finito col ritrovarmi nell'impossibilità persino di camminare. Ho invece conquistato la mia montagna e ora la respiro, quasi a farla mia, nella disperata speranza di non lasciarla più. 


Siamo a metà dell’opera. Mancano “solo” due prove, anticipate da un giorno di riposo – tanto meritato quanto sofferto. Di rilassarsi non si parla proprio: il fotoreporter parte all'alba a caccia di scenari suggestivi, l’atleta si agita nel sonno col terrore di morire dal dolore alzandosi dal letto. Sopravvivo, ma la situazione è decisamente preoccupante. C’era da aspettarselo. Anzi, sono già andata oltre le più ottimistiche previsioni. Eppure, l’idea che la strada si possa interrompere non mi scuote affatto. Duole sempre ai primi passi, poi si stabilizza e quasi passa in sordina: è stato così nei giorni scorsi, lo sarà anche nei prossimi. Dovrò vedermela con la tappa più antipatica, quella che l’anno scorso ha sancito il mio ritiro: una sfida tra me e lei, e vincerò io. Non ho dubbi. Sto sfidando la logica, la fisica, la ragione. E mi sto divertendo un sacco. Difficile capire dove finisca la mia caparbietà, e dove inizi il desiderio di stupire chi è in ansia per me: la disperata voglia di correre si fonde con l’estrema necessità di non deludere. Troppi errori su queste strade, è ora di finirla.

Cinque giri di un chilometro abbondante, su e giù per il centro di Lipari. Ciottolati, curve secche e turisti distratti: un incubo. Se mi lasciassi trascinare dalla foga degli sprinter sarei spacciata – ovvero, impiccata già al primo muro. Ritmo da crociera anche oggi, è l’unica strategia per restare a galla. Con calma mi avvicino alle due ragazze in più diretta competizione, nella discesa sono leggermente avanti quando, in prossimità del ristoro, un piede si aggancia al mio e trovo l’inferno. In una manciata di secondi vedo scorrere le immagini più catastrofiche: schiantata sui pietrini, paralizzata dalla rabbia e dal dolore. Eh no, stavolta no! Barcollo come un clown, gambe e braccia all'aria, rifiutando di cedere alla forza di gravità. Signori e signore, oggi comiche. E per la gioia di tutti voi, Ridolini resta in piedi. Anzi: più cattivo di prima, parte alla rincorsa di chi gli ha fatto lo sgambetto. Si tratta solo di aspettare il rettilineo più scorrevole e il sorpasso è fatto. Ancora un paio di giri, può ancora accadere di tutto, ma sento che lo scoglio è superato: sto già assaporando lo sguardo stupefatto di chi mi aspetta trepidante, più incerto di me sulle mie reali possibilità.

Potrò dire di avercela fatta solo al traguardo di Vulcano, sabato mattina. Mi piacerebbe, almeno in questa occasione, attivare la modalità “gara”. Perché fino ad ora non l’ho innescata: non mi sono spremuta, non ho tirato alla morte, non ho patito la competizione. Mi sono impegnata il minimo indispensabile, esclusivamente per il piacere di partecipare. Certo giorno dopo giorno, risultato dopo risultato, l’euforia aumentava: anche il confronto con le passate edizioni si faceva sempre meno avvilente. Ovvio che il cavallo cominciasse a scalpitare. Insomma: non intendo lanciarmi come un kamikaze contro il gruppo di testa, vorrei però vivere l’agone fino in fondo. Galeotta è la discesa: come faccio a trattenermi se si parte in picchiata? Lo so che al ritorno questo tratto mi spezzerà le gambe, ma adesso è impensabile non slegarle. Che almeno mi diverta un po’, perché sul piano sono già piantata: qui emerge tutto ciò che mi manca. Senza allenamento, senza attitudine al ritmo, senza prove di velocità non si improvvisa niente: il motore non gira. Per quanto si provi a spingere, sembra di non avanzare affatto. Così arrivo già in affanno sul falsopiano – che vivo come una salita allucinante. Mi sorpassano a frotte, sono una palla sgonfia. Mi concentro sulle mie forze, sull'andatura, attendendo come un miraggio il giro di boa. Peccato che la discesa non sia proprio di quelle che piacciono a me: ti lascia prendere fiato, sì, ma non ti consente di volare. Se non altro, è sufficiente a guadagnare alcune posizioni. Devo sfruttare al massimo questo tratto, per poi sputare sangue sul finale. Un dosso diabolico, poi di nuovo sul piano. Ancora una volta, fianco a fianco con Francesca. Ovviamente lei ne ha più di me, ma è grazie alla sua forza che riesco ad affrontare l’ultima salita con una grinta insperata. Sto morendo, ma è così che vorrei morire: scoppiando di gioia.

