domenica 9 ottobre 2011

Zena, Savigno e dintorni

Il lungo è un’esperienza mistica: un confuso monologo interiore scandito da ritmo del respiro, un flusso di (in)coscienza che affastella immagini, pensieri, sensazioni. C’è sempre un po’ di apprensione nell’approccio: l’impresa richiede un notevole impegno di forze fisiche e mentali la cui gestione non ha nulla di scontato. La compagnia può aiutare, c’è chi non può farne a meno. Non io. Questione di abitudine, o di indole – certe bestiacce o si sa come prenderle, o meglio lasciarle perdere. Oggi mi lascio perdere. E lascio perdere anche gli scaffali da svuotare e le scatole da riempire: a Jader l’incombenza. Stamattina va così. E non è che la cosa mi entusiasmi. Con tutto quello che c’è da fare, penso solo a correre: e mentre corro, penso a tutto quello che c’è da fare. Parto malissimo. Fatico a carburare e mi sento immediatamente fuori giri: con queste premesse, dove credo di andare? C’è vento, ovviamente contrario. Se sforo anche solo di un secondo mi altero, così rischio di scoppiare subito. Non va, non dovrei essere qui, non avrei nemmeno dovuto iscrivermi: come si può pensare ad una maratona, nel bel mezzo di un trasloco? Smettila, e vai forte! Se non ci fossi tu… Beh, a dire il vero oggi manchi davvero. Anzi, è in assoluto la prima volta che non mi segui in un lunghissimo. Già ti sento: Come è andata? La mia risposta può essere una sola, e devo portartela a casa con entusiasmo.
Le gambe cominciano a sciogliersi. Chissà, forse ci voleva la salita per risvegliarle. Questo è il tratto più impegnativo, fino al giro di boa c’è parecchio da faticare. Ma è come se fossi spinta da nuova energia. Succede, nel lungo. All’inizio si arranca, si vorrebbe avanzare subito a perfetta andatura, ma la partenza repentina non lo consente. È che, in prospettiva di tanti chilometri,  il riscaldamento diventa un optional. Come in rodaggio, si sbuffa per un buon tratto. Fino al varco. Non ha una linea ben definita, né è segnalato con preavviso: inaspettatamente, ti accorgi che stai correndo in scioltezza, senza curarti d’altro. Come in trance. La sfida diventa allora mantenere questo stato di grazia fino alla fine. Ecco Zena: dietrofront! Adesso è più facile, si frulla che è un piacere. Superate le salite più dure, mancano “solo” dodici chilometri, dolcemente ondulati. Sto correndo troppo bene, mi aspetto il botto da un momento all’altro. Arriverà in prossimità del cartello 5, non so perché ma lì inizia per me il tratto più ostico. Eccolo. Non succede nulla... Passo il 4, ancora tutto bene. Vedo il 3, e penso che ormai è fatta. Al 2 prendo la rincorsa, adesso c’è quella salita che mi stronca. L’1 è passato, avanti a tutta!


