In teoria l’orario dovrebbe essermi favorevole, essendo lo stesso in cui solitamente mi alleno. Ma una gara è tutt’altra storia: comporta pensieri, apprensioni, rituali che non possono protrarsi troppo a lungo. Non per me - specie in questo periodo, già sufficientemente carico di tensioni. Le perplessità iniziano già dalla sera prima: cosa faccio domattina? Punto la sveglia per una piccola sgambata o dormo finché ne ho? Poi, cosa mangio? E quando? Se solo potessi dire due paroline a chi ha fissato alle 16,45 l’orario di partenza… Di buono ci sarà che forse mi abbronzerò un po’ – vale a dire, fisserò ulteriormente il segno dei calzini, già bello definito. Del resto, senza giardino e senza spiaggia, il look zebrato è inevitabile. Poco importa, ormai ci sono abituata. Non ho invece ancora fatto l’abitudine a questa insolita temperatura: talmente insolita che quasi stento a crederci. Trenta gradi ai primi di aprile, possibile? Possibile che sia già sudata ancora prima di iniziare il riscaldamento? E pensare che fino a qualche giorno fa mi preoccupavo perché avevo perso uno dei guanti che utilizzo in gara. È ovvio, sarà un fenomeno transitorio, succederà anzi che ci ritroveremo a battere i denti quando il calendario segnerà l’inizio dell’estate. Sarà…ma oggi come la mettiamo? Insomma, orario assurdo, temperatura assurda, aggiungiamoci pure il vento – che, purtroppo, assurdo non è: incrociamo le dita e spremiamo ciò che abbiamo. Cioè, ben poco.
Tre chilometri scorrono veloci, poi sarei già a posto. Nel senso che sono già impiccata e mi chiedo come possa percorrerne altri sette. Devo trovare qualche ragione valida per non ritirarmi, almeno una. Potrei fissarmi su chi mi precede, ponendomi l’obiettivo di guadagnare terreno: sfida dura, ma non impossibile. L’errore sarebbe, anzi, considerarmi già vinta. L’imperativo, oggi, è resistere. Resistere perché, comunque vada, questo è un ottimo allenamento che mi sarà utile prossimamente; resistere perché un ritiro mi renderebbe insopportabile (agli altri e a me stessa); resistere perché c’è in gioco anche il trofeo provinciale, perciò è necessario arrivare. Possibilmente vivi. Mai vista una simile strage su così breve distanza. Crollano a manciate, come birilli. Io mi sto trascinando, meglio non sapere a quale andatura, ma c’è chi sta molto peggio. Nell’ultimo chilometro riesco persino a riagguantare un’avversaria che mi aveva superata all’inizio del mio tracollo, peccato però che non riesca a mantenere il vantaggio - se non altro, nessun’altra riesce ad approfittare della mia crisi.
Chi ha finito in ambulanza, chi ha finito camminando, chi non ha finito proprio. Una vera gara di sopravvivenza, grazie anche al prezioso contributo dell’organizzazione: un solo ristoro, al sesto chilometro, quasi nascosto nei campi. Oggi essere in classifica equivale ad avere vinto, a prescindere dalla posizione.
3 commenti:
come ti capisco....
madonnina che bel fresco che c'era in valle ...
urca, vedo solo ora, nella foto ero ancora vivo ;-)
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