Che spettacolo, Chris! Non avrei mai creduto,
lo vedevo già spacciato, sconfitto dalle tensioni, da avversari feroci, da una
forma mancata. È risaputo: le strategie sono una materia a me sconosciuta, così
com’è lontana dalla mia mentalità la convinzione nelle possibilità di
rinascita. Che mi sia di insegnamento: che sia per me uno sprone. In questo
giro mi sono riconosciuta (con le dovute proporzioni) in Yeats: la vittoria in
tasca, perduta per una crisi devastante, capace di affondarti
irrimediabilmente. Il mio astro deve invece essere Froome. Atleta di un altro
pianeta, certo, ma la sua caduta e la sua risalita in queste tre settimane sono
qualcosa di incommensurabile: questo è l’esempio a cui devo aggrapparmi. Che sarà
pure un luogo comune, ma le emozioni che ho provato nell’assistere ad un
magnifico riscatto devono restare nelle mie fibre, e caricarmi ogni qualvolta
le mie batterie siano in esaurimento. Dimenticarmi di questo piede, solo così
può funzionare. Lasciare che sia chi sa come trattarlo ad occuparsene. Me lo
manopola, lo massaggia, lo malmena quasi: a momenti è una guduria, in altri c’è
da stringere i denti. Quando ti rimetti in piedi non capisci se stai meglio o
peggio di prima. In un primo momento ti senti leggerissima, quasi nuova. Poco dopo
il lavorio subito si fa sentire, ti senti indolenzita, ti assalgono mille
dubbi. Sarà servito a qualcosa? Produrrà gli effetti sperati? E se avesse
aggravato la situazione? No, questo no, ma… Per quanto tempo ancora? Quante sedute
dovrò sopportare? Quando sarò licenziata? E con quale risoluzione? Vai e corri! Oppure, Mi spiace, non so più cosa fare?
Non si era detto “non devi pensarci”? Allora godiamoci
il Giro. Cyclette davanti alla TV, tappa decisiva. Siamo ormai agli sgoccioli,
ma ancora non ho visto nulla di eclatante. Dove sono le salite combattute, le
discese spericolate, le sgomitate alla morte? Imposto un programma di
saliscendi, impegnativo quanto basta, e pedalo in attesa che succeda qualcosa.
Ecco finalmente il tratto tanto atteso, ed ecco che il mio uomo stacca tutti e
se ne va. Pazzo! Mancano più di 80 km all’arrivo, non può farcela. Lui prosegue
con la sua frullata, io finisco la mia pedalata. Doccia veloce, che la tappa è
ancora lunga. Ho tempo a sufficienza per svolgere la mia routine di fitball. E Froome
prosegue imperterrito, apparentemente irraggiungibile. Quando conquisto il
divano, assisto al più emozionante degli arrivi, temendo fino al traguardo che
tutta quella fatica possa essere vanificata, contemplando incredula una vittoria
sulla quale non avrei scommesso un centesimo.
Gli ultimi chilometri sono sempre i più
sofferti. Oggi li ho vissuti quasi in apnea. E quando, intervistato, ha
lasciato trasparire la sua commozione e i suoi occhi lucidi, stavo per piangere
anch’io. Sarà pure drogato, come tutti i ciclisti, ma per me resta
straordinario: per il suo fisico scheletrico, per il suo stile sgraziato, per
la sua potenza sovrumana. Per il suo english style e il suo italiano fluente.
Sull’onda di questo trionfo, dovrei
allacciarmi il casco e cavalcare la bici. Mi manca invece la spinta. So che,
rinunciando, darò sfogo ad ogni sorta di senso di colpa. Ma proprio non ce la
faccio. È così grave se oggi mi prendo un giorno di riposo? Lo so, è sabato, il
giorno ideale per andare a zonzo senza troppo traffico. Poi, ricorda che dalla
prossima settimana sarà più complicato trovare tempi e spazi per allenarsi. Eppure,
niente da fare. Dopo una mattinata alla ricerca di un paio di scarpe comode per
il tran tran quotidiano, e un pomeriggio ozioso, sono esageratamente fiacca. Ci
rinuncio. Metto i piedi a mollo e rimando a domani. Mi sono già pentita. Ma ormai
è troppo tardi.
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