La doccia calda dopo una gara è un bene raro. Siamo talmente abituati ad industriarci in acrobatiche operazioni di asciugatura e cambio tra le nostre auto parcheggiate, che spesso non prendiamo neppure in considerazione la disponibilità di comodi spogliatoi. Eppure, quale goduria maggiore dell’arrivare a casa già pronti per le pantofole? La voce dello speaker, al piano di sotto, segnala che sono iniziate le premiazioni, meglio sbrigarsi per non farsi richiamare.
Sì, sarò premiata in maniera ufficiale: dovrei quindi essere estremamente soddisfatta. Eppure, neanche stavolta riesco ad sentirmi pienamente appagata dalla mia prestazione. Il mio presidente, indaffarato nell’organizzazione, mi chiede se sia arrivata terza. No, rispondo, seconda. Seconda?! Allora cos’è quella faccia?! Già, cos’è questa faccia? Cosa volevo? Cosa avrei potuto ottenere di più?
Lungi da me l’idea di poter vincere, questo è territorio delle forti podiste toscane dalle quali non si sa mai cosa potersi aspettare. Oggi la partecipazione è piuttosto scarsa, ma non manca la nostra atleta di punta che, seppure infortunata, non può esimersi dal guadagnarsi il ricco (?) premio per la vincitrice. Insomma, il primo posto è già assegnato.
Appena partiti, mi trovo alle calcagna una ragazza che non conosco, avrà vent’anni meno di me e riceve forti incitamenti nei due passaggi nel centro del paese. Mi impongo di non cedere alla sfida. È qui che entrano in gioco le mie debolezze. Non devo permettere che insicurezza e scarsa fiducia in me stessa abbiano la meglio. Dopo i primi due chilometri di tira e molla, la strada volge in una bella discesa: saluto tutti e vado. Vado a più non posso, sperando che duri il più a lungo possibile, affinché il margine guadagnato mi protegga nella parte più dura – che, ci hanno già annunciato, inizierà dal quinto chilometro. Eccolo lì, dietro la curva a sinistra, il muro. Le gambe che sin qui hanno volato, ora si trovano costrette a spingere su ben altre marce. Circa un chilometro, dicevano. Devo resistere, accidenti. Accidenti a me, non ce la faccio. Il podista che mi precede smette di correre, e io faccio lo stesso. Ma che diamine? Da quando in qua ho tanti problemi in salita? Tre o quattro passi camminando, poi di nuovo di corsa. Stop and go, stop and go… Avanti di questo passo, ciao seconda posizione. Beh, in fondo il terzo posto non è così malvagio. Ehi, cosa dico? Non sarò mica l’unica a faticare? Ho superato difficoltà ben più pesanti, perché dovrei sottomettermi ad un ulteriore smacco. Mi guardo alle spalle. Eccola! Immagino la sua soddisfazione nel vedermi in difficoltà. Ma dovrà passare sul mio cadavere! Il suo compagno la incita: dai, adesso! Esatto, proprio adesso: adesso che c’è un leggero scollinamento, e io ne posso approfittare per ritrovare la giusta spinta. Le gambe girano ancora, in fondo manca poco, è il momento di dare tutto e anche di più. Un po’ di curve, tracciato mosso ma stimolante. Ottavo chilometro, ci siamo quasi. Le ultime centinaia di metri mozzano il fiato. Mi sento incollata al terreno, non oso girarmi. Dai, sei già arrivata! Tranquilla, non c’è nessuno dietro. Possibile? Non verifico e continuo a spingere con quelle poche forze che mi restano, a denti stretti, fino al traguardo.
Al suo arrivo, la ragazzina mi fa i complimenti: anche se per poco, non è riuscita a riprendermi. Jader invece mi rimprovera quando scopre che ho camminato a tratti. Ed è la critica che faccio a me stessa. Ecco perché ho questa faccia. Ho saputo difendere la posizione, è vero, ma non ho corso come avrei dovuto/potuto. Insomma, c’è sempre qualcosa che non va per il verso giusto. Ovvero, ci sono molte cose da perfezionare. Vediamola così: ho discreti margini di miglioramento. A dispetto di tutto e di tutti, continuo a crederci.
