Provi a
scandagliarti, a cercare una risposta dentro di te: nei tuoi muscoli
indolenziti, nella tua mente aggrovigliata, nel tuo animo avvilito. Nulla. Non
c’è una spiegazione, solo un affastellarsi di ipotesi senza alcuna possibilità
di verifica. Assurdo, questa è la parola. Assurdo che, quando tutto sembra procedere
alla perfezione, qualcosa si inceppi e il meccanismo vada in tilt. Assurdo che
ciò accada a ripetizione, a distanza di anni. Un film già visto, un bruttissimo
film: uno di quelli che inquietano, che disturbano il sonno, che appaiono minacciosamente
premonitori. E se fossi proprio tu ad indirizzare la profezia verso il suo
avverarsi? Se fosse un’inconscia paura di vincere a farti inciampare sul più
bello? Se, a prescindere da eventuali difetti nella preparazione e,
soprattutto, nell'alimentazione, la causa di tutto fosse proprio la tua atavica
mancanza di autostima?
Sei pronta
per la seconda prova. Nessuna paura, devi solo controllare. Ti incolli all'avversaria che vorrebbe andare in fuga. La lasci tirare, senza affannarti
ma senza lasciarle respiro: sei la sua ombra nei primi tornanti, lungo il
falsopiano, sull'ultimo strappo prima della discesa. Ecco, adesso puoi farti
vedere, scarti e voli giù. La somma dei secondi è una garanzia, tutti già ti
acclamano come la vincitrice del Giro. I numeri sono dalla tua parte, le
premesse pure. Hai saputo correre con le gambe e con la testa, hai dimostrato
forza e caparbietà: basta mantenersi su questa linea ed il gioco sarà fatto. Se
non fosse per l’incubo del “tappone”…
Quei cinque
chilometri di tornanti in salita, subito dopo il via, fanno scattare l’allarme
rosso: quanto soffrirai, quanto potrai concedere alle avversarie, quanto rischi
lasciandole andare e quanto restando loro attaccata? L’ultima gara in salita,
un mese fa, ti ha lasciato l’amaro in bocca e non riesci a scrollarti di dosso
quella pessima sensazione. Provi a scacciare il tarlo rivivendo l’ultima
edizione di questa medesima tappa, quando l’avversaria si involò sui tornanti
fino ad uscire dalla tua visuale, per poi essere riagguantata – e staccata - in
un soffio, nel corso della discesa: aggrappati a questa immagine e ricostruisci
oggi quella perfezione. Perché tanta paura? Perché non riesci ad approfittare
con scaltrezza del potere del tuo vantaggio? L’altra attacca e tu, anziché
farla spingere subito, ti affianchi e fai il ritmo. È vero, adesso l’andatura
ti sembra blanda, ma dovresti sapere bene quanto sia duro e sfiancante questo
tratto. Finalmente ti decidi a lasciarla correre, ma è ormai troppo tardi. La
riprendi in discesa, certo, ma hai già speso troppo. Subire il sorpasso, quando
sei ormai convinta di aver riacquistato il possesso della gara, ti spezza le
gambe. Resti letteralmente senza fiato. È adesso che deve emergere l’atleta
vera, quella con i giusti attributi: che, evidentemente, non sei tu. Perché
anziché dirti “Ehi, sei tu la prima, e prima devi restare fino alla fine: vai e
fai vedere cosa sai fare! Go, Vale, go!”, crolli come un sacco di patate, fino
a farti umiliare anche dalla terza donna. Sei morta. Ti mancano le gambe, ti
manca il respiro. Sull'ultimo strappo, quando potresti ancora limitare i danni
e recuperare preziosi secondi, ti blocchi inerme, incapace di qualsiasi
reazione. Un’ameba. Lo stesso film, lo stesso incubo. Non sei riuscita a
rendere felice chi è con te in ogni corsa (e in ogni momento della tua vita), e
la sua delusione è la pietra più pesante. Hai deluso tutti: quel tifo che ti ha
tanto accompagnata in tutti questi giorni non era meritato. E pensare che solo
ieri avevi affermato che, indipendentemente dall'esito del Giro, le prime due
tappe ti avevano fornito una grande dose di fiducia - per il seguito della
stagione e per quella a venire. Altro che fiducia: come ti rialzi, adesso, da
questa caduta? Perché non è solo una questione di posizioni d’arrivo, e non ti
rincuora sapere che sei ancora in testa con un margine che puoi amministrare.
No. È l’assurdità del prova odierna ad abbatterti, a prospettarti mille
interrogativi, a scolorire ogni velleità. Ripetilo all'infinito: riposa,
tranquillizzati, credici.
Riposi, non
sei tanto tranquilla, ma ci credi. Devi crederci. È la tappa che più detesti,
ma non importa: cosa vuoi che siano cinque giri da un chilometro? Basta
attaccarsi a loro, ed è fatta. Peccato per quel dolore sotto al gluteo che
proprio oggi ha pensato di risvegliarsi, ma l’hai sempre gestito e dopo lo
sparo sarà sparito. Ottimo il primo giro, bene il secondo, al terzo cominci ad
accusare poi, proprio nell'ultimo, di nuovo piantata. Quando provi a reagire,
una fitta lancinante ti dice Alt. Arrivi al traguardo camminando. Riconsegni il
chip: il tuo Giro delle Eolie finisce qui. Assurdo.
Vorresti
delle risposte, degli strumenti su cui lavorare. Vorresti, soprattutto,
riuscire a rialzarti senza troppe ferite. Ti aggrappi alle parole di chi,
nonostante tutto, crede in te: te le tatui nell'anima, affinché siano un
nutrimento sempre disponibile. Poi lasci che sia Vulcano a fare il resto. L’energia
primordiale che gorgoglia sotto la crosta di questa terra si trasmette nel
corpo, attraversa le fibre e le elettrizza: la vita è qui, qui ti rigeneri e
qui dovrai tornare.
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