Il
pescatore ha avuto la fantasia di alzarsi alle 4:45, contento lui. Mi giro dall’altra
parte, un sonno leggero colorato da sogni confusi, forse animati da tracce del
film visto ieri sera: un capolavoro che conosco a memoria, sempre posizionato
nella mia top 5. Fu il mio primo “incontro” con Luigi Lo Cascio, amore a prima
vista. È talmente espressivo, così incisivo, tanto intenso da emanare un
fascino capace di oscurare anche il più appariscente degli attori: talmente
bravo da risultare bellissimo. Impreziosisce qualsiasi film si trovi ad
interpretare, per quanto la maggior parte dei titoli che lo vedano protagonista
siano di per sé di grande spessore. I cento
passi è un’opera magistrale per regia, contenuto, recitazione. Visto innumerevoli
volte, ogni volta dando sfogo ad un fiume di lacrime.
È
ancora molto presto quando decido di buttarmi sotto la doccia. Un’operazione
sempre complicata: strizzare piede e polpaccio in un fascio di cellophan, quindi
bagnarsi e insaponarsi nella posizione del fenicottero, per evitare che l’acqua
si insinui nella rudimentale protezione.
Sorseggio
il tè davanti al computer. Non mi va di mangiare, lo farò all’ora di pranzo,
quando tornerà Jader. Dedico un’oretta alla lettura, ma ormai ho deciso che
riporterò il libro in biblioteca senza terminarlo: può essere che non sia in
vena, ma ritengo che la vicenda narrata non meriti oltre mille pagine. Se non
sei Proust, o Joyce, o Cervantes, meglio ridimensioni la tua verve narrativa. Se
poi aggiungiamo che le apologie dell’amicizia mi provocano insofferenza, ritengo
sia inutile andare oltre. Ma con cosa sostituirlo? Qualcos’altro in prestito, o
uno dei tanti volumi ancora vergini della mia libreria? Sarebbe più logica
quest’ultima soluzione, ma ogni volta che mi metto davanti agli scaffali
aspetto un’illuminazione che non arriva mai. Domani ci riproverò.
Ho
bisogno di sgranchirmi, anche perché ieri sera ho consumato l’ultima iniezione,
quindi mi è d’obbligo far scorrere sangue nelle vene. Mi avventuro in un giro
intorno a casa, torno a sedermi poi ripeto il viaggio, diverse volte, durante
la diretta del Giro d’Italia. Tra una settimana spero di mettermi anch’io in
sella, chissà se riuscirò a superare i 100 km. Incredibile, penso ad andare in
bici anziché a correre… E’ che la corsa resta un miraggio, un chissà se: non voglio illudermi, non
voglio restarci troppo male. Perché “male” è ancora la parola protagonista di
questi giorni: ciò che avverto quando cammino, ciò che temo mi attanaglierà
ancora a lungo. È il mio passato, il mio presente e il mio incubo. Mi rifiuto
di pensare che sia il mio futuro.
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