venerdì 30 novembre 2007

Intervento Cleopatra

Tremava tutta. Non piangeva, non si agitava: stava accucciata nella gabbietta, vigile e silenziosa. E tremante. Avrei voluto leggere i suoi pensieri mentre mi guardava uscire dall’ambulatorio.
Ormai dovrebbe essere finito, l’intervento sarà ormai concluso e lei, mi auguro, starà dormendo. Tra poco chiamerò per chiedere come sta. Poi dovrò far passare tutto il pomeriggio prima di riaverla con me.
Stasera overdose di coccole, piccola mia.

lunedì 26 novembre 2007

ridimensionarsi

È vero, mi ero un po’ illusa.

Sarà stata l’euforia di Venezia, o il piacere di avere “ritrovato” il mio allenatore, oppure il benefico effetto di una settimana di scarico. Di fatto, la preparazione per la seconda maratona è iniziata con un’agilità e una brillantezza sorprendenti, su ritmi che non sostenevo da tempo immemore.
Ora, i carichi si fanno sentire e la fatica pure. Non ero più abituata a certi lavori e in poche settimane non è facile riassestarsi su determinati schemi. Così, dovrò accontentarmi di un miglioramento inferiore alle mie speranze. Insomma, quel malefico muro è ancora troppo solido per essere abbattuto.
Poco male. Darò comunque il massimo, e chissà che non venga fuori qualcosa di inaspettato. Correrò per me stessa, per trovare un po’ di quella sicurezza che non mi basta mai. Ma correrò anche per Jader, che palpita per tutta la durata delle mie gare, temendo di non vedere il mio sorriso all’arrivo. Correrò per Cleopatra, che venerdì dovrà essere operata per poter così tornare a giocare con noi. E correrò anche per Piero, che purtroppo dovrà rinunciare alla gara.
Beh, le spinte non mancano. Non vedo l’ora di partire!

lunedì 19 novembre 2007

Maratonina del Garda

Cominciamo dalla fine: un scarsissimo 1h30, ben lontano da ogni aspettativa.
Che dire? Capita. Capita che gli allenamenti facciano sperare in risultati che, poi, non si realizzano. Capita che quel giorno troppe cose non vadano per il verso giusto e quindi bisogna accontentarsi di esiti mediocri.
Devo però dirlo: che brutta gara! In tutti i sensi. Non è mia abitudine andare a cercare i minimi difetti, so bene che cosa significhi organizzare una corsa. Quando però mi trovo a subire plateali carenze, non posso tacere il mio disappunto.
Stendiamo un velo sul caos nella consegna dei pettorali e sulla mancanza di spogliatoi e servizi igienici. Ma come giustificare il ritardo della partenza? Pare che, alle 10, non fosse ancora stata sistemata la pedana di rilevamento chip. Fatto sta che chi si era sistemato nelle griglie a tempo debito ha dovuto sostare almeno una ventina di minuti al gelo, con ovvie conseguenze psico-fisiche.
Veniamo poi alla zona arrivo. Tutto allestito all’interno di un immenso capannone della struttura fieristica. Peccato che fosse disponibile un solo accesso, sia in entrata che in uscita: da panico. Chi poi avesse avuto intenzione di sciacquare le fatiche con una doccia corroborante, avrebbe dovuto fingere di essere in spiaggia, poiché le docce erano all’aperto!
Quanto a me, ho sofferto il freddo, l’imbottigliamento dei primi chilometri e il percorso tortuoso e ondulato - con la salita finale a spezzare gambe già sufficientemente provate. Ho pensato più volte di ritirarmi, specie quando mi sono trovata esposta ad un vento gelido che temevo di non riuscire a tollerare. Invece ho stretto i denti e sono andata avanti, per quanto consapevole di non poter realizzare il tempo sperato. Se a Venezia avevo corso con la mente già alla prossima maratona, ieri il pensiero ricorrente, per quei dannati 21 km, era “con oggi, basta.”
Fortunatamente, come spesso succede, grazie al calore di parole rincuoranti, qualche minuto dopo l’arrivo avevo già cambiato idea. E mi sono convinta che, tutto sommato, non è andata poi così male. Archiviata come un allenamento, chiudo la parentesi e vado avanti. Determinata e fiduciosa. La grinta e la brillantezza delle ultime settimane non possono essere stati un episodio. Go, Vale, go!