Ho vinto. E non parlo della posizione, né del premio di categoria: parlo della mia battaglia.  A tutti quei discorsi su cosa si possa ottenere solo con la forza di volontà non avevo mai creduto. Invece… Non so dove abbia trovato le risorse, né come abbia potuto vincere il dolore: non so quando guarirò, né quando tornerò a correre. Ho però una nuova certezza: posso farcela, possiamo farcela. Non esistono ostacoli insormontabili, solo montagne da conquistare. Come Vulcano. La sua energia non si esaurisce. Ed è in noi.




giovedì 14 settembre 2017

Giro Podistico Eolie 2017 - Capitolo 2: da Lipari a Salina

Servirà a qualcosa questa melma maleodorante? C’è chi la ritiene miracolosa e chi, come la sottoscritta, ai miracoli non crede affatto. È però vero che, quando la situazione si fa disperata, si finisce con l’aggrapparsi a qualsiasi scoglio. Così, eccomi immersa nella pozza, col viso cosparso di fango, a pregare che almeno la pelle, se non le articolazioni, possa uscirne rigenerata. Poi impacchi di ghiaccio, passeggiate nel mare, massaggi di scarico; e ancora: elettrostimolazioni, rullate sulla pallina da tennis, esercizi di allungamento. Un lavoraccio gestire questo tendine, ma non vogliamo fargli mancare nulla: deve capire quanto ci stia a cuore, quanto sia importante che si alteri il meno possibile, quanto sia necessario che ci accompagni paziente fino all'ultimo giorno.

Ho deciso di continuare, quantomeno di provarci. Sarà l’entusiasmo della prima prova, superata al di sopra di ogni aspettativa; sarà l’incapacità di scindere il mio soggiorno alle Eolie dalla partecipazione alla gara; sarà che la fiducia accordatami dalle persone che animano questo evento mi ha trasmesso energia e positività. Insomma: salirò su quella barca, diretta a Lipari. Elettrizzante la seconda tappa: un colpo di schioppo. Qualche tornante, giusto per scaldare il motore, quindi un susseguirsi di saliscendi a tenere alta la frequenza, per poi volare in picchiata fino al traguardo. In un contesto quasi lunare: da uno sperduto villaggio sul mare, sfiorando spettrali cave di pomice, per arrivare sul piccolo porto che sembra attendere i nostri tuffi. Poco più di sei chilometri, da buttare giù tutti d’un fiato. Potendo. Perché oggi la vedo durissima. È necessario un buon riscaldamento, ma da subito il tallone lancia segnali tutt'altro che incoraggianti e temo molto per quando, a qualche centinaio di metri dal via, inizierà l’arrampicata.

