domenica 16 gennaio 2011

Compleanno

Il modo migliore per festeggiare il compleanno è correre una bella gara. Già, peccato che in questo periodo dell’anno la materia prima scarseggi. Com’è possibile che io sia nata nella stagione che più detesto? Chi mi sopportò nella sua pancia per nove mesi dice che, stando ai suoi calcoli, avrei dovuto farmi viva in dicembre: evidentemente non ne volevo sapere di mettere fuori la testa, col freddo che c’era. Fosse stato possibile, avrei volentieri temporeggiato per un bel po’ di tempo ancora, aspettando il disgelo, come un orso in letargo.

Consoliamoci col fatto che la ricorrenza cade di domenica, posso dunque far festa anche in assenza di appropriate celebrazioni – che, visto il momento, sono rigorosamente bandite.
Una gara, si diceva. Dunque, ci sarebbe la Classica della Madonnina, qualcosa in più di 12 km in circuito, molto partecipata e combattuta: non mi ispira affatto. Oppure, a San Bartolomeo in Bosco, la Maratonina d’inverno: corsa nel lontano 2005 col mio pacer preferito. Peccato che dell’evento ricordi solo un gran freddo: lande desolate perse nella nebbia, frustate da venti gelidi che spirano da ogni lato. Certo, la distanza si accorderebbe al mio attuale programma di allenamento. Basta però un’occhiata al volantino della gara per farmi decidere: le premiazioni discriminano la categoria femminile in modo vergognoso. A prescindere da ambizioni e/o reali possibilità di piazzamento, è una questione di principio: continuo ad indignarmi per simili scelte che, sia ben chiaro, si beffano del regolamento Fidal – e mi chiedo per quale ragione quest’ultima conceda l’omologazione a manifestazioni che non rispettano le norme da essa stessa emanate.
Escluse quindi le uniche gare abbordabili, non resta che attenersi alla tabella: un fartlek di 24km su percorso ondulato. La Val di Zena chiama, e io corro! Stavolta non da sola. Questo sì che è un evento. L’ultimo ad accompagnarmi su questo percorso fu Maurizio, qualche secolo fa. Oggi invece siamo in tanti. Troppi. Sì, perché un orso resta orso anche quando accetta di allenarsi in compagnia: in due può essere piacevole, in tre può risultare interessante: oltre è un casino. Specie quando non ci si può appropriare dell’intera carreggiata: il fondovalle è suggestivo e panoramico, ma è pur sempre una strada provinciale sulla quale è necessario procedere in fila indiana. Sembra invece che si preferisca l’ammucchiata. Da dietro mi toccano un piede, facendomi barcollare. Partiamo malissimo! Già la mattina era iniziata nel peggiore dei modi, col morale mandato nel fango da quei sporchi individui che non mi danno pace neppure la domenica: sto davvero rasentando l’esaurimento nervoso. Qualche centinaia di metri e di nuovo, stavolta quasi finisco a terra. Stai davanti tu, per favore! Dentro ribollo, ma che diamine! Già non tollero simili comportamenti in gara, come possono accadere mentre ci si sta semplicemente allenando? Alla terza volta esplodo: non inveisco perché sono tra amici, ma mi fermo di colpo e li lascio andare. La tensione accumulata sta per esplodere in pianto: cerco di ingoiare il magone, come si può correre e piangere allo stesso tempo? Dove voglio andare, in queste condizioni? Torno indietro, che è meglio. Proprio oggi che corre anche Jader… Al diavolo! Cosa ci eravamo detti? Oggi devi svolgere il tuo allenamento, senza guardare in faccia a nessuno: così deve essere. Gli altri sono più lenti, o forse si stanno risparmiando per un allegro finale. Non mi importa. Faccio un po’ di variazioni. E parto. Tre minuti a perdifiato, annaspo ma non cedo. Mi aspetto di essere raggiunta nel tratto di recupero. Invece no, sono ancora sola. E sto da dio! Ho superato anche la crisi emotiva e mi sento più carica del solito: due settimane fa, stesso luogo e medesimo allenamento, ho mollato la presa in più di un’occasione. Oggi, invece, vado via liscia, tanto da sorprendere un anziano ciclista che, incuriosito dal soggetto, decide di scortarmi. Stai facendo i 16, esclama. Bene, rispondo – Figuriamoci, dico