 
Fossi arrivata con questa spinta anche alla fine della Bologna-Savigno, domenica scorsa. Quel giorno la mia tabella prevedeva 30 km, la gara cadeva quindi a fagiolo. Ovviamente, lungi da me l' intenzione di svolgerla tranquillamente, come un qualsiasi allenamento. Impensabile: quando attacco il pettorale, scatta la molla della competizione, soprattutto se un buon piazzamento è alla mia portata.
Assaporo l’ebbrezza della prima posizione fino al sesto chilometro, quando un Ciao bella infrange i miei sogni di gloria. Come ipotizzato, ecco l’outsider che rompe le uova nel paniere. L’avessi vista alla partenza, non mi sarei illusa. Invece la forte atleta modenese che conobbi due anni fa alle Eolie (e che miracolosamente precedetti a Lucca, il mese scorso), sbuca all’improvviso, saluta e se ne va. Pazienza, cerchiamo almeno di mantenere un distacco dignitoso. Percorso infame, questo: sempre a corda tesa, finché ti abbatte definitivamente verso il venticinquesimo chilometro. Dalla regia mi avvisano che chi mi precede ha percorso l’intera salita camminando, alle prese coi crampi: potrei quindi avere qualche speranza. Mi impongo di continuare a correre, anche se l'andatura non differisce molto dal camminare svelto. È però una questione mentale: se cedo alla pendenza, mi sento sconfitta. Insisto a sfidarlo, questo Mongiorgio, ma lui è più forte di me. A poco serve, infatti, lasciarsi andare in picchiata, dopo un chilometro di agonia: al termine della discesa, sono piantata. Avverto anche un vago senso di nausea. Arriverò alla fine? Già mi vedo calpestata da tutto il mondo podistico che ho alle spalle. Cerco disperatamente immagini positive dentro di me, ma nulla riesce a liberarmi dal piombo che ho nelle gambe. Come rovinare, in soli tre chilometri, una prestazione fino a quel punto discreta... È vero, doveva essere solo un allenamento e, in quanto tale, è stato svolto alla grande. Quel finale così sofferto, però, lascia un pessimo sapore: devo addentare al più presto qualcosa di più gustoso.

domenica 18 settembre 2011

Porretta - Lizzano

Brrr, qui c’è aria da neve! Beh, forse esagero, ma scommetto che ai piedi del Corno se non nevica, poco ci manca. Quel monte è come il castello di Fata Morgana: perennemente circondato da nubi minacciose. Riuscire a scorgere la croce issata sulla cima è un evento, il più delle volte è necessario raggiungere la vetta per individuarla. È anche vero che, in giornate di raro nitore, proprio da quella vetta è possibile intravvedere il mare. Ma questa è un’altra storia - la storia di un’escursionista che ha abbandonato gli scarponi da quando un’improvvida discesa le ebbe procurato un’amara cicatrice. La passione per il trekking frantumata nell’attimo di un grido – e amplificata a dismisura quella per la corsa.

Un’altra storia, si diceva. Quella che mi porta ancora qui, sulla strade che conducono al parco del Corno alle Scale. Di nuovo a Porretta, come un mese fa, ma stavolta diretta a Lizzano – come un anno fa. La medaglia d’oro del Trofeo Alto Reno è già mia (sempre che non stramazzi lungo il percorso): partire con una certezza è un fatto eclatante, specie per chi di certezze non ne possiede pressoché alcuna. Non sia mai che questa evidenza mi tolga quel minimo di determinazione indispensabile per affrontare una gara tanto impegnativa. Figuriamoci! Una prova sotto tono abbatterebbe il mio morale, già tanto precario: non me lo posso certo permettere. In questa fase sto mettendo costantemente alla prova i miei margini di miglioramento, e l’obiettivo di oggi è portare a casa un’ulteriore conferma. Certo, se non avessero cambiato il percorso avrei un preciso punto di riferimento, limare qualche minuto al crono dell’anno scorso era infatti ciò a cui ambivo. Ma così, con un chilometro in meno, a cosa posso puntare? Al piazzamento? Parametro affatto significativo: le concorrenti sono diverse e, sicura vincitrice a parte, ne ignoro le caratteristiche. Alle mie sensazioni, forse. Ricordo una sofferenza infernale, certe salite affrontate sulle ginocchia, persino qualche tratto camminato. Eh no, stavolta di camminare non se ne parla proprio. Ho zompettato allegramente (più o meno) su rampe ben più temibili, non sarà certo una Porretta-Lizzano a mettermi in crisi! Vedremo poi la media finale, almeno quella qualche indicazione la potrà fornire.

