Correre n. 291 - Gennaio 2009
La sveglia segnava le 5,30. Era dunque passato solo un quarto d’ora dall’ultima volta che l’aveva guardata. Ed era forse la decima, da quando si era coricato, che controllava quanto mancasse al farsi del giorno. Il gran giorno: quello atteso da mesi, da mesi sospirato e paventato. Mesi consumati sui libri, affogato da nozioni e citazioni, in una accesa disfida tra intelletto e memoria.
Stanco di rigirarsi nel letto, Luca si avvicinò alla finestra, attratto dai bagliori dell’alba che avanzava timidamente, stemperando l’oscurità. Il suo sguardo si posò su una figura che fendeva il chiarore, una sagoma femminile che incedeva rapidamente sul sentiero del parco cittadino: una ragazza che correva. Folle! Solo un pazzo può pensare di correre ad un simile orario.
Rimase alcuni istanti basito, in contemplazione di quell’immagine tanto assurda ai suoi occhi, per poi tornare ai pensieri che avevano reso insonne la notte appena trascorsa.
Ansia e palpitazioni, sguardi che scrutano e voce che trema. Poi, finalmente, la liberazione. Ricca e corposa come un trenta e lode.
Felice e spossato, Luca si lasciò cadere sul letto ormai privo delle spine che l’avevano tormentato solo poche ore prima. Chiuse gli occhi e si abbandonò ai fotogrammi della giornata che scorrevano veloci e confusi nello schermo della sua mente. E rivide quella bizzarra fanciulla che correva nella penombra. In fondo, con lei aveva iniziato la giornata, lei era stata la prima impressione del mattino, la scossa che aveva rinvigorito i suoi sensi storditi da troppa agitazione. Insolito e curioso, quell’incontro gli aveva portato fortuna.
L’esame superato brillantemente non fu sufficiente a placare le ansie di Luca. Ne aveva ancora due da sostenere entro il mese successivo, senza contare la tesi da concordare quindi tutti i colloqui con professori e relative segreterie. Insomma, niente sogni d’oro per chissà quanto tempo. Al contrario, era come se il suo orologio interno avesse incorporato una sveglia che squillava ogni mattina verso le cinque. Non provava nemmeno a riprendere sonno, preferiva ciabattare verso la finestra alla ricerca di una sferzata di energia.
Eccola! Non aveva mancato neppure un mattino. Quel passo agile e scattante non temeva il clima rigido e nemmeno la pioggia. Trovarla ogni giorno, al suo risveglio, rappresentava per Luca una garanzia. Aprire gli occhi sulla “folle” che correva al freddo e al buio era ormai una necessità: se corre anche oggi, sarà una buona giornata.
L’avanzare dell’inverno e il ridursi delle ore di luce aveva ridimensionato anche la stanza di Luca, ridotta ormai al solo angolo sempre illuminato: quello riservato a sedia, scrivania e lampada - costantemente accesa sui libri. La finestra offriva appena un fugace spiraglio, e di tanto in tanto Luca vi gettava lo sguardo, concedendo un po’ di respiro ai suoi occhi. Gli capitava anche di perdere completamente la concentrazione: si staccava dai tomi, gironzolava un po’ in casa, per finire poi a contemplare il parco. Il vicino col cagnolino era il frequentatore più assiduo dei sentieri alberati. Qualche passante, alcune mamme con bambini a passeggio, raramente qualcuno che correva. Lei no, mai in piena luce. Lei era l’appuntamento dell’alba, a lei era dedicata l’ora dell’oblio, quella in cui ancora indefinita è la distanza tra sogno e realtà, lei era il sorriso del buongiorno. Non poteva più farne a meno. Se corre anche oggi, sarà una buona giornata.
Il lento scandire di date sempre uguali fu interrotto da una speciale esplosione: lo sfogo gioioso di un altro esame superato. Il suo amuleto aveva funzionato ancora una volta. E funzionò anche nell’ultima prova, con l’ennesimo “trenta” a segnare la parola fine sul suo libretto universitario. Cominciava una nuova stagione, concentrata sulla tesi: ricerche, appunti, pagine scritte e riscritte. Incollato nel suo spicchio di stanza, sotto uno spicchio di luce, accanto ad uno spicchio di cielo. Cielo anch’esso adeguato alla nuova stagione: corrugato e lattiginoso, torbido e imprevedibile. Tipico di quelle giornate crude in cui pare che tutto possa succedere; clima ambiguo, sospeso tra squarci di sole e nubi minacciose. Malinconico e inquieto, l’inverno, con quella atmosfera tra il sospeso e l’ostile. Ora più che mai, la corsa “folle” gli era necessaria. Se corre anche oggi, sarà una buona giornata.
