Se
nemmeno un illustre fisioterapista si capacita della persistenza di sintomi
negativi, c’è poco da stare allegri. È indubbio che i miei tempi di recupero siano
amplificati a dismisura rispetto a quelli di un individuo “normale”, ma da lì a
non capirci nulla…
Non
dovrei meravigliarmi, i miei infortuni si sono sempre rivelati casi patologici,
misteriosi e insoluti. Solo la forza della disperazione mi ha condotta verso la
scelta di farmi operare: non lo rifarei, e maledico il giorno in cui ho preso
questa decisione. Recedere è impossibile, non mi resta che sforzarmi all’inverosimile
per uscire da questo stallo. Sono spazientita dal dover fornire sempre le
stesse risposte alle medesime domande. Come
va? Male. Stai meglio? No. Suvvia, un po’ di ottimismo. E sticazzi!
Ho
dormito malissimo. Appena coricata, le ferite bruciavano. Avrò sbagliato a
liberarle, a fare il pediluvio, a mettere la pomatina? Ho caldo, sarà mica la
febbre? In che condizioni sarà domattina? Ho
sempre un timore folle a guardare questo maledetto tallone. Il giudizio
fisioterapico è positivo, ma perché non guarisco? Temo il giorno in cui anche
lui si arrenderà, ritenendo inutile perseverare in uno strenuo accanimento
terapeutico. Abbandonata al mio destino, misera e zoppa. Che rosea prospettiva.
Piazzo
la cyclette di fronte alla TV. La cronometro non mi entusiasma, e Froome si
mantiene sempre lontano dai suoi standard. Forse è meglio così, tra atleti in
difficoltà ci si intende.
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