Nemmeno stavolta ho coscienza della mia posizione, temo di essermi persa qualcuna che non ho più visto dopo la partenza. Ovviamente non mi guardo alle spalle, ma vado avanti tranquilla, ché le gambe girano bene. Il vento infastidisce meno di quanto avevo paventato, il caldo è discreto ma sopportabile: si corre piacevolmente. Devo preoccuparmi? Intendo: non sarà che queste belle sensazioni siano sintomo di una partenza avventata, che pagherò strada facendo? Ma no, non ho esagerato. Del resto, sono solo 15 chilometri scarsi, mica ci si può industriare con chissà quali tattiche. In costante salita, poi, si può solo sperare che le gambe non cedano all’improvviso. Che strano, non è dura come la ricordavo. Eppure fu proprio qui che mi bloccai di colpo, col traguardo distante anni luce. Il cartello segna 12, ne mancano due o tre? Non ho capito bene quale sia l’effettiva lunghezza di questa gara, ciò che conta è che ormai ci siamo e, soprattutto, che sono ancora sufficientemente in spinta. A breve saremo deviati verso l’arrivo, mentre i più temerari proseguiranno diritti verso il Cavone. C’è un muro da scalare prima di vedere la fine, ce la dobbiamo proprio guadagnare questa meta. Quasi travolgo i giudici, che non so cosa stiano pasticciando (tanto per cambiare…): basta che annotino correttamente la mia presenza e il mio risultato – che è di tutto rispetto.

La medaglia è davvero bellissima. La foto che la ritrae altrettanto: è stata pubblicata su tutti i giornali, sono quasi diventata famosa… Ci vuole proprio poco, è vero, ma questo poco mi aiuta a sorridere – e solo io so quanto ne abbia bisogno.


domenica 11 settembre 2011

Lucca - Campionati italiani 10 km

Era troppo caldo per correre forte, sudavo io a fare il tifo.
Questo il commento di Stefano al mio ringraziamento: il suo “Vai Vale!” mi ha illuminato, ma non è stato sufficiente a farmi volare come avrei voluto. Ho mancato il mio obiettivo per due manciate di secondi, eppure non mi sembrava di chiedere troppo. Chissà, se avessi controllato il crono sul finale, avrei forse trovato le forze per uno sprint più grintoso, guadagnando magari una posizione sulla ragazza che mi precedeva di un passo e non facendomi acchiappare da quella che mi seguiva. Ragazze, appunto, la metà dei miei anni o poco più. Incoraggiante potersi ancora confrontare con tanta gioventù. Interessante, d’altro canto, confrontarsi con il top delle atlete. Beh, in questo caso parlare di confronto è un po’ azzardato: diciamo che si parte tutte assieme e si percorre il medesimo tragitto ma, per chi guarda, è come assistere a gare completamente diverse.
Cosa ci faccio qui? Me lo sono chiesta dall’inizio, da quando cioè il presidente ha cominciato ad accennare alla nostra partecipazione ai campionati italiani assoluti – e, sottolineo, assoluti. Devo venire anche io? A fare cosa? 10 km, distanza infernale. Bisogna correre forte dall’inizio alla fine, chi è capace? E meno male che sono solo due giri, se non altro non si rischia il doppiaggio. Spero solo di non arrivare ultima…

Partenza alle 17, che razza di orario! Detesto gareggiare di pomeriggio: tutto il giorno a pensare alla gara, tutte energie sprecate. Però, che meraviglia è Lucca, un vero peccato non potersi fermare con più calma. L’ultima volta che venni qui fu per il concerto di David - e fu anche l’ultima volta che lo vidi, sembrano passati secoli. Se allora mi avessero detto che sarei tornata in questa città per una gara podistica, avrei riso come una pazza. Oggi invece non c’è proprio niente da ridere. Cerco di convincermi che farò una gran gara, qualche volta ha funzionato – come a New York, nel magico 2005. Ero carica di rabbia e la sfogai sul mio Moleskine: “Io sono calma e farò una gran gara”, ripetuto in un’intera pagina. Non sarà stato quello, ma realizzai una delle mie migliori prestazioni. Oggi non succederà nulla di simile, sono passati quei tempi, ma voglio ancora credere di potermi stupire.
Il primo passaggio è discreto, ma è proprio adesso che il gioco si fa complicato. L’impressione è di essere ancora in spinta, in costante fase di sorpasso. Ma l’atleta a cui puntavo si allontana: ha accelerato lei oppure ho rallentato io? Gli ultimi 500 metri sono i più nervosi, una S, quindi una curva a U prima del breve rettilineo finale. Pare che, rispetto al primo giro, abbia guadagnato una quindicina di posizioni. Sarà. Sta di fatto che volevo andare più forte e non ci sono riuscita.



