And the clock waits so patiently on your song... |
A tredici
anni ero già alquanto irrequieta. Un’età difficile, si sa: i genitori diventano
ingombranti, i fratelli maggiori si allontanano e vorresti inseguirli, il mondo
offre infiniti orizzonti da esplorare. Tanti amici, tutti con qualche anno in
più: i motorini, le fughe dal paese, la discoteca. Ciò che non è consentito si
fa di nascosto: oppure ci si accontenta di quello che si ha a disposizione. Per
esempio, una sala ARCI. E un gruppo di attivisti che prende a cuore la causa
dei “giovani” e chiama due DJ per animare le loro domeniche pomeriggio. Fu lì
che accadde: la folgorazione. Certi accadimenti non hanno una spiegazione,
impossibile razionalizzare un colpo di fulmine: succede e basta, e resti
segnato per sempre. Quella canzone… Mai sentita prima, nonostante fosse già
datata: forse troppo, per me, chissà. Chissà quali corde mi fece vibrare,
chissà come rivoluzionò il mio sentire. Fatto sta che con Heroes il mio senso
per la musica fu sconvolto per sempre. Un amore senza mezzi termini: ti prende
totalmente, come una malattia. Di lui non sai nulla, e ora vuoi conoscere
tutto: e tutto ti sembra straordinario.
Mi chiudo in
camera, appoggio l’LP sul piatto, la puntina sull’LP, e parto. Il mio primo
acquisto importante, il mio primo disco di David Bowie. Ma la musica non mi
basta: devo leggere la biografia, imparare i testi, ammirare le foto – che ovviamente
hanno già tappezzato le pareti, in fondo sono un’adolescente. Inizia così il
rito: una volta assimilato l’intero album, ne acquisto un altro, e così via,
fino a completare la collezione. Comprese le rarità, le raccolte, i live. Non mi
sfugge nulla. Nemmeno la notizia del suo concerto in Italia. Non mi pongo
neppure il problema se mi sia permesso o meno: il 9 giugno 1987, alle sette di
mattina, sono davanti allo stadio di Firenze. Inutile descrivere un’esperienza
che è scontato definire unica: una ragazzina sotto al palco, incantata di
fronte al suo idolo. Ho detto tutto.
Gli anni passano,
i gusti cambiano, la vita presenta difficoltà sempre crescenti. Ma nulla ha
incrinato quella passione: quella ragazzina resta viva in me. È la stessa che
ha assistito a tutti i suoi concerti in Italia (a volte anche in più date del
medesimo tour), immancabilmente in prima fila: dopo Firenze, Torino, Milano,
Modena, Bologna, Pistoia, Lucca… Capisco che è sciocco, so di apparire stupida,
ma tutt’ora mi è sufficiente una sua nota, o una sua immagine, per
paralizzarmi. Nessun altro artista, per quanto apprezzato, ha mai avuto su di
me un simile effetto. Non me lo so spiegare. Forse perché tutto è nato in un
momento particolare della mia vita, l’età in cui si è alla ricerca di punti di
riferimento e si recepisce con enfasi ogni stimolo; forse per l’estrema
grandezza del personaggio – estremo e grande in tutti i sensi, e in tutti gli
ambiti artistici in cui si è espresso. O forse perché la passione si vive e
basta. Nulla la definisce, e nulla la spegne. Nemmeno la morte.
Di quest’ultima
non riesco ancora a parlare senza che mi si appanni la vista. So di non essere
l’unica. So che non me ne farò mai una ragione. So anche che non smetterò mai
di ascoltarlo, e che nessuna altra musica saprà mai toccarmi come la sua.
Stars are never sleeping. Dead ones and the living.
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