Può essere che l’adrenalina faccia miracoli. O forse è il bisogno di correre, la gioia di correre, ad annichilire tutti i dolori. Mantengo la calma, non dispongo di alcuna risorsa per poter rincorrere chissà quale obiettivo. Mi basta riuscire ad avanzare, passo dopo passo, con le mie scarpette, il mio chip e il mio magico pettorale ben spillato. Mi stupisco di essere nel gruppo delle atlete che ieri avevo davanti a me: mi sbalordisco quando, senza forzare, le lascio alle mie spalle. Al mio fianco resta Francesca, e quasi mi dispiace dare vita ad una sfida con lei: perché è un’amica, perché non vorrei si sentisse offesa, perché ci siamo dette che siamo qui solo per divertirci. E allora divertiamoci, ognuna vivendo la sua gara. Io non posso permettermi di andare oltre i miei limiti, già troppo esigui. Posso solo regolare il mio respiro, modularlo sulle difficoltà del percorso, impostarlo sul ritmo della mia falcata. E quando la strada comincia a scendere, resta solo l’aria sottile da attraversare in un baleno, abbandonando ogni ansia e ogni tensione. Finalmente lasciarsi andare. Verso un altro traguardo. Mai come quest’anno ogni arrivo è una vittoria, quale che sia la classifica. Non fermarmi più, ecco cosa vorrei. Infatti continuo a correre, come se dovessi defaticare: come se fossi un’atleta seria. Che di serio, ora, non ha proprio nulla: quel sorriso, incollato sul volto, non accenna a smorzarsi. Quante volte è successo? Quante volte Jader, quasi più emozionato di me, mi ha guardata incredulo, chiedendomi come abbia fatto? Ce l’ho fatta, anche oggi. Domani?

Sapete cosa vi dico? Che domani non ce la facciamo. Ecco la sentenza di Manuele, nel bel mezzo di un soporifero bagno di sole sulle sabbie nere. Lo seppelliamo con una risata e ci buttiamo in acqua per rinfrescare muscoli e pensieri. Vorrei riuscire a distendere entrambi, ma la prospettiva della terza tappa è tutt'altro che rassicurante. La più lunga, la più insidiosa, la più difficile: difficile da interpretare, da gestire, da sopportare. Persino nelle migliori condizioni. Il ricordo della crisi nera dell’anno scorso, a causa della quale mi giocai la vittoria del Giro, scotta ancora. Quest’anno non ho niente da giocarmi, niente da vincere, né da perdere. Cosa mi preoccupa, allora? Il mio tendine, ovviamente, e il mio fisico. Né l’uno né l’altro sono preparati per affrontare quasi quindici chilometri: da maggio ad oggi, la distanza massima che ho messo nelle gambe equivale ai sette chilometri della prima prova, le uscite totali di corsa cinque o sei (a esagerare). Che abbia ragione Manuele?


Vedrai, oggi ti stupirò. Lo affermo convinta, e il bello è che ci credo davvero. Il percorso presenta delle novità rispetto alle precedenti edizioni, ma i tratti salienti li conosco bene, e stavolta non posso sbagliare. Devo partire piano, pianissimo: in fondo non ho scelta, la velocità è lungi da me e altrettanto lontana è la resistenza allo sforzo. Non so se sia più preoccupata del dolore o della capacità di sopportazione. La soluzione è una sola: mettere al bando ogni assillo e godermi le strade di Salina. Come due giorni fa a Vulcano, lascio che tutte si scatenino finché possono. Io sono una semplice tapasciona, ad una qualsiasi camminata domenicale. Ecco Francesca. Non intendo sforzarmi per tenere il suo passo, l’istinto di sopravvivenza ha la meglio sull'agonista che è in me. Ci alterniamo comunque nella salita e recuperiamo diverse posizioni. La parte nuova del percorso si snoda in un dedalo di viuzze dove sembra di giocare a nascondino, con saliscendi che innervosiscono il ritmo. Poi finalmente, la discesa: finalmente posso mollare i freni. So che a due chilometri dall'arrivo mi aspetta un muro dove potrei morire, e so anche che il rettilineo finale mi vedrà strisciare. Ma ora voglio solo sentirmi libera di volare. È uno spettacolo: questo luogo, questa gara,  questa mia incredibile forza. È come se mi vedessi dal di fuori: l’immagine della gioia di correre. Tralasciando per un attimo il suo reportage fotografico, Jader mi incita con foga, annunciandomi che ho guadagnato un incredibile vantaggio sulla terza in classifica. Stai zitto! Non lo voglio sapere: non sia mai che l’ansia da prestazione inquini la mia leggerezza, finendo con attanagliarmi i muscoli. Non devo pensare a nulla, nulla devo ascoltare. Oggi conta solo il qui e ora. Oggi conto solo io: il miracolo di Valentina che corre. E pazienza se sull'ultimo strappo avrò qualche cedimento, pazienza se affronterò l’ultimo chilometro quasi barcollando. Taglio il traguardo in terza posizione. Non so se ridere o piangere.