domenica 21 agosto 2011

Altri 5 Passi in Val Carlina

- Scusa, ma dov’è finita la prima?
- Cosa dici? Sei tu la prima!
Già, pare proprio che sia così. Eppure Greta ha salutato tutte subito dopo il via, e io non l’ho certo ripresa. Diceva che non era giornata, ma chi fa caso a simili discorsi in fase di partenza? Oggi, poi, la temperatura trasforma in delirio qualsiasi ragionamento. C’è chi sostiene che la cura migliore per guarire da un infortunio sia correrci sopra, chi dichiara che partecipa solo per rilassarsi, chi non ne ha avuto abbastanza della gara in montagna del giorno prima. Poi ci sono io, che sento ancora nelle gambe gli ultimi allenamenti, mi chiedo se abbia mangiato abbastanza e mi sforzo di stare serena, tanto non si può vincere due volte la stessa competizione.
Dai, che la salita più dura è finita. Scuoto la testa, ho già esaurito le riserve, stavolta non arrivo alla fine. Un muro infinito a inizio gara può stroncare anche le migliori intenzioni, soprattutto quelle di chi conosce il seguito del percorso: se sono morta adesso, come potrò affrontare il tratto di vera montagna che incombe a metà via? Almeno riuscissi a ritrovare un assetto decente, invece di barcollare come se mi mancasse il terreno sotto i piedi. Coraggio, è solo una fase di transizione, sai bene che la variazione di pendenza condiziona l’andatura: questo po’ di discesa inizierà presto a produrre i suoi effetti, così potrai recuperare e attaccare con grinta le prossime rampe.
Ecco la prima donna! Cari, peccato che vi siate persi un passaggio. Capita. Essere seconda è già una grande soddisfazione, ma la strada è ancora tanta e le avversarie sono notevoli: insomma, sarà sofferenza fino all’ultimo metro. Le ondulazioni consentono di mantenere un buon ritmo, un barlume di lucidità mi fa persino apprezzare il paesaggio ameno. Godrò di meno sul sentiero per stambecchi che stiamo ora imboccando. Il podista che mi precede continua a correre, io lo tallono pur camminando: imito le skyrunner viste in TV, se lo fanno loro avrà senz’altro un senso. Meglio poi fare attenzione a dove si mettono i piedi, tracciato troppo esposto per i miei gusti. Meglio anche non alzare lo sguardo: non scorgendo la fine del tunnel si rischia di cedere allo sconforto. Ogni tanto azzardo qualche passo di corsa, giusto per non dire che ho sempre camminato. Sento delle voci, è arrivato il mio giorno o stiamo per uscire dal bosco?
Grande Vale! Dai, che il peggio è passato. Puro ossigeno il tifo personalizzato… Il giro di boa mi permette di individuare le inseguitrici, il distacco è abbastanza importante, ma non saprei dire se possa ritenersi definitivo: c’è ancora da penare parecchio. Appena un attimo di respiro poi si riprenderà a salire, con tanto di ulteriore tratto montanaro, stavolta arricchito da una “bella” discesa. La corro tutta, incredibile. È breve, lo so, l’asfalto è lì che mi aspetta: curva a sinistra poi giù in picchiata. Uno sguardo oltre la mia spalla, nessuno in vista: che sia al sicuro?
Ecco la prima donna! Ancora? Ho già sentito tante volte questa esclamazione, vuoi proprio che siano tutti accecati? Se insistono finirò col crederci…
Strade trafficate, segno che siamo ormai prossimi all’arrivo. Deviati su una traversa secondaria, troviamo ancora qualche saliscendi. Mi sorprendono le forme della chiesa di Lizzano, che noto dall’alto: hanno un ché di orientaleggiante, non l’avevo mai constatato prima. A dire il vero, non avevo mai individuato neppure la chiesa, o forse ne ho perso memoria. Sfinita come sono, è già tanto se ricordo il mio nome. Sento nuovamente delle voci, e vedo gente: forse è davvero la volta buona.
Ecco la prima donna! Editto che suona ufficiale. È dunque vero: ho vinto io, anche quest’anno. Bel mistero. Mi fiondo sulla fontana, l’acqua fresca lava tutte le perplessità e allevia le fatiche: i “mai più” di pochi minuti fa scorrono e vanno. Restano solo i sorrisi di chi oggi esprime radiosa contentezza.

