Incredibile a dirsi: sono nell’albo d’oro di questa manifestazione. Ebbene sì, c’è stato un tempo in cui si lottava per il podio (vedi qui).
Fare i conti col passato è tanto deprimente quanto inevitabile. Basterebbe non
piangersi addosso e ricordare con orgoglio la golden age: in fondo, non tutti possono godere di certe memorie.
Basterebbe anche sforzarsi affinché le soddisfazioni non vengano a mancare: non
dare nulla per scontato, ma nemmeno per impossibile. Il materiale non manca:
determinazione, passione, fiducia. I primi due elementi caratterizzano la mia
persona, il terzo è alimentato dalle persone che ho accanto. Perché a volte non
si basta a se stessi: un sorriso, una pacca sulla spalla, un urlo possono
ribaltare uno stato d’animo. Le parole, poi, si sa quanto siano importanti. Non
le mie, che troppo spesso mi dicono di lasciare perdere, di fermarmi una volta
per tutte. No. Con quella voce contino e continuerò a combattere. Perché se
nessuno sa spiegarmi cosa diavolo determini un dolore inossidabile, allora mi
convinco che non ci sia nulla che possa impormi di smettere. Insisto, e insisto
a volermi impegnare e a pretendere da me stessa. Col mio calcagno è guerra
aperta, lui mi attacca col male, io contrattacco con la fatica. L’ho già detto,
correre non mi basta: devo allenarmi. Ho bisogno di uno schema, di una tabella,
di un obiettivo: di un percorso da seguire con qualcuno che mi prenda per mano
(o che mi prenda a calci, che potrebbe essere la stessa cosa).
Sono un soggetto difficile da gestire, lo riconosco. Forse è per questo che non
sono in grado di gestire me stessa. Testarda, insicura, perennemente insoddisfatta.
Ma altrettanto diligente, attenta e scrupolosa: dammi un compito, lo eseguirò
alla lettera. Minuti, chilometri, salite: scrivimi come e quanto e mi farai
felice. Felice di allacciarmi le scarpe e uscire con le idee chiare, convinta
che la forza avrà la meglio sulla sofferenza. Un passo alla volta, stringendo i
denti, sfidando i limiti della tolleranza. Ci vuole un po’ per raggiungere una
specie di equilibrio ma, superata quella barriera, la strada diventa più
agibile e ci si può persino divertire.
Così, col mio programmino di ripresa, decido di iscrivermi
alla Vallazza. La distanza mi spaventa, lo ammetto. È da settembre che non
corro tanti chilometri, nelle ultime settimane mi sono avventurata al massimo
per una quarantina di minuti. Ma sento che ce la posso fare. Deve essere un
buon allenamento, nulla di più – ma neanche nulla di meno. L’importante è non
dare importanza a chi sarà davanti, l’ansia da prestazione riguarda me stessa,
non la gara. La sfida è tra me e i miei malanni: tra il mio tormento e la mia
fame di riscatto. Da brava asociale, mi aggiro sul luogo di ritrovo come un
fantasma, sperando di non essere notata. Arrivo alla partenza pochi minuti
prima del via, giusto il tempo di sgranchirmi; un vero e proprio riscaldamento
non posso permetterlo, essendo estremamente limitata la mia autonomia di
viaggio. Lo sparo mi coglie impreparata,
quasi non mi accorgo che bisogna iniziare a correre. Naturalmente, il primo
chilometro mi serve a liberarmi dalla ressa. Dal secondo inizio ad impegnarmi
come posso, pensando che ne dovrò correre tre ad un ritmo quantomeno sostenuto,
quindi prendere fiato per cinquecento metri, poi altri tre chilometri impegnati
– e via così fino alla fine. La prima frazione è più veloce di quanto mi
aspettassi, la pagherò nei passaggi successivi, i più dei quali fangosi. Tanto,
tantissimo sterrato, in alcuni tratti davvero scivoloso. Lamentarmi? Nemmeno per
sogno. Il calcagno bastardo sì, quello lo maledico. Ma il percorso non mi
impensierisce affatto, anzi: mi esibisco persino in incerti zigzag per superare
podisti su podisti. Diventa un gioco di elastici: avanzo di posizioni nei
chilometri “tirati”, torno in coda nella fase di recupero. È quasi divertente,
sicuramente gratificante, perché ogni volta che riparto riprendo tutti quelli
che mi davano per spacciata. Sul finale voglio impegnarmi al massimo. Alzale quelle
ginocchia, e quelle braccia! Spingi con quei piedi! Fregatene del male, zitta e
corri! Vai Vale… Eccolo, lo sentivo
nei miei pensieri e si è materializzato a pochi metri dall’arrivo. Al
fotografo, in prossimità del traguardo, sorrido col cuore: con viso e corpo
voglio esprimergli la mia tenacia. Corro subito ad abbracciarli, devo
coinvolgerli nell’esplosione della mia contentezza.
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