martedì 5 febbraio 2019

Cross di Rubiera: a volte ritornano


Devo ancora metabolizzare la mia prestazione alla Cinque Mulini, quando mi si prospetta l’opportunità di partecipare ad un altro cross. Non ci starai mica prendendo gusto? Sono io la prima a non capacitarmi.  Dove si sono nascoste tutte le mie paranoie? Dov’è finita la Valentina irresoluta, recalcitrante, quasi sprezzante? Quella che, undici anni fa, riflettendo sul cross di Rubiera, si esprimeva senza mezzi termini (qui)? Polverizzata, insieme ai frammenti di un calcagno martoriato. Sempre lui il responsabile: è lui che, ormai da due anni, determina i miei movimenti – nel senso più ampio del termine. Li consente e li vieta, a fasi alterne, senza logica. Un interruttore: mi accende e mi spegne, buio e luce, luce e buio. Da stordire. Brancolando tra ombre e abbagli, mi butto dove capita. Pur di correre. Quello che non uccide fortifica, si dice così? Sia crisi di astinenza oppure rifiuto di marcire nella fossa: si tratti di irresponsabilità o di istinto di sopravvivenza, il risultato non cambia. Jader intende fotografare una gara? Allora gareggio anch’io. Nei limiti del possibile, ovvio. Sempre col dubbio, va da sé. Intanto mi iscrivo, poi vedremo. Vivere nella nebbia è deprimente: mi manca l’orizzonte. Mi butto nella mischia per godere di una botta di adrenalina, per sentirmi viva e combattente, ma la lotta è sempre impari. L’illusione di un attimo.

foto: https://www.facebook.com/Jadersimages/
Però, come puoi pensare di rinunciare a tutto questo? Quando persino le condizioni più avverse non ti piegano, quando non ti curi di pioggia, fango e neve, quando salti i fossi come non avessi mai fatto altro nella vita (beh, quasi): questo è il tuo mondo, non ne esiste uno diverso. Arrivi al campo e inizia il diluvio. Non credo di farcela, sospiri. Non sei obbligata, ti rincuorano. Naturale, perché dovresti esserlo? Eppure è così che ti senti: obbligata verso te stessa. Rinunciare sarebbe semplice, quasi scontato: in una giornata così, nessuno ti biasimerebbe. Torneresti a casa asciutta e indenne. Peccato che ti ritroveresti rammaricata e abbattuta. Se proprio devi abbatterti, fa che avvenga al termine della battaglia. Armati di chiodi e buttati. Coprirsi troppo non serve, i tessuti si inzuppano, mentre la pelle può resistere. Questione di minuti. Il percorso, già solcato dalle categorie precedenti, è ridotto in poltiglia. L’alternativa è correre sulla neve, più compatta. Dovendo scegliere il male minore, preferisci affidarti all’istinto – cioè, preoccuparti esclusivamente di procedere senza volare a terra. Temi di non farcela, non tanto per le difficoltà strutturali, quanto per la tua forma fisica: del tutto inesistente. Gambe piantate e respiro affannato, annaspi nella melma temendo di affogare. Perché tanta fatica? Perché come un’oca sei partita in tromba,  perché da una vita non riesci ad allenarti, perché queste gare non ti saranno mai congeniali. Dai, ancora tre giri, cerca di sopravvivere. Che dopo un po’ il ritmo si fa amico e smetti di sentirti ridicola. Stai correndo, eccome se stai correndo. Non sarai un esempio di stile, ma hai conosciuto momenti peggiori. Ebbene si: la tua figura più misera l’hai realizzata quando eri giovane e forte. Adesso, vecchia e malandata, ci credi più di allora. Ti impegni a spingere, a non badare al piede che scivola, a gestire gli appoggi incerti. Ultimo giro. Il cuore in gola, vorresti abbandonarti al pensiero che ormai è fatta e brancolare fino al traguardo. Invece no, tenere fino all’ultimo, così bisogna fare. Spremiti fino all’osso, guadagnati l’orgoglio che ti devi. 

Credo di essere arrivata ultima. Credo che da domani tornerò nel mio guscio uggioso. Ma oggi mi sono proprio divertita. Fatemi giocare ancora!

1 commento:

margantoniopocopocopianopiano ha detto...

Ci piace quando ti leggiamo tigre

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