Basterebbe
ricevere il consiglio giusto al momento giusto. Ovviamente, il consiglio giusto
è quello che risponde alle nostre aspettative, ma il momento giusto qual è? Se mi
avessero proposto allora quanto mi è stato prospettato venti giorni fa, avrei
reagito con la stessa prontezza? È vero, con i “se” non si va da nessuna parte:
infatti sono qui, pressoché immobile, in fremente attesa di rimettermi alla
prova.
Quel fastidio
al lato esterno del tallone sinistro cominciò ad infastidirmi quando ero alle
prese con tutt'altro dolore, tanto recidivo quanto irrisolto: nessuna evidenza scientifica
riusciva a spiegare la sua perseveranza, ma in quell'area difficilmente
localizzabile sotto il gluteo c’era senza dubbio qualcosa che non andava, visto
che non riuscivo né a correre né a stare seduta. Come metterla con la maratona
di New York? Proviamo intanto a zittire il piede molesto: l’ecografia vede un
tendine intatto, ma qualche calcificazione qua e là. Una bombardata di onde d’urto
e passa la paura. Baciata dal dio Maratona, arrivai tutta intera al traguardo
in Central Park (qui i dettagli), ma il giorno dopo zoppicavo. Poco male, era
già stato messo in preventivo almeno un mese di riposo. Si riprende quindi
piano piano: natica così così, tallone non pervenuto.
Il 2016
parte con le migliori intenzioni. Sopravvissuta all'inverno, chiudo
discretamente la primavera e cavalco la mia stagione preferita inseguendo sogni
di gloria. Fino a quando il gluteo destro, forse geloso delle troppe attenzioni
rivolte al suo compagno, comincia a lamentarsi alla stessa maniera. Perdo così
la corona alle Eolie (qui la triste novella), e naufraga in quel mare il sogno
di un’altra maratona. Naturalmente, visite, esami e contro analisi non rivelano
alcunché. Tra i tanti referti, spicca quello dello specialista che se ne esce
con “Ha presente Carla Fracci? Ecco, lei ha quel fisico”: considerando l’espressione
da triglia, presumo fosse un elogio all'arte e alla perfezione – o si riferiva
invece al logorio della veneranda età? Fatto sta che, a forza di sentirmi dire
che non ho nulla, dovrei riuscire a convincermi. È tutto nella tua testa! Allora sono a posto.
Un altro
inverno, eterno come tutti gli inverni. Un’altra (ri)partenza, faticosa come
tutte le (ri)partenze. Sogni di gloria che assomigliano a miraggi ma, come si
dice, la speranza… Con le antenne sempre orientate sui miei hamstring, avevo
completamente dimenticato di quel tempo della mia vita mortale in cui soffrii
di uno strano dolore accanto al tallone. Proprio quella sgradevole sensazione
che si stava ripresentando a ridosso della gara sulla quale avevo concentrato
tutta la preparazione stagionale. Stessi sintomi equivale a stessa diagnosi:
bombardiamo e radiamo al suolo il nemico. Peccato che stavolta le armi non
siano efficaci. La radiografia mi è simpatica, non trova alcuna anomalia. Perfetto,
il fastidio sparirà così come è arrivato – ovvio, no? Mica tanto. Un giorno
scompare, un altro giorno riappare; una volta parto bene e finisco male, un’altra
volta parto male e finisco alla grande. È una prova di nervi, ma non desisto:
correrò quella mezza meglio dell’anno scorso, poi potrò riposarmi un po’. Le ultime
parole famose. Risultato vergognoso, condizione fisica pietosa. Dai, qualche
giorno poi passa… Quando riprovo a correre è l’inferno. Un altro mese ai box. A
metà giugno bisogna riprendere, Vulcano sta già borbottando. Duole ancora, ma
ci può stare, bisogna solo ingranare. Forse. Forse bisogna riflettere sul fatto
che fatico persino a camminare, e che sul tallone sembra essere cresciuta una
palla da tennis. Urge vederci chiaro. L’ecografia è indisponente: mi sbatte in