Sì, sarò premiata in maniera ufficiale: dovrei quindi essere estremamente soddisfatta. Eppure, neanche stavolta riesco ad sentirmi pienamente appagata dalla mia prestazione. Il mio presidente, indaffarato nell’organizzazione, mi chiede se sia arrivata terza. No, rispondo, seconda. Seconda?! Allora cos’è quella faccia?! Già, cos’è questa faccia? Cosa volevo? Cosa avrei potuto ottenere di più?
Lungi da me l’idea di poter vincere, questo è territorio delle forti podiste toscane dalle quali non si sa mai cosa potersi aspettare. Oggi la partecipazione è piuttosto scarsa, ma non manca la nostra atleta di punta che, seppure infortunata, non può esimersi dal guadagnarsi il ricco (?) premio per la vincitrice. Insomma, il primo posto è già assegnato.
Appena partiti, mi trovo alle calcagna una ragazza che non conosco, avrà vent’anni meno di me e riceve forti incitamenti nei due passaggi nel centro del paese. Mi impongo di non cedere alla sfida. È qui che entrano in gioco le mie debolezze. Non devo permettere che insicurezza e scarsa fiducia in me stessa abbiano la meglio. Dopo i primi due chilometri di tira e molla, la strada volge in una bella discesa: saluto tutti e vado. Vado a più non posso, sperando che duri il più a lungo possibile, affinché il margine guadagnato mi protegga nella parte più dura – che, ci hanno già annunciato, inizierà dal quinto chilometro. Eccolo lì, dietro la curva a sinistra, il muro. Le gambe che sin qui hanno volato, ora si trovano costrette a spingere su ben altre marce. Circa un chilometro, dicevano. Devo resistere, accidenti. Accidenti a me, non ce la faccio. Il podista che mi precede smette di correre, e io faccio lo stesso. Ma che diamine? Da quando in qua ho tanti problemi in salita? Tre o quattro passi camminando, poi di nuovo di corsa. Stop and go, stop and go… Avanti di questo passo, ciao seconda posizione. Beh, in fondo il terzo posto non è così malvagio. Ehi, cosa dico? Non sarò mica l’unica a faticare? Ho superato difficoltà ben più pesanti, perché dovrei sottomettermi ad un ulteriore smacco. Mi guardo alle spalle. Eccola! Immagino la sua soddisfazione nel vedermi in difficoltà. Ma dovrà passare sul mio cadavere! Il suo compagno la incita: dai, adesso! Esatto, proprio adesso: adesso che c’è un leggero scollinamento, e io ne posso approfittare per ritrovare la giusta spinta. Le gambe girano ancora, in fondo manca poco, è il momento di dare tutto e anche di più. Un po’ di curve, tracciato mosso ma stimolante. Ottavo chilometro, ci siamo quasi. Le ultime centinaia di metri mozzano il fiato. Mi sento incollata al terreno, non oso girarmi. Dai, sei già arrivata! Tranquilla, non c’è nessuno dietro. Possibile? Non verifico e continuo a spingere con quelle poche forze che mi restano, a denti stretti, fino al traguardo.
Al suo arrivo, la ragazzina mi fa i complimenti: anche se per poco, non è riuscita a riprendermi. Jader invece mi rimprovera quando scopre che ho camminato a tratti. Ed è la critica che faccio a me stessa. Ecco perché ho questa faccia. Ho saputo difendere la posizione, è vero, ma non ho corso come avrei dovuto/potuto. Insomma, c’è sempre qualcosa che non va per il verso giusto. Ovvero, ci sono molte cose da perfezionare. Vediamola così: ho discreti margini di miglioramento. A dispetto di tutto e di tutti, continuo a crederci.
3 commenti:
Tanti complimenti per il risultato e per la "soggettiva" della gara... davvero ottimo il resoconto! :-)
complimenti.
Grazie Nino, e grazie "Anonimo" (mi spiace non sapere il tuo nome)
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