Devo ancora
metabolizzare la mia prestazione alla Cinque Mulini, quando mi si prospetta
l’opportunità di partecipare ad un altro cross. Non ci starai mica prendendo
gusto? Sono io la prima a non capacitarmi.
Dove si sono nascoste tutte le mie paranoie? Dov’è finita la Valentina irresoluta,
recalcitrante, quasi sprezzante? Quella che, undici anni fa, riflettendo sul cross
di Rubiera, si esprimeva senza mezzi termini (qui)? Polverizzata, insieme ai
frammenti di un calcagno martoriato. Sempre lui il responsabile: è lui che,
ormai da due anni, determina i miei movimenti – nel senso più ampio del
termine. Li consente e li vieta, a fasi alterne, senza logica. Un interruttore:
mi accende e mi spegne, buio e luce, luce e buio. Da stordire. Brancolando tra
ombre e abbagli, mi butto dove capita. Pur di correre. Quello che non uccide
fortifica, si dice così? Sia crisi di astinenza oppure rifiuto di marcire nella
fossa: si tratti di irresponsabilità o di istinto di sopravvivenza, il
risultato non cambia. Jader intende fotografare una gara? Allora gareggio anch’io.
Nei limiti del possibile, ovvio. Sempre col dubbio, va da sé. Intanto mi
iscrivo, poi vedremo. Vivere nella nebbia è deprimente: mi manca l’orizzonte. Mi
butto nella mischia per godere di una botta di adrenalina, per sentirmi viva e
combattente, ma la lotta è sempre impari. L’illusione di un attimo.
foto: https://www.facebook.com/Jadersimages/ |
Però, come
puoi pensare di rinunciare a tutto questo? Quando persino le condizioni più
avverse non ti piegano, quando non ti curi di pioggia, fango e neve, quando
salti i fossi come non avessi mai fatto altro nella vita (beh, quasi): questo è
il tuo mondo, non ne esiste uno diverso. Arrivi al campo e inizia il diluvio. Non credo di farcela, sospiri. Non sei obbligata, ti rincuorano. Naturale,
perché dovresti esserlo? Eppure è così che ti senti: obbligata verso te stessa.
Rinunciare sarebbe semplice, quasi scontato: in una giornata così, nessuno ti
biasimerebbe. Torneresti a casa asciutta e indenne. Peccato che ti ritroveresti
rammaricata e abbattuta. Se proprio devi abbatterti, fa che avvenga al termine
della battaglia. Armati di chiodi e buttati. Coprirsi troppo non serve, i
tessuti si inzuppano, mentre la pelle può resistere. Questione di minuti. Il percorso,
già solcato dalle categorie precedenti, è ridotto in poltiglia. L’alternativa è
correre sulla neve, più compatta. Dovendo scegliere il male minore, preferisci
affidarti all’istinto – cioè, preoccuparti esclusivamente di procedere senza
volare a terra. Temi di non farcela, non tanto per le difficoltà strutturali,
quanto per la tua forma fisica: del tutto inesistente. Gambe piantate e respiro
affannato, annaspi nella melma temendo di affogare. Perché tanta fatica? Perché
come un’oca sei partita in tromba, perché
da una vita non riesci ad allenarti, perché queste gare non ti saranno mai congeniali.
Dai, ancora tre giri, cerca di sopravvivere. Che dopo un po’ il ritmo si fa
amico e smetti di sentirti ridicola. Stai correndo, eccome se stai correndo. Non
sarai un esempio di stile, ma hai conosciuto momenti peggiori. Ebbene si: la
tua figura più misera l’hai realizzata quando eri giovane e forte. Adesso,
vecchia e malandata, ci credi più di allora. Ti impegni a spingere, a non badare
al piede che scivola, a gestire gli appoggi incerti. Ultimo giro. Il cuore in
gola, vorresti abbandonarti al pensiero che ormai è fatta e brancolare fino al
traguardo. Invece no, tenere fino all’ultimo, così bisogna fare. Spremiti fino
all’osso, guadagnati l’orgoglio che ti devi.
Credo di
essere arrivata ultima. Credo che da domani tornerò nel mio guscio uggioso. Ma oggi
mi sono proprio divertita. Fatemi giocare ancora!
1 commento:
Ci piace quando ti leggiamo tigre
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