giovedì 14 settembre 2017

Giro Podistico Eolie 2017 - Capitolo 2: da Lipari a Salina

Servirà a qualcosa questa melma maleodorante? C’è chi la ritiene miracolosa e chi, come la sottoscritta, ai miracoli non crede affatto. È però vero che, quando la situazione si fa disperata, si finisce con l’aggrapparsi a qualsiasi scoglio. Così, eccomi immersa nella pozza, col viso cosparso di fango, a pregare che almeno la pelle, se non le articolazioni, possa uscirne rigenerata. Poi impacchi di ghiaccio, passeggiate nel mare, massaggi di scarico; e ancora: elettrostimolazioni, rullate sulla pallina da tennis, esercizi di allungamento. Un lavoraccio gestire questo tendine, ma non vogliamo fargli mancare nulla: deve capire quanto ci stia a cuore, quanto sia importante che si alteri il meno possibile, quanto sia necessario che ci accompagni paziente fino all'ultimo giorno.

Ho deciso di continuare, quantomeno di provarci. Sarà l’entusiasmo della prima prova, superata al di sopra di ogni aspettativa; sarà l’incapacità di scindere il mio soggiorno alle Eolie dalla partecipazione alla gara; sarà che la fiducia accordatami dalle persone che animano questo evento mi ha trasmesso energia e positività. Insomma: salirò su quella barca, diretta a Lipari. Elettrizzante la seconda tappa: un colpo di schioppo. Qualche tornante, giusto per scaldare il motore, quindi un susseguirsi di saliscendi a tenere alta la frequenza, per poi volare in picchiata fino al traguardo. In un contesto quasi lunare: da uno sperduto villaggio sul mare, sfiorando spettrali cave di pomice, per arrivare sul piccolo porto che sembra attendere i nostri tuffi. Poco più di sei chilometri, da buttare giù tutti d’un fiato. Potendo. Perché oggi la vedo durissima. È necessario un buon riscaldamento, ma da subito il tallone lancia segnali tutt'altro che incoraggianti e temo molto per quando, a qualche centinaio di metri dal via, inizierà l’arrampicata.

Può essere che l’adrenalina faccia miracoli. O forse è il bisogno di correre, la gioia di correre, ad annichilire tutti i dolori. Mantengo la calma, non dispongo di alcuna risorsa per poter rincorrere chissà quale obiettivo. Mi basta riuscire ad avanzare, passo dopo passo, con le mie scarpette, il mio chip e il mio magico pettorale ben spillato. Mi stupisco di essere nel gruppo delle atlete che ieri avevo davanti a me: mi sbalordisco quando, senza forzare, le lascio alle mie spalle. Al mio fianco resta Francesca, e quasi mi dispiace dare vita ad una sfida con lei: perché è un’amica, perché non vorrei si sentisse offesa, perché ci siamo dette che siamo qui solo per divertirci. E allora divertiamoci, ognuna vivendo la sua gara. Io non posso permettermi di andare oltre i miei limiti, già troppo esigui. Posso solo regolare il mio respiro, modularlo sulle difficoltà del percorso, impostarlo sul ritmo della mia falcata. E quando la strada comincia a scendere, resta solo l’aria sottile da attraversare in un baleno, abbandonando ogni ansia e ogni tensione. Finalmente lasciarsi andare. Verso un altro traguardo. Mai come quest’anno ogni arrivo è una vittoria, quale che sia la classifica. Non fermarmi più, ecco cosa vorrei. Infatti continuo a correre, come se dovessi defaticare: come se fossi un’atleta seria. Che di serio, ora, non ha proprio nulla: quel sorriso, incollato sul volto, non accenna a smorzarsi. Quante volte è successo? Quante volte Jader, quasi più emozionato di me, mi ha guardata incredulo, chiedendomi come abbia fatto? Ce l’ho fatta, anche oggi. Domani?

Sapete cosa vi dico? Che domani non ce la facciamo. Ecco la sentenza di Manuele, nel bel mezzo di un soporifero bagno di sole sulle sabbie nere. Lo seppelliamo con una risata e ci buttiamo in acqua per rinfrescare muscoli e pensieri. Vorrei riuscire a distendere entrambi, ma la prospettiva della terza tappa è tutt'altro che rassicurante. La più lunga, la più insidiosa, la più difficile: difficile da interpretare, da gestire, da sopportare. Persino nelle migliori condizioni. Il ricordo della crisi nera dell’anno scorso, a causa della quale mi giocai la vittoria del Giro, scotta ancora. Quest’anno non ho niente da giocarmi, niente da vincere, né da perdere. Cosa mi preoccupa, allora? Il mio tendine, ovviamente, e il mio fisico. Né l’uno né l’altro sono preparati per affrontare quasi quindici chilometri: da maggio ad oggi, la distanza massima che ho messo nelle gambe equivale ai sette chilometri della prima prova, le uscite totali di corsa cinque o sei (a esagerare). Che abbia ragione Manuele?


Vedrai, oggi ti stupirò. Lo affermo convinta, e il bello è che ci credo davvero. Il percorso presenta delle novità rispetto alle precedenti edizioni, ma i tratti salienti li conosco bene, e stavolta non posso sbagliare. Devo partire piano, pianissimo: in fondo non ho scelta, la velocità è lungi da me e altrettanto lontana è la resistenza allo sforzo. Non so se sia più preoccupata del dolore o della capacità di sopportazione. La soluzione è una sola: mettere al bando ogni assillo e godermi le strade di Salina. Come due giorni fa a Vulcano, lascio che tutte si scatenino finché possono. Io sono una semplice tapasciona, ad una qualsiasi camminata domenicale. Ecco Francesca. Non intendo sforzarmi per tenere il suo passo, l’istinto di sopravvivenza ha la meglio sull'agonista che è in me. Ci alterniamo comunque nella salita e recuperiamo diverse posizioni. La parte nuova del percorso si snoda in un dedalo di viuzze dove sembra di giocare a nascondino, con saliscendi che innervosiscono il ritmo. Poi finalmente, la discesa: finalmente posso mollare i freni. So che a due chilometri dall'arrivo mi aspetta un muro dove potrei morire, e so anche che il rettilineo finale mi vedrà strisciare. Ma ora voglio solo sentirmi libera di volare. È uno spettacolo: questo luogo, questa gara,  questa mia incredibile forza. È come se mi vedessi dal di fuori: l’immagine della gioia di correre. Tralasciando per un attimo il suo reportage fotografico, Jader mi incita con foga, annunciandomi che ho guadagnato un incredibile vantaggio sulla terza in classifica. Stai zitto! Non lo voglio sapere: non sia mai che l’ansia da prestazione inquini la mia leggerezza, finendo con attanagliarmi i muscoli. Non devo pensare a nulla, nulla devo ascoltare. Oggi conta solo il qui e ora. Oggi conto solo io: il miracolo di Valentina che corre. E pazienza se sull'ultimo strappo avrò qualche cedimento, pazienza se affronterò l’ultimo chilometro quasi barcollando. Taglio il traguardo in terza posizione. Non so se ridere o piangere.


Te l’avevo detto che ti avrei stupito. Ancora una volta: come hai fatto? Chi può dirlo? Chi può dire quali saranno le conseguenze di questo azzardo? Ci penseremo al momento opportuno, adesso godiamoci una prelibatezza. Del resto, perché non ammetterlo? Lo scopo di tante fatiche è uno solo: intingere la brioche calda in una succulenta granita.

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