La sicurezza è una caratteristica che non mi appartiene:
posso nutrire delle speranze, ma non ostenterò mai alcuna certezza. D’Annunzio
mi incanta, ma è Leopardi a toccare le mie corde più profonde: potessi
naufragare dolcemente in questo mare…
Ho sfiorato
qualcosa più grande di me, per quattro giorni ho goduto l’ebbrezza di un
traguardo che avevo sempre ritenuto irraggiungibile. Poi, come un birillo, sono
caduta da quel gradino, per una concomitanza di fattori è accaduto ciò che
sembrava matematicamente impossibile. E tutti, dopo la prima controprestazione,
a chiedermi cosa mi fosse successo. Vorrei tanto saperlo: vorrei individuare la
causa di quell’affanno, di quell’incapacità di reagire, di quello spegnimento
progressivo, giro dopo giro. Peggio dell’anno scorso, quando ero infortunata.
Staccata di un minuto, in nemmeno 6 km: colpita e affondata. Partenza troppo
brillante (al primo giro avevo un bel vantaggio), paura del lastricato bagnato,
energie in calo (le mie), energie in crescita (quelle dell’avversaria)? Ci sta
tutto, anche quel mal di pancia che mi tormentava da mercoledì.
Tappa
avvincente quella di mercoledì: la più lunga, la più temuta, la più aspettata.
La mia preferita. Non che mi abbia mai regalato nulla, né mi ha mai vista
particolarmente aggressiva: sarà solo questione di affinità. Ora si tratta di
gestire il vantaggio accumulato nelle due tappe precedenti, quando ho saputo
staccare brillantemente chi reputavo inavvicinabile. I cinque chilometri di
tornanti mozzafiato mi preoccupano, è una questione di resistenza e di gestione
delle risorse, per non trovarsi svuotati quando si potrebbe cominciare a volare.
Mi trovo alle sue spalle, lei sale che è un piacere e io dietro arranco per non
perderla di vista. Sono “solo” cinque chilometri, dopo potrai recuperare:
gestisci la distanza senza esagerare, dai che manca poco! Certo, cosa vuoi che
sia? Si traballa un po’, una volta giunti al vertice, quindi si ritrova la
padronanza delle gambe e si cambia marcia: giù a tutta! Eccola, sempre più
vicina, sento il suo respiro, forse anche la sua voce: poi solo l’aria calda, e
il rumore dei miei passi. Fosse così fino alla fine... Invece il brutto deve
ancora venire, perché dopo quella fantastica discesa inizia una serie di
saliscendi che possono stravolgere gli assetti. Quello in prossimità del
dodicesimo chilometro è una bastonata: ancora salita, e sembra non finire più. Lo
straordinario vantaggio che avevo guadagnato si sta via via accorciando, e qui
scatta l’allarme: in un attimo di sconforto, mi fermo e guardo indietro; non si
vede, ho ancora margine, ma a maggior ragione è adesso che devo raschiare il
fondo. Il fatto è che non trovo nulla da raschiare! Il trucco è non alzare lo
sguardo, dovrà pur finire quest’agonia. Ecco, via in picchiata – insomma, più o
meno. Scoordinata e ansimante, provo a spingere a più non posso: quel
rettilineo al termine della discesa è interminabile, sto veramente tirando gli
ultimi, temo di non riuscire ad arrivare alla fine. Svolta a sinistra, ecco l’arrivo.
Ci sono, più morta che viva, ma ci sono. Un bicchiere di integratore al
ristoro, il mio beverone dolce a seguire, mentre riprendo fiato, e subito le budella
iniziano a gorgogliare. Mah, sarà il lamento generale del mio fisico provato.
Mi butto in mare per non pensarci più, galleggiando sulla posizione consolidata
– ormai inossidabile, mi dicono, ma io non ci credo ancora. Premiazioni con
omaggi delle autorità di Salina: uva squisita, pizzetta così così, e la mia
pancia torna a protestare. Fuga liberatoria in bagno prima della traversata di
ritorno. Il mare mi culla, sbarco leggermente assopita, ho voglia di gelato.
Ahi, non dovevo farlo! Sotto coi fermenti lattici: il peggio è scongiurato, ma
permangono una punta di dolore e un fastidioso senso di tensione. Respira e
rilassati, l’imperativo ora è rigenerarsi. Il maltempo della giornata di riposo
costringe all’ozio, ma il venerdì mattina, nella piazzetta di Lipari, sono tutt’altro
che carica. E ci si mette pure la pioggia. Disastro annunciato?
Illusioni a
picco. L’ultimo giorno dovrebbe emergere una Valentina cattiva come non mai:
appunto, quando mai? Devo crederci, devo crederci, devo crederci.
Quarantacinque secondi sono un discreto margine, basta incollarsi e non
mollare. Non ti spaventeranno sei fottuti chilometri e mezzo? Tanti. Troppi.
Quattro giri nervosi e scattanti, ondulazioni insufficienti a fare la
differenza: qui vola solo chi è a mille. Lei scappa subito, io sono impiccata
dal primo chilometro: il mio massimo è comunque ridicolo. Mi aggrappo all’ultimo
barlume di speranza, incitata dai nuovi amici che credono in me: mai sentita
tanta solidarietà, mi fa sentire viva quando sto per morire. Purtroppo tutto è
inutile.
Avrei
preferito non essere mai stata terza, non avere sognato quel podio, restare da
subito ai piedi della più forte. Così invece mi ritrovo ad arrovellarmi sulle
cause della sconfitta, inquinando gli ultimi sgoccioli di vacanza. Il sole
scende dietro allo scoglio: cala il sipario, senza applausi.
7 commenti:
Ne abbiamo parlato tanto, ora si gira pagina e sotto con le prossime!
Nella corsa, come nella vita, tutto fa esperienza: il bello (e il brutto) è che non c'è mai una seconda possibilità, quindi il classico pensiero "Se quel giorno avessi..." o "Se invece di..." è un'inutile perdita di tempo, nel senso che ogni volta cambia qualcosa quindi l'eventuale "esperimento" non è mai replicabile al 100%.
Certo, la prossima volta, si prova a cambiare qualcosa... io la mia ipotesi l'ho già buttata là, sarà che i numeri mi piacciono... :-P
A me invece i numeri non piacciono, perciò mi affido ai tuoi calcoli: fiduciosa.
Certo, ora guardiamo avanti, che ci sono delle belle sfide all'orizzonte.
... sfide altrettanto interessanti e meno "rischiose" da un certo punto di vista... ;-)
Secondo me il problema è che ti piace proprio "non vincere" (che non significa necessariamente arrivare primi). Ti disegni addosso questo "lamento" post gara e ti lascia abbracciare da esso. Mi rompono le palle sia D'Annunzio che Leopardi... mi fido però di Federico. Fidati di Valentina, dalle qualche possibilità, ne ha molte di più di quelle che pensi. Un abbraccio sincero. Sei sempre molto brava
Fede
Grazie Fede. In in un certo senso hai sicuramente ragione. Ma non è che mi piaccia non vincere, nè che ami crogiolarmi nel lamento: è che mi sento una perdente a prescindere (e non mi riferisco solo alla corsa), perciò non riesco a gestire le situazioni "vincenti". Non mi sento mai all'altezza, non riesco a fidarmi di Valentina: è un mio limite, da sempre.
Si può sempre incominciare. Prova :-*
Il problema - l'unico, forse - è che non ci si può allenare più di tanto a cambiare la propria natura.
Chi vede, chi sente il bicchiere sempre "mezzo vuoto", riuscirà ad annegare nel nulla.
Posta un commento