tra me. Mi chiede dove sia il traguardo, pensa forse che stia gareggiando? Al dodicesimo, rispondo. Mi avvisa che gli altri sono a cento metri, boh… Ho detto 16, ma erano quasi 17. Sì, come no, su questo percorso, poi! E adesso stai recuperando. Buffo avere un tifoso mentre ci si allena. Dopo ogni commento si allontana, proseguendo per la sua strada, suppongo. Lo ritrovo invece di lì a poco, fermo ad aspettarmi, per un nuovo incitamento. Ancora due chilometri. La notizia che da lì tornerò indietro lo spiazza e mi fa guadagnare ulteriori punti. Eccomi dunque al punto critico, il temibile strappo del dodicesimo chilometro. Nulla di drammatico, si tratta solo della salita più dura del percorso, tutto sommato abbastanza corta. Si fa comunque sentire – e la massima soddisfazione, in questo tratto, è sorpassare qualche ciclista che sta schiattando sui pedali. Il ciclista che sta invece superando me, ora, è un ambasciatore dei miei compagni di allenamento: Scusami, mi hanno detto di informarti che sono tornati indietro. Chissà perché, la notizia mi dà un’ulteriore spinta. Trovo il fiato per ringraziarlo e per allungare a testa bassa fino alla cima: dove mi aspetta il mio fan, che si complimenta e mi saluta – stavolta definitivamente.
Già a metà o solo a metà? Non saprei dire. Ho perso il conto delle variazioni, ma ho ancora energie per affrontarne altre. Dodici chilometri sono un’inezia, poi stanno aspettando solo me quindi devo sbrigarmi. Soprattutto, devo arrivare in splendide condizioni e sentire l’applauso. D’accordo, non esageriamo. Ma questa insolita fiducia nelle mie forze non può passare inosservata. Specie considerando che stavo per mandare tutto all’aria (per non dire tutti a quel paese), dopo neanche cinque chilometri di corsa. Mai come oggi è valso il motto “meglio soli”… Sono un asociale, lo so. Ma se voglio trotterellare in allegria, vado ad una tapasciata qualsiasi, dove il bello è proprio chiacchierare a destra e a manca senza curarsi del cronometro. Sugli allenamenti “veri”, invece, non transigo: devo attenermi al mio schema e non ammetto interferenze. Proprio così. Io, la donna più scombinata di questa terra, che non riesce a mantenere l’ordine nemmeno sul comodino, per quanto riguarda la corsa ho bisogno di seguire binari ben delineati. In fondo, non è poi così contraddittorio. Sono troppo ingarbugliata e, soprattutto, insicura per potermi gestire in scioltezza: necessito di linee guida. Magari da contestare, eventualmente da modificare, addirittura da stravolgere se necessario. Ma guai a chi mi tocca la tabella. Per non parlare di chi mi tocca i piedi!
Ecco il chilometro 3. Ormai è fatta. Gli ultimi due sono ondulati quanto basta da spezzare le gambe, che a questo punto hanno accumulato un discreto carico di stanchezza. Ma il cartello che segnala la fine dell’allenamento non è più un miraggio, e l’idea è sufficiente a fare emergere le ultime risorse – ed è quasi come tagliare il traguardo di una gara.

Bene, è andata molto bene. Siamo tutti soddisfatti, meglio di così?!...
So che mi aspetta una giornata triste, e che non mancheranno altre crisi di pianto. Per quasi due ore, però, sono stata padrona di me stessa e al comando della situazione. Lampi di vitalità che illuminano un periodo nero: vedere la luce mi fa sperare che il buio si possa presto dissolvere. Una volta per tutte.

6 commenti:

Daniele ha detto...

Non male per un orso. Continua a tenere a bada gli artigli, mentre ti aggrediscono alle caviglie: non tutti sono dotati delle necessarie difese naturali.

Arrrgghhrrrzzzz!! ("auguri" in orsesco, ça va sans dire)

Doc ha detto...

Sei troppo forte!!
Auguri. Di cuore!
Fede

Vincenzo DI GENNARO ha detto...

Ciao Vale, mi ero perso il tuo compleanno. Ti faccio tanti auguri

Valentina ha detto...

Scusate si vi ringrazio con tanto ritardo...

nino ha detto...

anch'io ho letto il post soo adesso.
auguri (meglio tardi che mai)

Valentina ha detto...

@ Nino, li accetto sempre volentieri! Grazie

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