Te l’avevo detto che ti avrei stupito. Ancora una volta: come hai fatto? Chi può dirlo? Chi può dire quali saranno le conseguenze di questo azzardo? Ci penseremo al momento opportuno, adesso godiamoci una prelibatezza. Del resto, perché non ammetterlo? Lo scopo di tante fatiche è uno solo: intingere la brioche calda in una succulenta granita.

lunedì 4 settembre 2017

Giro Podistico Eolie 2017 - Capitolo 1: Vulcano

Nel certificare che il motore potrà sopportare un altro anno di attività agonistica, il medico sportivo mi chiede quale sarà la mia prossima gara. Saperlo! Tasta il mio tendine acciaccato, legge l’esito dell’ecografia e sentenzia: almeno un anno senza correre. Ottimo. Proprio quello che avrei voluto sentirmi dire, a due settimane dalla partenza del giro a tappe delle Eolie. Non che pensassi di poter gareggiare, ma da lì a vedermi ferma per “almeno” un altro anno…

Mi ero iscritta con le migliori intenzioni, seppure già infortunata. Uscita malconcia dalla mezza maratona di Bibione (7 maggio), confidavo che oltre un mese di stop mi avrebbe consentito di ripartire adeguatamente. Invece, nessuna luce all'orizzonte. E a forza di dire che c’è ancora tempo, il tempo passa e io resto ferma ai box. Comincia a prospettarsi una settimana di solo mare: un sogno per tanti, un incubo per noi. Urge una strategia di avvicinamento acutamente persuasiva: fino all'ultimo istante, vietato accennare al piano B (ovvero l’ultima spiaggia, nel senso letterale della definizione).

Metà agosto, è ora di sondare il terreno. Mi butto nella mischia (si fa per dire) della camminata al Parco Cavaioni. Solo l’idea di accennare un passo di corsa mi terrorizza, vorrei riuscire a non aver il pensiero fisso su quel tallone, ma è impossibile. Mi incammino, in coda a tutti, quasi fossi ad una scampagnata, quasi non ricordassi come si fa a correre: perché di fatto è così. Alle prime falcate mi sembra di volare, un’euforia che mi stordisce, ma basta poco per sentirsi piombare addosso tutta la pesantezza di tre mesi abbondanti di inattività: goffa, scoordinata, tutta storta. Una fantoccio mosso da un marionettista ubriaco. Manca il fiato, mancano i muscoli, manca il ritmo. Non manca invece il dolore. Sopportabile, sì, ma sempre lì, a ricordarmi che nulla è risolto. Però, seppure con diversi tratti di passo, riesco ad arrivare alla fine con un bel sorriso. Quasi quasi ci credo! Tanto da prendere la folle decisione di attaccarmi un pettorale di lì a due giorni: così, giusto per vedere l’effetto che fa. Pazienza se camminerò pressoché tutta la salita – e buona parte della discesa sterrata: è ciò che ho sempre fatto su quel percorso, dove riesco a dare il peggio di me. Disattivata la modalità agonistica, fregandomene altamente sia del crono che della posizione, sono persino capace di divertirmi. Ho sofferto? Un po’, comunque meno di quanto temessi. Che da qui si possa ripartire? L’entusiasmo gioca brutti scherzi, conduce sottilmente all'illusione. Illusione di breve respiro: il giorno seguente zoppico, e sul mio tallone sembra essere cresciuta una pallina da tennis. Reset. Una settimana senza muovere un passo. Mi tuffo in piscina rischiando l’ipotermia, macino chilometri sulla mia mountain bike da strapazzo, mi sfianco di esercizi per potenziare muscoli invisibili. Tutto per giungere ad una sola conclusione: se non sono fatta per correre, lo sono ancora meno per qualsiasi sport alternativo. Ergo: o mi rimetto in sesto, oppure mi dovrò dedicare all'uncinetto.
La camminata paesana del venerdì sera cade a fagiolo. La valigia è ormai pronta, mancano solo le scarpe tecniche. Corro qualche centinaio di metri, mi fermo e penso che dovrò disfare tutto: rimettere nel cassetto short, top, calzini che non potranno servirmi. Poi all'improvviso avverto come una zaffata di zolfo… Riparto, e non mi fermo più. Infischiandomene dell’erba alta, della terra sconnessa, del vento contrario: infischiandomene dei dolori. Ce la posso fare. Ce la farò.

