Da qui si vedono tutte, sette perle placcate dall'ambra del
sole che digrada. Persino Alicudi, la più lontana, la più selvaggia. Chissà se
ospita ancora quel bizzarro pittore francese che ci incantò con la sua immagine
bohémien tanti anni fa. Quanto tempo è passato? Da quanto tempo non osservavamo
da questa prospettiva il panorama dei nostri sogni? La salita al cratere è una
passeggiata eppure, per una ragione o per l’altra, quella bocca rovente
continuava a sfuggirci. Stavolta no, a costo di salire con una gamba sola. Che,
in effetti era quello che temevo: più che di dover rinunciare a gareggiare,
avevo paura che, costringendomi a farlo, avrei finito col ritrovarmi nell'impossibilità persino di camminare. Ho invece conquistato la mia montagna
e ora la respiro, quasi a farla mia, nella disperata speranza di non lasciarla
più.
Siamo a metà dell’opera. Mancano “solo” due prove,
anticipate da un giorno di riposo – tanto meritato quanto sofferto. Di
rilassarsi non si parla proprio: il fotoreporter parte all'alba a caccia di
scenari suggestivi, l’atleta si agita nel sonno col terrore di morire dal
dolore alzandosi dal letto. Sopravvivo, ma la situazione è decisamente
preoccupante. C’era da aspettarselo. Anzi, sono già andata oltre le più
ottimistiche previsioni. Eppure, l’idea che la strada si possa interrompere non
mi scuote affatto. Duole sempre ai primi passi, poi si stabilizza e quasi passa
in sordina: è stato così nei giorni scorsi, lo sarà anche nei prossimi. Dovrò
vedermela con la tappa più antipatica, quella che l’anno scorso ha sancito il
mio ritiro: una sfida tra me e lei, e vincerò io. Non ho dubbi. Sto sfidando la
logica, la fisica, la ragione. E mi sto divertendo un sacco. Difficile capire
dove finisca la mia caparbietà, e dove inizi il desiderio di stupire chi è in
ansia per me: la disperata voglia di correre si fonde con l’estrema necessità
di non deludere. Troppi errori su queste strade, è ora di finirla.
Cinque giri di un chilometro abbondante, su e giù per il
centro di Lipari. Ciottolati, curve secche e turisti distratti: un incubo. Se
mi lasciassi trascinare dalla foga degli sprinter sarei spacciata – ovvero,
impiccata già al primo muro. Ritmo da crociera anche oggi, è l’unica strategia
per restare a galla. Con calma mi avvicino alle due ragazze in più diretta
competizione, nella discesa sono leggermente avanti quando, in prossimità del
ristoro, un piede si aggancia al mio e trovo l’inferno. In una manciata di
secondi vedo scorrere le immagini più catastrofiche: schiantata sui pietrini,
paralizzata dalla rabbia e dal dolore. Eh no, stavolta no! Barcollo come un
clown, gambe e braccia all'aria, rifiutando di cedere alla forza di gravità.
Signori e signore, oggi comiche. E per la gioia di tutti voi, Ridolini resta in
piedi. Anzi: più cattivo di prima, parte alla rincorsa di chi gli ha fatto lo
sgambetto. Si tratta solo di aspettare il rettilineo più scorrevole e il
sorpasso è fatto. Ancora un paio di giri, può ancora accadere di tutto, ma
sento che lo scoglio è superato: sto già assaporando lo sguardo stupefatto di
chi mi aspetta trepidante, più incerto di me sulle mie reali possibilità.
Potrò dire di avercela fatta solo al traguardo di Vulcano,
sabato mattina. Mi piacerebbe, almeno in questa occasione, attivare la modalità
“gara”. Perché fino ad ora non l’ho innescata: non mi sono spremuta, non ho
tirato alla morte, non ho patito la competizione. Mi sono impegnata il minimo
indispensabile, esclusivamente per il piacere di partecipare. Certo giorno dopo
giorno, risultato dopo risultato, l’euforia aumentava: anche il confronto con
le passate edizioni si faceva sempre meno avvilente. Ovvio che il cavallo
cominciasse a scalpitare. Insomma: non intendo lanciarmi come un kamikaze
contro il gruppo di testa, vorrei però vivere l’agone fino in fondo. Galeotta è
la discesa: come faccio a trattenermi se si parte in picchiata? Lo so che al
ritorno questo tratto mi spezzerà le gambe, ma adesso è impensabile non
slegarle. Che almeno mi diverta un po’, perché sul piano sono già piantata: qui
emerge tutto ciò che mi manca. Senza allenamento, senza attitudine al ritmo,
senza prove di velocità non si improvvisa niente: il motore non gira. Per
quanto si provi a spingere, sembra di non avanzare affatto. Così arrivo già in
affanno sul falsopiano – che vivo come una salita allucinante. Mi sorpassano a
frotte, sono una palla sgonfia. Mi concentro sulle mie forze, sull'andatura,
attendendo come un miraggio il giro di boa. Peccato che la discesa non sia
proprio di quelle che piacciono a me: ti lascia prendere fiato, sì, ma non ti
consente di volare. Se non altro, è sufficiente a guadagnare alcune posizioni.
Devo sfruttare al massimo questo tratto, per poi sputare sangue sul finale. Un
dosso diabolico, poi di nuovo sul piano. Ancora una volta, fianco a fianco con
Francesca. Ovviamente lei ne ha più di me, ma è grazie alla sua forza che
riesco ad affrontare l’ultima salita con una grinta insperata. Sto morendo, ma
è così che vorrei morire: scoppiando di gioia.
Ho vinto. E non parlo della posizione, né del premio di
categoria: parlo della mia battaglia. A
tutti quei discorsi su cosa si possa ottenere solo con la forza di volontà non
avevo mai creduto. Invece… Non so dove abbia trovato le risorse, né come abbia
potuto vincere il dolore: non so quando guarirò, né quando tornerò a correre. Ho
però una nuova certezza: posso farcela, possiamo farcela. Non esistono ostacoli
insormontabili, solo montagne da conquistare. Come Vulcano. La sua energia non
si esaurisce. Ed è in noi.
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