Metto il naso fuori di casa per la seconda volta, da quando sono stata dimessa. Può essere che sia scarsa di tecnica, ma avanzare con una gamba e due stampelle mi procura una notevole fatica. Temo inoltre di essere eccessivamente tesa, manco di sicurezza: in sostanza, ho paura di cadere. Ostento tuttavia un’improbabile spigliatezza: va tutto bene, non ho bisogno di nessuno. Ovviamente è una mezza verità, alla quale mi aggrappo per abituarmi ai prossimi giorni, quando davvero dovrò arrangiarmi. Sarebbe utile smettere di misurare quanto tempo sia trascorso, essendo ancora troppo lontana la meta – e tremendamente infestato di dubbi il tragitto.
La monotonia
delle giornate non può che alimentare il malumore. È vero che si fa sera sempre prima, ma le
lancette dell’orologio sembrano muoversi a rallentatore. Un po’ come me, del
resto. Col mio passo da bradipo (zoppo), sono comunque riuscita a superare brillantemente
un’ulteriore prova: ho salito le scale in completa autonomia. Mano destra sul
corrimano, sinistra sulla stampella: forza sulle braccia e salto con un piede;
sosta ogni due/tre gradini per spostare in alto la seconda stampella. Si può
fare! A questo punto provo ad esagerare. Infilo la seggiola di plastica nel box
doccia e mi ci siedo. Col gambone steso all’esterno, mi bagno, insapono e
risciacquo con immenso piacere. La parte più complicata è rialzarsi e infilarsi
l’accappatoio ma, seppur con qualche brivido, nulla è impossibile. Asciugata,
rivestita e tornata di sotto: tutto da sola. Dai, dimmi almeno che sono stata
brava.
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