domenica 14 maggio 2017

Bibione Half Marathon 2017

Quando è buona la prima, meglio volgere lo sguardo e puntare l’obiettivo su altri orizzonti. Più facile invece indugiare su quella sequenza di immagini, lasciarle scorrere, cominciare a rielaborarle con l’intento di dar loro un seguito. Idea, tutto sommato, comprensibile: occorre però valutare con attenzione annessi e connessi.

Tenere presente, innanzitutto, che le atmosfere e gli entusiasmi non possono essere replicati. Si può sempre migliorare, è vero, ma è altrettanto vero che un carico di aspettative gioca facilmente brutti scherzi: prima, durante e dopo.
È così casuale che un fastidio, che si riteneva archiviato, si ripresenti simpaticamente ad una decina di giorni dalla gara sulla quale si è impostata l’intera stagione? Intendo documentarmi sull’argomento, ma ora urge arginare il disturbo: non hai niente, è tutto nella tua testa. Già, la mia testa: quella materia perennemente aggrovigliata nel suo grigiore, incapace di abbandonarsi agli sprazzi di luce che di tanto in tanto la attraversano. Eppure sarebbe così semplice lasciarsi cullare dai segnali positivi, ascoltare le voci amiche e affilare gli artigli.
Il clima non aiuta. L’inverno è una stagione infinita, mi chiedo quando mi libererò dal freddo che si è impossessato di me decisamente da troppo tempo. Gli allenamenti procedono, ma c’è qualcosa che non mi soddisfa: una sensazione indefinita, come non fosse mai abbastanza, come fossi in ritardo. Le gare, intese come tappe intermedie, lanciano messaggi contraddittori. Cosa si diceva, lasciarsi cullare dai segnali positivi?...

L’anno scorso la spiaggia era già completamente attrezzata, pronta all’assalto dei bagnanti. Oggi solo sabbia. E mare. Decisamente meglio. La temperatura no, quella non mi piace affatto. Dicono sia l’ideale per correre, almeno non soffrirete il caldo. Sarà, ma io sogno di gareggiare indossando il minimo indispensabile, arrivare in un  bagno di sudore e desiderare di tuffarmi nell’acqua gelida. Mi ritiro dentro al cappuccio, come una tartaruga nel guscio, e cerco un mantra che mi dia fiducia.
Domenica mattina, risveglio quieto, dopo una tempesta infernale. Imbacuccata fino alle orecchie, mi avvio  alla partenza. Un tiepido sole mi sprona a scoprirmi un po’: via i guanti. Esagero, via anche i manicotti. Ma sì, dai, si sta quasi bene. Non pensare agli acciacchi. Non pensare neppure alla variazione del percorso: sarà una gara nuova, l’idea dovrebbe stuzzicarti. E ricorda: primi chilometri col freno tirato. Così va bene, no? Ciclabile sul lungomare, suggestiva. Sabbia sotto i piedi a tratti, ma non più di tanto. Si prosegue su strada, tracciato scorrevole, ma non mi riesce il cambio di ritmo. Va bene così, è ancora lunga, conserviamo tutto per un gran finale. A circa un terzo di gara sorpasso un paio di concorrenti, ottimo incoraggiamento. Peccato che si stia per imboccare la pineta: sterrato, in pessime condizioni grazie al diluvio notturno. I fenomeni procedono spediti, infischiandosene delle pozzanghere. I più scarsi arrancano a zig zag, imprecando nel tentativo di non inabissarsi. Superfluo rivelare a quale categoria io appartenga. Non lo ricordavo così lungo questo tratto, forse perché nel 2016, oltre ad essere asciutto, si presentava all’inizio della gara: ti toglievi il pensiero subito, e avevi tutto il tempo per recuperare. Oggi, invece, riesce a prosciugare le poche energie che mi sono rimaste. A coronare la performance, a due chilometri dall’arrivo, riecco uno dei tanti acciacchi che mi hanno assillato negli ultimi tempi. Non hai niente, lo vuoi capire o no? Intanto, col traguardo lì a un soffio, mi asfaltano due atlete arrivate chissà da dove.


Delusione al top. Contavo di terminare la stagione in bellezza, per ripartire con slancio. Invece chiudo con la coda tra le gambe – gambe, tra l’altro, fuori uso fino a chissà quando. Avrei fatto meglio a conservare il bel ricordo dell’anno scorso, anziché cercare  improbabili conferme. Come se non sapessi che le maggiori soddisfazioni sono quelle del tutto inaspettate. Già: come se non sapessi che nei luoghi che mi catturano non mi stancherò mai di tornare.


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