Cleopatra è già
saltata su e giù dal letto diverse volte quando suona la sveglia. Le prova
tutte per farmi alzare, così da poter conquistare un cantuccio caldo in cui
accoccolarsi. E io le ho provate tutte per farle perdere questa pessima
abitudine. Invano. Due anime irrequiete, già dalle prime ore della mattina. Con
la differenza che lei scalpita per tornare al più presto a ronfare, io invece
mi dimeno alla ricerca del sistema meno traumatico per rimettermi in piedi. Mi
stiracchio, sgranchisco le gambe, e ascolto. Cosa dirà stamattina? Sarà sempre
un grido insopportabile? Tutti i giorni lo stesso assillo. Da quanto tempo?
Troppo. Ormai dovrei essermene fatta una ragione, ma assuefarsi al dolore non è
così facile: non quando ti accompagna ad ogni passo, e rende allucinante
persino lo spostamento dalla sedia al divano. Provo a fare finta di niente, a
condurre una vita “normale”: cosa vuoi che sia, con tutte le disgrazie che
infestano questo mondo? Peccato che fingere mi riesca malissimo – e questo
mondo, fondamentalmente, mi faccia abbastanza schifo. E pensare che mi ero
illusa. Avevo creduto di avere ancore delle speranze. Non di tornare quella che
ero, ovvio. Ma riprendere la buona strada sì, questo lo avevo ritenuto
possibile. Perché il quadro che si era definito dalla disanima del mio caso era
ineccepibile, e le prospettive si delineavano severe ma convincenti. Stabilito
il metodo, si trattava di sperimentarlo: sondandone gli effetti e aggiustando
il tiro se necessario, procedendo con tanta cautela ma con altrettanta
convinzione. Percorso complesso. Perché il ricordo del dolore è esso stesso
dolore, e pare impossibile liberarsene: quanto sia il reale e quanto il
percepito è difficile da comprendere. Nella consapevolezza che non mi abbandonerà
mai, devo riuscire a tenerlo sotto controllo: gestirlo e dominarlo. Un gioco di
incastri, un puzzle sempre alla ricerca della tessera adeguata, un mosaico scheggiato
nei dettagli ma armonico nell’insieme. Questione di prospettive. E di
equilibrio: avanzare su di un filo sottile con lo sguardo fisso all’orizzonte,
a dispetto della paura di cadere.
Ma la corda si
è spezzata. Quando il piano sembrava procedere alla perfezione. Succede sempre
così, no? Sul più bello crolla tutto. Possibile che in un attimo si frantumi quanto
era stato costruito con tanta dedizione? Non potrebbe essere solo un disagio
passeggero? Qualche giorno di riposo poi si riparte. Facciamo una settimana.
Anzi due. Che diventano tre, quattro, e… Segni di miglioramento? Zero. Anzi, va
sempre peggio, peggio che mai. Diagnosi e prognosi, cause ed effetti, tesi e
antitesi: un film già visto. Il ritorno di un incubo. Dove ho sbagliato? Cosa
dovrei riconsiderare – o ritentare? Proprio nel più nefasto dei periodi, con la
pandemia che dilaga e i soldi che ormai non bastano neppure per mangiare, mi
ritrovo inerme e sfiduciata. Completamente spenta, Mi ostino a sfiancarmi con
attività alternative, pur chiedendomi a che scopo, tanto non correrò più. Temo
il giorno in cui la stanchezza, ora solo mentale, si abbatterà anche sul mio
fisico, così da ridurmi ad un’ameba. Il tanto vituperato 2020 sta per finire.
Al 2021 non voglio neppure pensare.
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