Fu in una di quelle notti rigide che Luca si svegliò con un’anomala agitazione. Un silenzio insolito, calmo e ovattato, trasmetteva cupi presagi. Cercò risposte rivolgendosi alla finestra, che gli confermò, con pallidi riflessi, i suoi timori. Sul parco giaceva una candida coltre che si andava via via ispessendo, arricchita dai fiocchi che continuavano a cadere placidi ma inesorabili. Come ipnotizzato dalla danza regolare dei fulgidi cristalli, non si rese conto che il “loro” momento ora era ormai passato. Solo quando notò il cane del vicino, scatenato nella rincorsa alle migliaia di farfalline di neve, realizzò che la sua “folle” podista, quella mattina, non aveva calpestato il sentiero. Fu invaso da uno sconforto che non sapeva definire, una sorta di delusione mista a rabbia, mista a tensione, mista a sconcerto. E adesso? Se corre anche oggi, sarà una buona giornata. Già, ma se non corre? Si rese conto, per la prima volta da quando aveva avuto inizio la loro ininterrotta serie di incontri, che di lei non conosceva nulla. Non aveva la benché minima idea di chi fosse quella sorta di folletto, per lui non aveva un nome, né un’età, né una casa. Come non fosse mai esistita. L’aveva forse solo immaginata?
Il mattino seguente si appostò con largo anticipo al solito posto, sperando si fosse trattato di un’assenza sporadica e che tutto avrebbe ripreso regolarmente il suo corso. Se corre anche oggi, sarà una buona giornata. Il parco completamente innevato, però, rendeva alquanto flebili le aspettative di Luca. Infatti nessuno, a parte il solito cagnolino, giunse a violare il manto immacolato. Un altro giorno senza di lei, un’altra incognita sulla qualità delle ore a venire.
Indossò giacca e scarponi quindi rovistò in cantina, alla ricerca di qualcosa che assomigliasse ad un badile - suo padre doveva pure avere qualcosa del genere. Se avesse liberato il sentiero dalla neve, magari la ragazza avrebbe ripreso a correre.
Fiero e fiducioso, il giorno successivo attese il suo passaggio, certo che la terribile fatica sostenuta per lei l’avrebbe ripagato. Nulla. Forse per colpa del ghiaccio formatosi nella notte. Sale, occorreva cospargere il sentiero di sale, magari verso il tramonto, prima che si abbassasse troppo la temperatura.
Chi lo vide, quella sera, dovette pensare che fosse un addetto al servizio stradale. Fortunatamente non era tanto conosciuto nella zona, perciò nessuno osò commentare il suo operato. Nessuno tranne una voce, che lo sorprese con tono allegro e squillante: Grazie! Finalmente qualcuno ci ha pensato.
Restò incantato davanti a due occhi che non aveva mai visto, ma che credeva di conoscere da sempre. Due occhi vivaci e curiosi, forse appena arrossati dall’aria pungente, di certo stupiti dalla strana figura immobilizzata al loro cospetto. Rigido come un pupazzo di neve, Luca non riusciva a fare altro che restarsene impalato, col badile in mano, a fissare quella ragazza.
Beh, grazie ancora e buona serata.
Se ne andò così. Con lo sguardo di Luca ad inseguirla. Incredulo. Non sapeva se ridere o piangere. L’aveva finalmente incontrata e non era stato capace di aprire bocca. Un’occasione perduta, e già pensi alla prossima volta, aveva detto qualcuno. Già, ma quale prossima volta?
Se corre anche oggi, sarà una buona giornata. Se corre anche oggi, sarà una buona giornata. Se corre anche oggi, sarà una buona giornata. Avrebbe funzionato. Il sentiero era pulito, il sale l’aveva preservato dal ghiaccio, e lei l’aveva ringraziato. Non ci potevano essere dubbi.
Eccola! Mentre avanzava veloce nel parco, gli parve persino di vedere i suoi occhi brillare. L’aveva resa felice, ne era certo. E lei lo ripagava tornando sui suoi passi, mantenendo fede al loro appuntamento, regalandogli finalmente un magnifico risveglio. Non sapeva ancora nulla di lei, ignorava sempre cosa lei avrebbe fatto una volta finito il suo allenamento, come trascorresse il suo tempo, con chi fosse solita cenare, chi le augurasse la buona notte. Ma, in fondo, questi erano solo dettagli. Aveva ripreso a correre, ecco cosa contava. Contava che si fossero ritrovati. Magari un giorno sarebbe sceso anche lui, nel parco, sul fare dell’alba. Magari con le scarpette da corsa, chissà. Chissà, un giorno avrebbe anche lui finito per appassionarsi alla corsa. Un giorno, forse.
1 commento:
Ciao Vale! dal sito dei Blogtrotters ho scoperto il tuo Blog, benvenuta! Ti auguro un 2009 ricco di km e soddisfazioni!!!
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