martedì 7 settembre 2010

Giro podistico delle Isole Eolie - Seconda tappa

LIPARI - Acquacalda - Canneto (km 6,5)

Saranno state le eccessive aspettative, la delusione, la tensione; sarà che sto dormendo poco e male; sarà, forse, che qualcosa nel meccanismo si è (da tempo) inceppato. Fatto sta che peggio di così non poteva andare. E non è tanto per l’ulteriore retrocessione in classifica. O almeno, non è questa l’unica ragione. È che le sensazioni sono state pessime sin dall’inizio.
Durante il riscaldamento mi sembrava che le gambe girassero bene, tutto sommato mi sentivo abbastanza tranquilla. Temperatura alta, aria pesante, un po’ di vento: condizioni non ottimali, ma contavo sulle mie possibilità. Certo, una tappa corta e, presumibilmente, veloce come quella che ci attendeva non si intonava tanto alle mie corde, ma in fondo si trattava di attaccare con la massima grinta i primi chilometri di salita, per poi buttarsi in picchiata nella seconda parte, giù fino al mare.
Partenza subito su di giri. Sono fianco a fianco delle mie immediate avversarie, nel primo tornante quasi ci scontriamo. Due di loro si defilano, restiamo in due. Per poco. Sono già in affanno. Provo a far mente locale, ragionando sul fatto che in fondo il tratto duro non è eccessivamente lungo. Ma mi manca il fiato. Ansimo e perdo terreno. Cosa mi sta succedendo? La parte più impegnativa è andata, ma c’è ancora un po’ di falsopiano prima della discesa, ed è proprio qui che sono raggiunta e superata da due ragazze: questo proprio non l’avevo messo in conto. I miei calcoli si basavano solo su chi avevo davanti, le retrovie non erano state prese in considerazione. Eccole lì, invece, a farsi beffa di me. Bum, ferma. Col fantasma del ritiro ad offuscare la mia mente. Risvegliata da un impeto di orgoglio, punto chi mi precede, confidando nello slancio fornito dalla discesa. Ma quest’ultima non mi viene in aiuto, sono talmente esaurita che neppure adesso riesco a ritrovare spinta. Gambe di piombo, piedi incollati a terra, respiro da moribonda. La ragazza in verde sparisce, in compenso avvisto la prima che mi aveva superata. Pare in difficoltà, se solo riuscissi a sciogliermi… Niente da fare, siamo ormai in dirittura di arrivo, striscio boccheggiando sotto il traguardo.
Infranti tutti i sogni di classifica, mi interrogo sulle cause di questo disastro. Ho sofferto troppo, non sono riuscita a correre decentemente neppure un chilometro, mi sono addirittura fermata: nella tappa considerata più veloce ho dato il peggio di me. Come mi riprendo da questo smacco? Il mio coach è irraggiungibile, è in me che devo trovare le risorse per affrontare il resto della gara. Fortunatamente, il contesto mi è di sostegno: innanzitutto, Jader ha capito come prendermi e sa trovare parole e toni giusti per incoraggiarmi; poi c’è Fausto che riesce a distrarmi e a risollevarmi il morale; inoltre, c’è l’isola. I luoghi hanno un’anima, esprimono sensi e significati: più forti sono le pulsioni che una terra trasmette, più è difficile restarne indifferenti. Vulcano è forza per definizione. Energia pura: palpabile, incombente, quasi minacciosa. È questo che ti strega e ti cattura. Il cratere che respira, l’odore che trafigge, i colori che mutano nei toni e nelle sfumature. Non è un posto come un altro. Così come questa non è una semplice vacanza. Del resto, la vacanza “pura” non è nella mia indole: non cerco il riposo, ma l’emozione. Qualcosa da scoprire, da conoscere, da conquistare.
Ora, nello specifico, tutto è concentrato sulla gara. Ma, trattandosi di una gara particolare in un luogo altrettanto particolare, mi lascio rapire dal complesso di elementi e guardo avanti.
















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