domenica 7 agosto 2011

Porretta

Quando su di te pesano troppe aspettative, diventa estremamente facile deluderle. Non è che, avendo vinto due gare consecutive, risulti automatico vincere anche le altre. Beh, e perché no? Nemmeno a Vidiciatico credevi di farcela. Chi ci sarà mai oggi? Non lo so, ma meglio evitare illusioni: troppe atlete che non conosco, potrebbero benissimo essere tutte più forti di me. È vero, stamattina sono un po’ spenta: sarà l’intontimento causato dalla dormitina fatta in auto, sarà la consapevolezza che non si può sempre essere al top, o sarà forse che ultimamente mi vedo un mostro. Fosse anche semplicemente la solita scaramanzia pre-gara, una cosa è certa: il mio obiettivo è migliorare il tempo realizzato l’anno scorso, a prescindere dal piazzamento. Ovvio che mi interessi anche quest’ultimo, come negarlo? Ma è su di me che devo essere concentrata.

Concentrazione che vacilla quando, proprio nel momento di tregua, al termine del primo terribile tratto in salita, un’agile atleta mi spodesta dalla terza posizione. Il miraggio del podio svanisce miseramente. Una più tosta a questo punto avrebbe detto: non sia mai! E sarebbe partita in quarta per riagguantare il vantaggio perduto. Io invece vorrei stramazzare al suolo, mi sembra di non avere mai fatto tanta fatica in vita mia e, come ogni volta che mi coglie questa sgradevole sensazione, penso che farei meglio a ritirarmi e che di gare simili non ne vorrò più vedere fino a chissà quando. Film già visto, che noia… Perché lasciarsi inquinare da tante scemenze, quando la ragazza è lì ad un passo. Eh sì, la discesa aiuta e io prendo il volo. Torno in carreggiata con una marcia in più. Peccato che, quando dovrò scalare nuovamente, il mio motore non ne voglia più sapere. Che delusione. Nonostante tutti i miei strabilianti allenamenti in salita, con risultati che mai avrei sognato, oggi il dislivello mi sta uccidendo. E la giovane avversaria ne approfitta. Ora posso solo sperare che si scollini il più presto possibile, ma questa rampa non finisce mai, e quando concede un attimo di respiro ecco che subito torna ad impennarsi. Ecco, ora si scende davvero: la vedo, è proprio a tiro. Ma quel briciolo di distanza che ci separa non accenna a diminuire. Una decina di secondi. Incolmabili.