faccia una tendinopatia cronica e altre robacce come edema e reazione
sinoviale, e meno male che non rintraccia calcificazioni. E adesso? L’ecografo,
con far leggero, mi consola includendomi nella massa di podisti che convivono
beatamente con problemi analoghi, e mi suggerisce di rivolgermi ad un bravo
osteopata. Il bravo osteopata mi tira di qua e di là, confessandomi che più di
tanto non si può fare e invitandomi a riprovare a correre quando fossi riuscita
a camminare senza problemi. Arriva quindi il medico sportivo, quello che
dovrebbe limitarsi a verificare che il motore sia in grado di reggere un altro
anno di atletica. Ho la malsana idea di esporgli ciò che sta boicottando i miei
allenamenti così che lui, mentre suggella il certificato di idoneità, mi infligge
il colpo di grazia: non c’è rimedio, bisogna fermarsi. Almeno un anno. Questo
il 18 agosto 2017, tra due settimane si parte. Alle Eolie un mio ologramma
compie un miracolo (qui raccontato). Magari, si potesse evitare di tornare a casa… Due mesi,
dai: un paio di mesi poi si ricomincia. Non importa che la bici mi faccia
schifo, che non sappia più quali esercizi inventarmi, che in piscina rischio l’assideramento:
se non mi muovo impazzisco. Già così mi sento un’ameba, bolsa e flaccida, ormai
nevrotica. In novembre riallaccio le scarpe e mi butto nella mischia: mi lascio
trascinare dall'entusiasmo, dalla voglia, dalla convinzione. Tutto bello, ma
non basta: la situazione è immutata, sono rimandata alla prossima sessione.
Dicembre? Non basta. Gennaio forse? O forse è meglio chiedere ancora aiuto? All'appello manca l’ortopedico. Ospedale di Bentivoglio, equipe del Rizzoli, dottore
giovanile e sorridente: può essere d’aiuto
una talloniera e, perché no, un ciclo di terapie. Intervento? Macchè, non è proprio il caso. Ci vuole solo
tanta pazienza. Ha detto pazienza? Quel termine astratto conosciuto forse
in una vita precedente, ma difficilmente concretizzabile allo stato attuale
degli eventi? Va bene, tentiamo di approcciarlo: indossiamo i rialzi, lasciamo
perdere le terapie (avrei già dato), e aspettiamo. Cosa? L’anno nuovo, la bella
stagione, l’eternità? Mi sento già decrepita. Il mondo della corsa mi circonda,
ma io ne faccio sempre meno parte. Finché non incontro un elemento di spicco: a lui si sono
rivolti in tanti, dagli atleti di fama ai semplici tapasci. Io no, non sono mai
entrata in quella cerchia, per nessuna ragione precisa, solo giochi di
strade. Strade che un giorno, per caso, si sono incrociate. Potresti dare un’occhiata
al mio tendine? Un’occhiata, appunto, è sufficiente a formulare la diagnosi:
apofisite calcaneare, l’unica soluzione è l’intervento chirurgico. L’ortopedico
di sua fiducia ne dà conferma. Quello trascorso fino ad ora è stato tutto tempo
perso. Già, ma nessuno fino ad ora me l’aveva proposto. Perché nessuno di loro corre. Era questo che volevo sentirmi dire? Può
essere. Tanto lo temevo quanto lo speravo: di fatto, ora mi sembra una
liberazione. Facciamola, questa operazione, il più presto possibile. Due
buchini, una fresatura, una notte all'ospedale. Dolore? Un po’, ma passa in
fretta. Difficoltà? Qualcuna: familiarizzare con le stampelle, superare gli
ostacoli domestici, lavarsi senza danneggiare la fasciatura. Piccolezze. Pur di
rimettersi in piedi. Pur di tornare a correre. La bestia scalpita.
2 commenti:
Dai Valentina ti auguro di tornare a volare.
Anche io ho passato 8 anni di alti e bassi, molti più bassi che alti ma ora il sole sembra tornato. Vedrai che sarà cosi anche per te...e molto presto.
Te lo auguro di cuore
Beh, il tempo di volare ormai è andato. Mi accontenterei di tornare a correre. Grazie!
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