venerdì 11 maggio 2018

Diario di un calcagno - Giorno 9


Oggi il servizio Easy Coop mi indispettisce un po’: aspettavo la consegna tra le 8 e le 15, ma alle 14:30 non ho ancora notizie. Il ragazzo si presenta un paio di minuti dopo l’orario limite, con un vero e proprio camion, all’interno del quale si è ribaltato tutto. Mi fa tenerezza, ed è talmente cortese e preoccupato che mi guardo bene dal fargli notare che è in ritardo – sono anzi io a temere ripercussioni sul seguito della sua giornata, qualora accumulasse ulteriori rallentamenti. Mi chiede persino come stia, ricordandosi che una settimana fa lo accolsi con le stampelle.

Già, una settimana fa. Stavo appena accennando i primi passi, ora incedo lenta e storta, ma cammino. Insomma, più o meno. È normale che sia ancora così doloroso? Per quanto tempo lo sarà? Quanti giri attorno a casa mi posso permettere? Quanto posso spingermi oltre? Quanto manca alla sentenza? Quel 15 maggio sembra non arrivare mai…

Arriva invece la telefonata di un’amica, pronta a venire a farmi visita. Fu l’unica a farlo in gennaio (e lo sarà di certo anche in questa occasione). Non me l’aspettavo, mi lasciò senza parole. La mia innata diffidenza, lo scetticismo e l’introversione che mi caratterizzano subirono una notevole scossa. Sopporto con sempre maggiore insofferenza le appassionate manifestazioni di entusiasmo, gioia e amore che invadono facebook: possibile che siano tutti così felici, che si vogliano così bene, che siano legati da eterna amicizia nonostante si conoscano appena? Cosa vogliono dimostrare? Soprattutto: a chi pretendono di darla a bere? Che problemi ha chi deve a tutti i costi esibire ad oltranza il proprio quadretto stile Mulino Bianco? Non sto ad addentrarmi in considerazioni sociologiche già esposte e già sviscerate, mi limito a dissociarmi da questa attitudine. A dire il vero, sono dissociata dal mondo intero pressoché da sempre. Le amiche del cuore sono un ricordo dell’infanzia e dell’adolescenza, gli eventi hanno separato le strade e io mi sono chiusa nella mia tana. Dalla quale non sono più uscita. Le rare volte in cui mi sono lasciata tentare dai richiami provenienti dall’esterno, ho dovuto tornare sui miei passi. Sono senz’altro io la bestia strana, sta di fatto che la mia bolla prossemica ha dimensioni planetarie, difficile possa sgonfiarsi.  Lei c’è riuscita: ha scalfito la mia corazza. Non so perché l’abbia fatto, in fondo non ci sentiamo mai, ci si incontra casualmente alle gare, nulla di più. Eppure ha percepito un mio bisogno: senza che ne facessi parola, ha capito che un sorriso, una parola, qualche chiacchiera mi avrebbero distratta dalla tempesta che mi agita. Così come ha fatto colei che, sin dal primo giorno, pur avendo scambiato con me poco più di una battuta, mi ha sommersa di messaggi per aggiornarsi sulle mie condizioni, sdrammatizzando le mie perenni angosce. Evidentemente, esistono persone con un dono, ed è una fortuna incontrarle sulla propria strada. Naturalmente non sarò mai in grado di esprimere adeguatamente la mia riconoscenza, orso ero e orso rimango. Ma registro tutto, e tutto incamero: il bello e il brutto. Ogni gesto lascia una traccia. Anche quelli  mancati. Perché se conservo in me l’emozione suscitata da una voce amica, serbo anche l’eco del silenzio: talvolta molto più assordante. Capita che i luoghi comuni rivelino un fondo di verità: è nel momento del bisogno che si riconoscono gli amici.



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