Mi dispiace. È quanto mi sento di dire al mio presidente, che si aspettava certo di più. Io ho abbassato di oltre un minuto e mezzo il mio tempo su questo percorso: non è poco, su un simile tracciato. Dovrei essere pienamente soddisfatta, ma… quando mai? So di avere reso al massimo, ho dato fondo a tutte le mie forze, altre non ne avevo. Allora perché non riesco a togliermi dalla testa quel duello da cui sono uscita sconfitta? Il tarlo continua a rodere: se avessi reagito così, se avessi attaccato colà, se avessi provato a… Basta!!! Il risultato è ottimo, ti vuoi convincere? Obiettivo centrato: stai migliorando, è evidente. Alza lo sguardo, che altre mete sono all’orizzonte - e non ammettono incertezze.


domenica 10 luglio 2011

Berzantina: finalmente mia!


Resisti, resisti, resisti. È questo l’imperativo che scandisce il ritmo dei miei passi affaticati, lungo il sentiero che si inerpica nel bosco, dopo un paio di chilometri dal via. Gaetano, poco più in su, piegato sulle ginocchia, procede camminando. Capisco che, su simili pendenze, camminare svelti o correre a fatica cambi poco; si tratta però di una questione mentale: bloccare la corsa è comunque un segno di cedimento, specie se accade su un percorso già collaudato. E' quanto mi capitò l'anno scorso, e ancora non me lo perdono – anche perché significò rinunciare alla sfida per la prima posizione. Oggi ho un solo obiettivo: tagliare il traguardo con la certezza che non avrei potuto fare meglio. In fondo, non dovrei nemmeno essere qui. Risparmiamo benzina e diamo priorità all’allenamento, ci dicevamo: accontentiamoci dei bei risultati appena ottenuti e non carichiamoci di ulteriori tensioni – perché, per quanto sia, il pettorale scatena sempre qualche tempesta ormonale. Quindi, tabella eseguita alla lettera per l’intera settimana, nonostante la canicola: medio, collinare, ripetute in pianura e in salita; per riposare, lunedì una trentina di chilometri in bici e sabato una breve sgambata in tutta scioltezza, con la prospettiva di un bel giro sui colli domenica mattina.
Però, la Berzantina…Del tutto inspiegabile il mio affetto per questa gara, cosa c’entro io con la corsa in montagna? Eppure ho perso il conto di quante ne ho corse da quando, secoli fa, partecipai come non competitiva, trascinata dai compagni della mia prima società. In seguito feci l’abbonamento alla seconda posizione in classifica – che è certo un bell’andare, ma dopo un po’ ti lascia come un senso di incompiuto. C’è sempre chi va più forte, cosa vuoi farci? E non sarà diverso neppure quest’anno, inutile illudersi. Quindi evitiamo di pensarci e passiamo oltre. Però…
Sabato pomeriggio, scaricando dall’auto il cocomero appena acquistato, ho una visione: il tavolo del ristoro finale, ricco di succose fette rosse. Ecco ciò a cui maggiormente mi dispiacerà rinunciare. Giusto, allora domani si va! Sei matto? Non sono preparata, e poi è così lontano. Ma se sei in formissima, non ti spaventerà mica quella corsaccia? Dai, che facciamo un giretto... Lo ammetto: era proprio ciò che volevo sentirmi dire.
Senza preavviso, senza preparazione, senza aspettative. Correre per correre. Sono in testa, non c’è dubbio. Ignoro chi siano le inseguitrici, né ho idea di dove possano essere: mi preoccupo solo di spingere più che posso. Al primo tornante butto un occhio alle spalle: non scorgo pericoli, ma potrei ingannarmi. Restano un paio di chilometri da scalare, se non cedo qui sarà poi difficile acchiapparmi in picchiata. E’ questa l’unica gara in cui riesco a lanciarmi anche nella discesa sterrata, ma solo perché si sviluppa su una strada larga, ghiaiata ma ben battuta, e non eccessivamente ripida. Quando finalmente riprende l’asfalto, frullo come Bip Bip. Il susseguirsi di curve strette costringe a frenare, ma consente anche di verificare chi sta arrivando. Sembrerebbe tutto tranquillo, potrei magari mollare un po’ la presa, in effetti sono un po’ stanchina. Suvvia, hai tirato fino adesso, ormai arriva alla fine: e gustati l’opportunità di superare qualche maschietto, che è sempre bello cogliere il loro disappunto nell’essere sorpassati da una donna. Giù in volata prima della rampa d’arrivo: destra, sinistra, traguardo! Ho spezzato l’anatema del secondo posto e, incredibile, ho fatto vibrare il quarto WOW! Essere sola su quel gradino altissimo è quasi imbarazzante: non condivido affatto la scelta degli organizzatori di premiare come vincitori assoluti i primi tre uomini e solo la prima donna, ma non posso evitare di sprizzare gioia da tutti i pori. E pensare che non dovevo neppure essere qui…