Lo zolfo ora è qui: lo vedo, lo sento, lo amo. Mai come questa volta la vacanza si prospetta incerta, mai come questa volta i dubbi sono superiori alle certezze. La mia costante insicurezza è ora prevaricata dalla triste realtà: le possibilità sono ridotte al lumicino. E non mi riferisco al mio piazzamento, bensì alla mia partecipazione: sarò al via, chissà se sarò al traguardo. La posta in gioco è altissima, e va ben oltre il semplice esito di una gara. Siamo qui a dispetto di ogni logica, contro ogni ragionevolezza: siamo qui da folli, da sognatori. Ed è così che mi presento alla partenza. Senza condizione, senza allenamento, senza prospettive. Andate pure, scatenatevi. Io procedo cauta, con calma, assaporando passo dopo passo il miracolo di esserci. Inizia la salita e il tendine urla. Ho paura: paura che ceda il fisico, paura che ceda la determinazione. Un attimo di tentennamento, giusto il tempo di aggiustare il respiro e rimettersi in carreggiata. Ed ecco la discesa. Solo altri due giri, che sarà mai? Ho già realizzato più di quanto sia riuscita a compiere negli ultimi quattro mesi, e non intendo demordere. Procedo col mio passo: lento, tutt'altro che competitivo, ma incessante. Per non dire instancabile. Al secondo giro comincio a raccogliere cadaveri – io, che sono un rottame. Non avrei scommesso un centesimo su di me, avrei giurato che quella rampa mi avrebbe costretta quantomeno a camminare, invece non mi fermo un attimo. Non sono in trance agonistica, tutt'altro. Nessuno sforzo, nessuna tensione, nessun accanimento: solo la gioia di riuscire a correre, alla faccia degli infortuni, degli allenamenti mancati e delle prognosi catastrofiche. E supero anche una delle favorite. Ormai è fatta. Manca il rettilineo finale, che ovviamente sembra interminabile. Jader, per quanto incredulo, prova a spronarmi: Dai, che ti sta prendendo! Faccio spallucce, in fondo che importa? Beh, dai, un pochino importa. In una frazione di secondo mi ritrovo agonista. Non ho mai avuto il finale, nemmeno al top della condizione. Cosa potrà mai spingere chi non ricorda neppure cosa sia un allungo o uno sprint? Eppure… Eppure ho gestito la tappa in modo superlativo. Me lo dico da sola, ebbene sì. L’anno scorso la vinsi, oggi ho vinto su me stessa. Non so cosa succederà domani. Senza dubbio, tra qualche ora il tallone griderà vendetta: vedremo chi saprà gridare più forte. 

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