Notte
tranquilla. L’antidolorifico, assunto più per tranquillità che per effettiva
necessità, ha sicuramente apportato il suo contributo. Quindi, dopo una serata
rilassante davanti alla tv (adoro “La mafia uccide solo d’estate”), sono
beatamente crollata. In sogno ho visto la nuova cucciolata delle randagine: una
reale premonizione, poiché l’evento è quanto mai prossimo. A scrollarmi ci ha
pensato ovviamente Cleopatra, che però ha dovuto aspettare che suonasse la
sveglia per ottenere ciò che voleva. Sveglia che è suonata presto anche
stamattina, mi aspettano appuntamenti importanti. La burocrazia, innanzitutto:
devo trasmettere all’ufficio i certificati attestanti le mie disgrazie. A mezzo
fax. Credo che quella in cui lavoro sia l’unica azienda al mondo a richiedere
simili procedure: no telefono, no e-mail, ammessi solo fax o raccomandate. Se l’intento
è disincentivare l’assenteismo, non è di alcuna efficacia: gli “ammalati”
cronici imparano il giochino e se la spassano tranquillamente. Se stai male
davvero e hai oggettive difficoltà a capire ed eseguire quanto richiesto,
peggio per te.
Dopo il
dovere, il “piacere”: la visita ambulatoriale, per liberare la ferita dai
tubini di drenaggio. Il chirurgo mi assicura che stavolta non ci saranno
conseguenze spiacevoli. Ci devo credere? Sì, ci devo credere. Io ci voglio
credere, davvero. Ci sto provando con tutta me stessa: a convincermi che quest’estate
tornerò a correre, a vedermi già col pettorale spillato, ad immaginarmi
allenamenti sfiancanti. Come mi mancano le tabelle, il calendario scandito dai
lavori programmati, il tracciato sul Garmin che non mi soddisfa mai appieno. La
fatica, mi manca “quella” fatica.
Guarda che lo puoi appoggiare il
piede. Cioè, a suo
dire, potrei già abbandonare le stampelle. No no, adesso no. Mi hanno
squarciato un piede da appena un giorno, fa ancora male: non malissimo, ma
male. Lo appoggio, sì, ma senza carico. Fino a quando non so, ho una fifa nera.
Paura di avvertire sempre dolore, paura che nulla cambi, paura che sia stato
tutto inutile. Ecco, gli incubi non mi danno tregua. Ci vorrebbe un allarme,
una voce che urlasse BASTA ogni qualvolta avvertisse l’avvicinarsi delle nubi. Un
lavaggio del cervello.
Torno a
casa e mi butto sotto la doccia (ovviamente con il piede incellophanato), non
mi ero ancora levata di dosso i residui dell’ospedale. Potessi lavare via anche
tutte le negatività…
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