Un’ora
e mezza stesa a terra, a far lavorare addominali e glutei, per finire con
qualche serie di leg extension (la panca c’è, perché non sfruttarla?). Eppure, mi
sembra di non aver fatto nulla, non mi viene nemmeno fame. Jader si è buttato
sul triathlon (ovviamente con la Nikon), aspetto che torni per mangiare –
colazione o pranzo, non fa differenza.
La domenica mattina, dopo l’allenamento,
mi piace stare a tavola col giornale: sempre partendo dall’ultima pagina, gustandomi
a fondo l’inserto culturale poi scorrendo velocemente gli articoli iniziali.
Oggi
non mi va di stare tanto al computer. Preferisco svaccarmi sul divano e
perdermi nel Giro (Froome quest’anno mi fa penare, temo verrà licenziato). Sarà
stato quel po’ di attività fisica, ma oggi mi sento più leggera. Nella testa,
intendo. Che non equivale ad allegria o spensieratezza: è come uno stato di
sospensione, un’attesa degli eventi senza pensare troppo agli eventi stessi.
C’è
molto vento fuori. Raccolgo le lenzuola stese, prima che si attorciglino: letto
disfatto e rifatto nel giro di poche ore. Stasera salmone al forno. Già che ci
sono faccio anche una teglia di maccheroni per Jader: lui sì che oggi è indaffarato.
È una gioia vederlo così coinvolto. Finalmente. Sembra quasi che i ruoli si
stiano invertendo: prima ero l’unica ad essere totalmente rapita da una
passione, ora è lui ad essere animato da un fuoco vitale – mentre io, per forza
di cose, mi sto spegnendo. Eppure, sogno ancora di partecipare alle gare che lo
vedranno impegnato come fotografo. Quanto ancora sognerò?
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