Dopo l’esperienza di Reggio Emilia, che timore poteva incutermi un po’ di pioggia? In fondo, si trattava di correre solo una mezza maratona… Certo, la prestazione ne avrebbe risentito ma, non sapendo né cosa potevo aspettarmi, in questa fase dell’allenamento, né quali avversarie mi avrebbero soffiato sul collo, non avrebbe avuto senso allarmarsi più di tanto.
Serena e determinata, sono entrata con convinzione e grinta nell’atmosfera della gara – la prima vera prova della stagione. L’anno scorso mi stavo ancora leccando le ferite, quindi avevo saltato l’appuntamento. Quello precedente, per la prima volta in quattro anni, avevo mancato il podio. Ora, non potevo deludere – né deludermi.
La pioggia è leggera ma insistente. Non me ne curo, così come provo a non curarmi delle solite facce che incontro. Lo so, sono un orso, ma non ho voglia delle solite domande e dei soliti discorsi: rispondo ai saluti e proseguo innanzi. Che c’è di male? Sono concentrata, ecco tutto. Non ho ancora scorto individui pericolosi, a parte quelli (o meglio, quelle) che si contenderanno la prima posizione. Il terzo posto resta un incognita…
Il tempo di riscaldarmi (e bagnarmi), un sorriso al fotografo, e via!
Non vedo i chilometri, non so a quanto sto andando. La partenza, per me, è sempre da panico: attenta a non farmi travolgere, pronta a superare chi intralcia, preoccupata per le strane sensazioni di scarsa coordinazione che sistematicamente percepisco. Ma, una volta trovata la strada, restiamo solo io e il mio respiro.
L’asfalto bagnato è un’ insidia, così come pure le gocce che picchiettano gli occhiali; per non parlare della fastidiosissima aria che rema contro. Come sto correndo? Non saprei, ma questo è tutto quanto riesco a dare. Intanto, so di essere terza. La sfida, a questo punto, è con la posizione: dovessi lottare con la più violenta delle bufere, non devo lasciarmela sfuggire.
Non mi volto indietro, mai. Un po’ per paura, un po’ per non mostrare segni di cedimento. Non so nemmeno se sto rallentando o mantenendo il ritmo, tanto le indicazioni chilometriche sono tutt’altro che affidabili. Quanto più la fatica si fa sentire, maggiormente invoco i miei mantra: le urla di Antonio e le dune del Sahara, l’incitazione della folla a New York (Go, Vale! Go!) e gli occhioni di Cleopatra.
Jader mi aspetta al traguardo, ha la febbre ma non ha voluto lasciarmi sola. Gli riporto dunque quel sorriso di un’ora e mezzo fa. Certo, fossi arrivata più presto sarebbe stato meglio. Ma ci sarà tempo per rifarsi. Smetterà di piovere, prima o poi!
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