giovedì 10 maggio 2018

Diario di un calcagno - Giorno 8


Il pescatore ha avuto la fantasia di alzarsi alle 4:45, contento lui. Mi giro dall’altra parte, un sonno leggero colorato da sogni confusi, forse animati da tracce del film visto ieri sera: un capolavoro che conosco a memoria, sempre posizionato nella mia top 5. Fu il mio primo “incontro” con Luigi Lo Cascio, amore a prima vista. È talmente espressivo, così incisivo, tanto intenso da emanare un fascino capace di oscurare anche il più appariscente degli attori: talmente bravo da risultare bellissimo. Impreziosisce qualsiasi film si trovi ad interpretare, per quanto la maggior parte dei titoli che lo vedano protagonista siano di per sé di grande spessore. I cento passi è un’opera magistrale per regia, contenuto, recitazione. Visto innumerevoli volte, ogni volta dando sfogo ad un fiume di lacrime. 


È ancora molto presto quando decido di buttarmi sotto la doccia. Un’operazione sempre complicata: strizzare piede e polpaccio in un fascio di cellophan, quindi bagnarsi e insaponarsi nella posizione del fenicottero, per evitare che l’acqua si insinui nella rudimentale protezione.

Sorseggio il tè davanti al computer. Non mi va di mangiare, lo farò all’ora di pranzo, quando tornerà Jader. Dedico un’oretta alla lettura, ma ormai ho deciso che riporterò il libro in biblioteca senza terminarlo: può essere che non sia in vena, ma ritengo che la vicenda narrata non meriti oltre mille pagine. Se non sei Proust, o Joyce, o Cervantes, meglio ridimensioni la tua verve narrativa. Se poi aggiungiamo che le apologie dell’amicizia mi provocano insofferenza, ritengo sia inutile andare oltre. Ma con cosa sostituirlo? Qualcos’altro in prestito, o uno dei tanti volumi ancora vergini della mia libreria? Sarebbe più logica quest’ultima soluzione, ma ogni volta che mi metto davanti agli scaffali aspetto un’illuminazione che non arriva mai. Domani ci riproverò.

Ho bisogno di sgranchirmi, anche perché ieri sera ho consumato l’ultima iniezione, quindi mi è d’obbligo far scorrere sangue nelle vene. Mi avventuro in un giro intorno a casa, torno a sedermi poi ripeto il viaggio, diverse volte, durante la diretta del Giro d’Italia. Tra una settimana spero di mettermi anch’io in sella, chissà se riuscirò a superare i 100 km. Incredibile, penso ad andare in bici anziché a correre… E’ che la corsa resta un miraggio, un chissà se: non voglio illudermi, non voglio restarci troppo male. Perché “male” è ancora la parola protagonista di questi giorni: ciò che avverto quando cammino, ciò che temo mi attanaglierà ancora a lungo. È il mio passato, il mio presente e il mio incubo. Mi rifiuto di pensare che sia il mio futuro.

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