Oggi
il servizio Easy Coop mi indispettisce un po’: aspettavo la consegna tra le 8 e
le 15, ma alle 14:30 non ho ancora notizie. Il ragazzo si presenta un paio di
minuti dopo l’orario limite, con un vero e proprio camion, all’interno del
quale si è ribaltato tutto. Mi fa tenerezza, ed è talmente cortese e
preoccupato che mi guardo bene dal fargli notare che è in ritardo – sono anzi
io a temere ripercussioni sul seguito della sua giornata, qualora accumulasse
ulteriori rallentamenti. Mi chiede persino come stia, ricordandosi che una
settimana fa lo accolsi con le stampelle.
Già,
una settimana fa. Stavo appena accennando i primi passi, ora incedo lenta e
storta, ma cammino. Insomma, più o meno. È normale che sia ancora così
doloroso? Per quanto tempo lo sarà? Quanti giri attorno a casa mi posso
permettere? Quanto posso spingermi oltre? Quanto manca alla sentenza? Quel 15
maggio sembra non arrivare mai…
Arriva
invece la telefonata di un’amica, pronta a venire a farmi visita. Fu l’unica a
farlo in gennaio (e lo sarà di certo anche in questa occasione). Non me l’aspettavo,
mi lasciò senza parole. La mia innata diffidenza, lo scetticismo e l’introversione
che mi caratterizzano subirono una notevole scossa. Sopporto con sempre
maggiore insofferenza le appassionate manifestazioni di entusiasmo, gioia e
amore che invadono facebook: possibile che siano tutti così felici, che si
vogliano così bene, che siano legati da eterna amicizia nonostante si conoscano
appena? Cosa vogliono dimostrare? Soprattutto: a chi pretendono di darla a bere?
Che problemi ha chi deve a tutti i costi esibire ad oltranza il proprio
quadretto stile Mulino Bianco? Non sto ad addentrarmi in considerazioni
sociologiche già esposte e già sviscerate, mi limito a dissociarmi da questa
attitudine. A dire il vero, sono dissociata dal mondo intero pressoché da
sempre. Le amiche del cuore sono un ricordo dell’infanzia e dell’adolescenza,
gli eventi hanno separato le strade e io mi sono chiusa nella mia tana. Dalla quale
non sono più uscita. Le rare volte in cui mi sono lasciata tentare dai richiami
provenienti dall’esterno, ho dovuto tornare sui miei passi. Sono senz’altro io
la bestia strana, sta di fatto che la mia bolla prossemica ha dimensioni
planetarie, difficile possa sgonfiarsi. Lei
c’è riuscita: ha scalfito la mia corazza. Non so perché l’abbia fatto, in fondo
non ci sentiamo mai, ci si incontra casualmente alle gare, nulla di più. Eppure
ha percepito un mio bisogno: senza che ne facessi parola, ha capito che un
sorriso, una parola, qualche chiacchiera mi avrebbero distratta dalla tempesta
che mi agita. Così come ha fatto colei che, sin dal primo giorno, pur avendo scambiato
con me poco più di una battuta, mi ha sommersa di messaggi per aggiornarsi sulle
mie condizioni, sdrammatizzando le mie perenni angosce. Evidentemente, esistono
persone con un dono, ed è una fortuna incontrarle sulla propria strada. Naturalmente
non sarò mai in grado di esprimere adeguatamente la mia riconoscenza, orso ero
e orso rimango. Ma registro tutto, e tutto incamero: il bello e il brutto. Ogni
gesto lascia una traccia. Anche quelli
mancati. Perché se conservo in me l’emozione suscitata da una voce amica,
serbo anche l’eco del silenzio: talvolta molto più assordante. Capita che i
luoghi comuni rivelino un fondo di verità: è nel momento del bisogno che si
riconoscono gli amici.
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