L’aria è ancora pungente, mi devo coprire bene:
buffer attorno al collo, manicotti e guanti. Guardatemi pure male, ma sotto i
venti gradi per me è pieno inverno. Ciò nonostante, oggi ne ho proprio voglia. Dico
davvero. Ho voglia di uscire in bici. O forse ho voglia di uscire e basta. Muovermi
all’aria aperta. Non come piace a me, ma come mi è consentito. Mi farà bene:
farà bene alle mie gambe, al mio cuore e al mio spirito. Sono carica. Questo è
solo l’inizio: da qui prende via il cammino verso la ripresa totale. Staccare i
pedali e poggiare i piedi a terra, è un attimo. E quando verrà il momento, sarò
pronta. Mi scatto una foto. Raramente lo faccio, ma ora ho bisogno di
comunicare la mia determinazione: immortalo un sorriso e lo invio al mondo. È un’immagine
rara, da fissare nella memoria – è a me che lo dico: sono io quella che deve riflettere
nello specchio una figura vincente.
Fatico più di quanto immaginassi, il risultato
di venti giorni di stop. È una tappa a cronometro: devo rientrare entro le 10,
perciò non posso allontanarmi troppo. 57 km in 2h12’, un assaggio. Non paga, mi
butto a terra per l’immancabile seduta di esercizi. Così si avvicina
mezzogiorno, e comincio a chiedermi quanto manchi al ritorno di Jader. Quando annunciò
che era stato ingaggiato come fotografo per la Strabologna, dissi che sarei
andata con lui a correrla: non per la manifestazione in sé, che ho sempre
accuratamente evitato, ma perché poteva fungere da trampolino di lancio per il
rientro nel mondo podistico. In base ai pronostici, in maggio avrei dovuto possedere
ampiamente le mie facoltà motorie. Rimandata a quando?
Froome oggi mi delude. Peccato, ieri mi ero
illusa. Vacillano anche le mie certezze. Sto camminando poco o nulla, ma non
noto nessun miglioramento. Fa sempre male. Troppo. Provo a non pensarci, a non
buttarmi giù. Ma se mi viene chiesto, sono costretta a rispondere – e a fare i
conti con quella risposta.
Ho ancora i medicamenti e il taping. Il chirurgo,
martedì scorso, disse di iniziare a fare bagni caldi di lì a tre/quattro
giorni, ma mercoledì mi è stato applicato il cerotto elastico (che copre i
cerotti sottostanti), e non ho voluto danneggiarlo con l’acqua. A questo punto,
sono combattuta: pediluvio sì o no? Il dubbio non è dettato tanto dalla
preoccupazione per il taping, che ormai ha fatto il suo tempo: ciò che temo è
vedere cosa c’è lì sotto. Insomma, ho il terrore di scoprire un’orribile
ferita, di ritrovare lo stesso bubbone della precedente operazione – se non
peggio. Codarda. Se non è oggi, dovrò affrontare il mio piede domani. A che pro
rimandare? Faccio più danni a togliere tutto o a lasciare ancora un po’
coperto? Non so decidermi.
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