L’ultimo film di Gianni Zanasi ci regala un Valerio Mastandrea davvero irresistibile: le sue espressioni spontanee e accattivanti suscitano ilarità e commozione allo stesso tempo.
Direi una banalità se affermassi che il personaggio sembra cucito proprio su di lui – del resto, non ho ancora individuato un ruolo nel quale questo attore non si calasse perfettamente. Certo, l’insicurezza, la timida spavalderia, la rude dolcezza che esprime il protagonista di questo film sono resi con superlativa intensità, e difficilmente riuscirei ad immaginare un altro volto o una diversa fisicità in quei panni.
Ciò che maggiormente colpisce in questo film è la delicatezza con la quale si mescolano e si sovrappongono i toni del dramma e quelli della commedia: si ride di gusto, ma con un fondo di amarezza. Una scena, in particolare, è a mio avviso tra le migliori viste al cinema negli ultimi anni: la madre del protagonista gli confessa una verità decisamente pesante; lui, visibilmente sconvolto, si chiede perché tutti vogliano essere ad ogni costo sinceri. Non eravamo più felici quando ci dicevamo un sacco di bugie?
Un accenno alla trama.
Stefano Nardini, leader di un gruppo rock punk di decaduto successo, lascia Roma per cercare rifugio nel nido familiare, sulla costa romagnola. Qui ritrova la madre alle prese con sintomi di depressione; il padre, imprenditore in pensione, spettatore inconsapevole del declino della propria azienda; il fratello, incapace di divincolarsi tra il fallimento del proprio matrimonio e quello dell’azienda stessa; la sorella, che cerca di estraniarsi da tutti dedicandosi al suo lavoro con i delfini. Situazioni imbarazzanti e drammatiche costringono il musicista a rimettersi in discussione e ad assumersi nuove responsabilità, nell’intricata precarietà del lavoro, degli affetti, dei legami stessi.
Ottimo il cast, intelligenti i dialoghi, brillante la sceneggiatura. Un film decisamente da applauso.
Unica nota dolente: Mastandrea non era presente all’anteprima… Vabbè, non si può avere tutto.
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