Cosa ci faccio io tra queste due atlete fortissime? Sto forse azzardando troppo? Eppure non mi sembra di spingere più del dovuto, anzi: siamo in leggera discesa, le gambe vanno agili e mi limito ad assecondarle senza forzare. Chissà, magari loro sono dirette verso il traguardo più lontano, in questa fase stanno quindi semplicemente passeggiando.
Beh, quale che sia il loro obiettivo, all’attacco della salita le vedo allontanarsi – e io comincio ad arrancare. Ora si tratta, per me, di impostare il giusto passo che mi consenta di sopravvivere per i restanti chilometri – cioè per la maggior parte della gara. Non posso permettermi di farmi prendere dall’affanno, non ora: il percorso non concede nulla, è necessario dosare le energie. Già, quali energie? La settimana alle Eolie mi è restata a lungo nelle gambe: i tracciati nervosi, le pendenze importanti, i ritmi sostenuti hanno irrigidito i miei poveri muscoli e, per quanto mi sia adoperata per smaltire tutto, non posso dire di essere tornata in piena efficienza. Anche perché, negli ultimi giorni, mi sono limitata a corsette spensierate, senza assilli di tempi o prestazioni, e ho provato sensazioni decisamente insolite. I primi passi di corsa erano, come preventivato, completamente scoordinati, quasi da principiante del podismo. In breve, però, trovavo una fluidità ed una leggerezza inaspettate, come quando si corre col vento alle spalle. Cercavo di non farmi prendere dalla foga, onde evitare crolli improvvisi; mi imponevo di procedere cautamente almeno fino a due terzi del percorso, per poi magari tentare una progressione o degli allunghi. Ed, effettivamente, ai cambi di ritmo la stanchezza pregressa si faceva sentire: riaffioravano irrigidimenti e fiatone, non ero quindi in grado di tirare più di tanto. Le difficoltà, però, regredivano giorno dopo giorno e, non fossi stata infastidita da un accenno di vescica (vendetta delle vecchie scarpe, consapevoli di essere prossime alla rottamazione), giovedì scorso sarei riuscita a svolgere un bel fartlek
Insomma, sono arrivata a questa gara senza entusiasmi né aspettative. Ovvio che, strada facendo, si cerchi di difendere la posizione. Ora, davanti a me c’è un’atleta che non dovrebbe essere lì. Accidenti, però, come corre bene! Pare non faccia alcuna fatica, procede in salita con una scioltezza invidiabile. Io cerco di stare attenta a correggere il difetto che, dicono, limita il mio incedere: pare infatti che affronti i pendii con passo saltellante, quasi correndo sul posto. Evidente che resti indietro! Non vedendomi, fatico a rendermi conto di tale limite. Mi sforzo comunque di mantenermi proiettata in avanti, sfiorando l’asfalto, nella speranza di migliorare un po’. Se non altro, non sto perdendo terreno. Anzi, ho l’impressione di essere in leggero recupero, la distanza si sta infatti accorciando. Appena scorgo un tratto di falsopiano, attacco. Supero l’avversaria prima che la strada spiani, poi tento di approfittare della pendenza a me favorevole. Lei, però, non cede: ha quello scatto di orgoglio che a me ancora manca. So che in discesa è più debole, ciò nonostante mi resta attaccata. E, proprio qui, la mia gamba “gigia” mi tradisce. Sì, perché capita spesso che, a ritmi sostenuti, il muscolo che anni fa si strappò cada in una sorta di torpore che investe l’intero arto: questo non risponde degnamente ai comandi, perde forza e tenuta. Così non riesco a spingere come dovrei. Perdo anche concentrazione, compromettendo decisamente la sfida che poteva essere decisiva. La discesa, del resto, è di breve respiro, insufficiente per il necessario slancio. E la salita si fa sempre più ripida. Gli ultimi chilometri: i più duri. Smarriti smalto e determinazione, non cerco neppure conforto dai miei riferimenti mentali, segno che anche la motivazione è scemata. È questo che continua a non funzionare: smettere di crederci, non lottare fino alla fine. Come se non sapessi che, dopo, sarò oltremodo delusa e insoddisfatta; come se non ne avessi abbastanza di schiaffeggiarmi per quello che avrei dovuto tentare e non ho fatto; come se tutte le gare disputate fino ad oggi non mi avessero insegnato nulla. Niente da fare. Ci deve sempre essere qualcosa per cui martoriarsi. A circa un chilometro dall’arrivo c’è chi prova a darmi una mano: vedendomi in difficoltà, un podista decide di stare al mio fianco incitandomi. All’ultimo tornante mi invita a tagliare la curva prendendo il marciapiede, non considerando che così facendo si transita nel tratto più ripido. Quasi stramazzo. Solo il miraggio del traguardo mi tiene in piedi. Vorrei guardarmi alle spalle, capire se rischio un sorpasso sul filo di lana o se, almeno su questo, posso stare tranquilla. Non lo faccio. Ecco la piazza. E’ finita.
Sono quarta. Desideravo un piazzamento migliore? Sinceramente no. Non sapevo chi potesse essere in gara, oggi, e nemmeno mi sono preoccupata del livello delle avversarie sulla linea di partenza. Speravo però in un crono migliore, questo si. Soprattutto, confidavo in un risultato senza sorprese. Ancora una volta, devo fare i conti con quei limiti mentali che mi impediscono di terminare una gara con la consapevolezza di avere dato tutto. Volgo in positivo questa constatazione: ho ancora dei margini di miglioramento.
1 commento:
Ciao Vale. Torno a ripetermi, ragiona meno, programma meno, pensa meno, la corsa è puro istinto lascia che, almeno in parte, sia quello a guidarti. Com'era quel detto... non importa se sei leone e gazzella... ma alzati e corri... ;-)
Come sempre complimenti.
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