Servirà a qualcosa questa melma maleodorante? C’è chi la
ritiene miracolosa e chi, come la sottoscritta, ai miracoli non crede affatto.
È però vero che, quando la situazione si fa disperata, si finisce con l’aggrapparsi a qualsiasi scoglio. Così, eccomi immersa nella
pozza, col viso cosparso di fango, a pregare che almeno la pelle, se non le
articolazioni, possa uscirne rigenerata. Poi impacchi di ghiaccio, passeggiate
nel mare, massaggi di scarico; e ancora: elettrostimolazioni, rullate sulla
pallina da tennis, esercizi di allungamento. Un lavoraccio gestire questo
tendine, ma non vogliamo fargli mancare nulla: deve capire quanto ci stia a
cuore, quanto sia importante che si alteri il meno possibile, quanto sia
necessario che ci accompagni paziente fino all'ultimo giorno.
Ho deciso di continuare, quantomeno di provarci. Sarà
l’entusiasmo della prima prova, superata al di sopra di ogni aspettativa; sarà
l’incapacità di scindere il mio soggiorno alle Eolie dalla partecipazione alla
gara; sarà che la fiducia accordatami dalle persone che animano questo evento
mi ha trasmesso energia e positività. Insomma: salirò su quella barca, diretta
a Lipari. Elettrizzante la seconda tappa: un colpo di schioppo. Qualche
tornante, giusto per scaldare il motore, quindi un susseguirsi di saliscendi a
tenere alta la frequenza, per poi volare in picchiata fino al traguardo. In un
contesto quasi lunare: da uno sperduto villaggio sul mare, sfiorando spettrali
cave di pomice, per arrivare sul piccolo porto che sembra attendere i nostri
tuffi. Poco più di sei chilometri, da buttare giù tutti d’un fiato. Potendo.
Perché oggi la vedo durissima. È necessario un buon riscaldamento, ma da subito
il tallone lancia segnali tutt'altro che incoraggianti e temo molto per quando,
a qualche centinaio di metri dal via, inizierà l’arrampicata.
Può essere che l’adrenalina faccia miracoli. O forse è il
bisogno di correre, la gioia di correre, ad annichilire tutti i dolori.
Mantengo la calma, non dispongo di alcuna risorsa per poter rincorrere chissà quale
obiettivo. Mi basta riuscire ad avanzare, passo dopo passo, con le mie
scarpette, il mio chip e il mio magico pettorale ben spillato. Mi stupisco di
essere nel gruppo delle atlete che ieri avevo davanti a me: mi sbalordisco
quando, senza forzare, le lascio alle mie spalle. Al mio fianco resta
Francesca, e quasi mi dispiace dare vita ad una sfida con lei: perché è
un’amica, perché non vorrei si sentisse offesa, perché ci siamo dette che siamo
qui solo per divertirci. E allora divertiamoci, ognuna vivendo la sua gara. Io
non posso permettermi di andare oltre i miei limiti, già troppo esigui. Posso
solo regolare il mio respiro, modularlo sulle difficoltà del percorso,
impostarlo sul ritmo della mia falcata. E quando la strada comincia a scendere,
resta solo l’aria sottile da attraversare in un baleno, abbandonando ogni ansia
e ogni tensione. Finalmente lasciarsi andare. Verso un altro traguardo. Mai
come quest’anno ogni arrivo è una vittoria, quale che sia la classifica. Non
fermarmi più, ecco cosa vorrei. Infatti continuo a correre, come se dovessi
defaticare: come se fossi un’atleta seria. Che di serio, ora, non ha proprio
nulla: quel sorriso, incollato sul volto, non accenna a smorzarsi. Quante volte
è successo? Quante volte Jader, quasi più emozionato di me, mi ha guardata incredulo, chiedendomi come abbia fatto? Ce l’ho fatta, anche oggi. Domani?
Sapete cosa vi dico?
Che domani non ce la facciamo. Ecco la sentenza di Manuele, nel bel mezzo
di un soporifero bagno di sole sulle sabbie nere. Lo seppelliamo con una risata
e ci buttiamo in acqua per rinfrescare muscoli e pensieri. Vorrei riuscire a
distendere entrambi, ma la prospettiva della terza tappa è tutt'altro che
rassicurante. La più lunga, la più insidiosa, la più difficile: difficile da interpretare,
da gestire, da sopportare. Persino nelle migliori condizioni. Il ricordo della
crisi nera dell’anno scorso, a causa della quale mi giocai la vittoria del
Giro, scotta ancora. Quest’anno non ho niente da giocarmi, niente da vincere, né
da perdere. Cosa mi preoccupa, allora? Il mio tendine, ovviamente, e il mio
fisico. Né l’uno né l’altro sono preparati per affrontare quasi quindici chilometri:
da maggio ad oggi, la distanza massima che ho messo nelle gambe equivale ai sette
chilometri della prima prova, le uscite totali di corsa cinque o sei (a
esagerare). Che abbia ragione Manuele?
Vedrai, oggi ti
stupirò. Lo affermo convinta, e il bello è che ci credo davvero. Il percorso
presenta delle novità rispetto alle precedenti edizioni, ma i tratti salienti
li conosco bene, e stavolta non posso sbagliare. Devo partire piano, pianissimo:
in fondo non ho scelta, la velocità è lungi da me e altrettanto lontana è la
resistenza allo sforzo. Non so se sia più preoccupata del dolore o della
capacità di sopportazione. La soluzione è una sola: mettere al bando ogni
assillo e godermi le strade di Salina. Come due giorni fa a Vulcano, lascio che
tutte si scatenino finché possono. Io sono una semplice tapasciona, ad una qualsiasi
camminata domenicale. Ecco Francesca. Non intendo
sforzarmi per tenere il suo passo, l’istinto di sopravvivenza ha la meglio sull'agonista che è in me. Ci alterniamo comunque nella salita e recuperiamo diverse
posizioni. La parte nuova del percorso si snoda in un dedalo di viuzze dove
sembra di giocare a nascondino, con saliscendi che innervosiscono il ritmo. Poi
finalmente, la discesa: finalmente posso mollare i freni. So che a due
chilometri dall'arrivo mi aspetta un muro dove potrei morire, e so anche che il
rettilineo finale mi vedrà strisciare. Ma ora voglio solo sentirmi libera di volare.
È uno spettacolo: questo luogo, questa gara, questa mia incredibile forza. È come se mi
vedessi dal di fuori: l’immagine della gioia di correre. Tralasciando per un
attimo il suo reportage fotografico, Jader mi incita con foga, annunciandomi
che ho guadagnato un incredibile vantaggio sulla terza in classifica. Stai
zitto! Non lo voglio sapere: non sia mai che l’ansia da prestazione inquini la
mia leggerezza, finendo con attanagliarmi i muscoli. Non devo pensare a nulla,
nulla devo ascoltare. Oggi conta solo il qui e ora. Oggi conto solo io: il
miracolo di Valentina che corre. E pazienza se sull'ultimo strappo avrò qualche
cedimento, pazienza se affronterò l’ultimo chilometro quasi barcollando. Taglio
il traguardo in terza posizione. Non so se ridere o piangere.
Te l’avevo detto che ti avrei stupito. Ancora
una volta: come hai fatto? Chi può dirlo? Chi può dire quali saranno le
conseguenze di questo azzardo? Ci penseremo al momento opportuno, adesso
godiamoci una prelibatezza. Del resto, perché non ammetterlo? Lo scopo di tante
fatiche è uno solo: intingere la brioche calda in una succulenta granita.
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