domenica 3 luglio 2011

Vidiciatico - "Corri nel Verde"


Sì vabbè, però…
D’accordo, d’accordo, non lo dico. Confesso che il pensiero mi è sfuggito, ma affermare che ho vinto perché non c’era nessuno sarebbe irrispettoso nei confronti delle mie avversarie. E che avversarie! Sulla linea di partenza avevo già individuato la medaglia d’oro, la stessa dell’anno precedente. Ipotesi aperte sulle restanti posizioni: queste valli di confine sono facile terreno per tante atlete toscane, particolarmente agili sui percorsi montanari. Fortunatamente oggi si corre su asfalto, quindi nessuna difficoltà tranne la pendenza. Da parte mia, di salite ne sto masticando parecchie e l’ultima prova ha dato esiti più che soddisfacenti. Quindi, quale che sia il parterre, le premesse per una gara brillante ci sono tutte: devo esserne convinta dal primo all’ultimo metro.
Al via ci fiondiamo in discesa; riesco ad aprirmi un varco e supero subito le prime due atlete che mi precedevano. Quando però l’inclinazione è tale da costringermi a frenare, ecco Monica che sgattaiola agile. Non mi do per vinta, appena riesco a mollare le briglie le sono sui talloni. Presto il pendio impennerà, e allora il gioco si farà duro. La strada inizia dunque a salire: mi sento in grado di attaccare perciò non indugio e vado. Poi la pagherò, lei è indiscutibilmente più forte e, soprattutto, ha una grinta che io mi sogno. Ora però sono in vantaggio, ed è già un risultato: una bella boccata di fiducia. Questa salita, però, non da tregua. Ansimo come un moribondo, eppure sono ancora in grande spinta. Chissà, forse schiatterò di colpo, senza preavviso. Chissà… Intanto mi trovo ancora qui, e sono più i chilometri fatti che quelli mancanti. Appunto: è proprio sul finale che si subiscono le umiliazioni più dure. Non penserai davvero di poter vincere questa gara? Anzi, probabilmente non sei neppure in testa, magari c’è un’altra là davanti, tanto avanti che nemmeno la vedi. Ovvio, deve essere per forza così. Nel dubbio, però, meglio continuare a tenere alto il ritmo. Quanto vantaggio avrò? Non mi guardo mai alle spalle, neppure stavolta. A cosa servirebbe, se non a destabilizzarmi? Ho corso finora sentendomi il fiato sul collo, più di così non potrei dare. Sul finale la strada spiana, mancherà qualche centinaio di metri. Attenta alle spalle. Lo sapevo! Dai, fai frullare quelle gambe, che ne hai ancora. Curva a destra, il traguardo è là. Tanti Brava Vale accolgono il mio arrivo. Avrò mica vinto? Prima donna. Ho vinto! Arriva subito Monica, anche lei mi acclama. Rallegramenti per entrambe: entrambe abbiamo battuto la vincitrice del 2010, e non di poco! Io ancora stento a crederci. Inutile dire che avrei riso in faccia a chiunque avesse pronosticato un simile risultato. Dovevo invece dare più credito ai proverbi: il terzo WOW è affermato.
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