martedì 8 maggio 2018

Diario di un calcagno - Giorno 6



Quanto ho corso stanotte! Partita timidamente, piena di paura, per poi avanzare sempre più agilmente: leggera, sorridente, libera. Libera dal dolore. Correvo sul ritmo della gioa, per il tramonto di un incubo, per l’insorgere di fantastici progetti.

All’improvviso mi sveglio. Cleopatra sta facendo le fusa sul cuscino, strano non mi abbia ancora strillato nelle orecchie. Stiamocene ancora un po’ qui a oziare, oggi l’unico impegno è con la giornata: dobbiamo far sì che trascorra il più pacatamente possibile. Al sogno meglio non pensare: in fondo, il mio mondo onirico è ricchissimo di immagini podistiche. Una situazione, in particolare, ricorre sovente – anche in condizioni psico-fisiche ottimali (o quasi). Sto gareggiando, in lotta per la vittoria, quando scompare qualsiasi indicazione del percorso; non so più dove andare o, peggio, sbaglio strada e non raggiungo mai il traguardo. Chissà cosa significa. Eppure qualcosa di simile si è realmente verificato. 2011, maratona di Ravenna. Il tratto cittadino è un vero labirinto, superato un giardino si affaccia un groviglio di strade: quale sarà quella giusta? Nessuno ad indicarlo, nessun segnale, nessuno da poter seguire. Angoscia allo stato puro. Sono seconda, qui mi gioco tutto. Seguo l’istinto e ci azzecco, ma non finirò mai di maledire quell’organizzazione.
Gare, gare e ancora gare. Trascorro pomeriggio a riempire il calendario di Podisti.net : camminate, ludico motorie, competitive. Bella questa, interessante quest’altra, e quella là, potrò correrla?

Al telefono un affezionato collega, dice di sentirmi bene. Sarà, a dire il vero sono sempre la stessa: quella che un minuto si vede bella in spinta a difendere una posizione, e il minuto dopo è costretta ad accontentarsi di due pedalate e di due pesi da sollevare. Ho deciso che se riprenderò, mi regalerò un altro tatuaggio. Devo decidermi a sostituire il “se” con il “quando”.













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