mercoledì 14 novembre 2007

Giorni e nuvole

Tenero e angosciante allo stesso tempo.
Il crollo delle certezze, lo scontro con la realtà, la forza dei sentimenti: queste le tematiche sviluppate da Silvio Soldini nel suo ultimo film. Una vicenda di triste attualità, quella di un affermato professionista che perde il lavoro e si trova costretto a modificare il proprio stile di vita e quello della moglie, studiosa di storia dell’arte, restauratrice per passione.
Cosa succede ad una coppia agiata e serena, travolta da un simile crollo?
Il film affronta con intelligenza e delicatezza l’intersecarsi della crisi economica con quella famigliare. Dover abbandonare la casa elegante con donna di servizio, le cene raffinate, le vacanze esotiche determina tensioni che, inevitabilmente, danno sfogo a conflitti di difficile gestione. È proprio qui che emerge lo spessore umano dei personaggi, il cui legame è reso vacillante da ripetuti scossoni: l’abilità con cui si destreggiano sul filo del rasoio anima situazioni tra il grottesco e il commovente, in un continuo stato di apprensione per quanto potrebbe succedere.
Non c’è nulla di scontato in questa storia, di fatto profondamente quotidiana. Antonio Albanese e Margherita Buy sono intensi e autentici, tanto brillanti quanto commoventi.
A mio parere, è un film che lascia il segno. Diverse sono le letture che se ne possono trarre. Certo, è inevitabile domandarsi come potremmo reagire, noi, in situazioni analoghe.

sabato 10 novembre 2007

alla presentazione della Maratona di Milano

A pensarci bene, non avevo mai visto i campioni degli altipiani da vicino e, soprattutto, non li avevo mai visti indossare qualcosa che non fosse un completo da gara.
A pensarci bene, poi, io non avrei neppure dovuto essere qui, nel senso che l’evento non contemplava la mia presenza. Sono a Milano per un appuntamento con la Nike, su invito dell’amico Venuste Niyongabo. Proprio lui, nel bel mezzo della mattinata, lancia l’idea: Vuoi andare alla presentazione della maratona di Milano? C’è anche Lel…
Lel?! Vuoi dire che il fenomeno che ha tagliato il traguardo di New York quasi volando è qui? Dobbiamo andare!
Eccomi dunque nella Sala degli Arazzi del Comune. Vedo diversi volti noti, tra i quali quello di Genny Di Napoli, ormai anche lui contagiato dal morbo della maratona. E vedo, soprattutto, tre sottili figure dalla pelle nera, in elegante completo giacca e pantaloni. Confesso: non li riconosco.
Finalmente la conferenza scioglie i miei dubbi. Il dott. Gabriele Rosa, prendendo la parola, auspica un futuro importante per la maratona di questa città, sostenuta dall’Assessore e neo maratoneta Giovanni Terzi. A dimostrazione della sua fiducia, Rosa offre alla manifestazione tre prestigiosi atleti del suo team: Martin Lel, Robert Cheruiyot e Margaret Okayo ne correranno alcuni chilometri. Claudio Berardinelli, l’allenatore che segue la loro preparazione in Kenya, li presenta tracciando il profilo delle persone, oltre che dei campioni: tribù di appartenenza, famiglia e studi, amici e compagni di allenamento.
Ho l’onore di essere invitata a pranzo con gli atleti. La mia emozione, unita al fatto che giornalisti e fotografi lasciano loro a malapena lo spazio per mangiare, mi impedisce di abbozzare una sorta di dialogo. Mi limito così ad osservarli, così quieti e sorridenti. Mi stupisce la voracità con cui Lel ingoia il pane e, soprattutto, mi sbalordisce notare ciò che bevono: non acqua, nè tantomeno vino o birra. Niente di tutto ciò: questa sorta di alieni pasteggia sorseggiando allegramente Fanta! Bleahh

giovedì 1 novembre 2007

VENEZIA







Finalmente. Finalmente arrivo alla vigilia di una gara con mente serena e tanta voglia di correre. Erano anni che non provavo una simile carica positiva, anni passati a lottare con infortuni e varie negatività. Due recenti ritiri ad infierire su un programma di allenamento che non ha dato i frutti sperati. Ma ora basta. Non sono al top, è vero, ma che importa? Qui darò comunque il meglio e da qui ripartirò. Ne sono sicura.

Sbuccio una banana e mi metto in coda, per ritirare il mio pettorale. L’expo è affollato, aria pesante quasi irrespirabile, ma come mi esalta! Adoro curiosare tra gli stand, raccogliere omaggi, magari incontrare facce conosciute. Chiacchiere, tante chiacchiere, e sorrisi e abbracci. Mi sto divertendo, anche se non dovrei stare tanto in piedi, anche se rischio di stancarmi troppo. Ma cosa farei se non fossi qui? Passerei il pomeriggio a misurare il tempo che scorre, pensando alla gara fino a farmi venire mal di testa.
Ecco, non lo dovevo nominare. Il mal di testa mi attacca violentemente durante il sonno, la notte. Sarà il caldo esagerato della camera, o la strapazzata del pomeriggio, oppure la tensione che, nonostante tutto, si fa sentire. Mi addormento e mi risveglio di continuo, mi dico che passerà, che non è niente, ma la preoccupazione, inevitabilmente, sale.
Mi alzo decisamente intontita, mi sento ovattata, tutto ondeggia e rimbomba attorno a me. Quasi mi manca il respiro. Provo a far finta di niente, non voglio spaventare Jader. Passerà.
Sul pullman cerco di rilassarmi e un po’ mi assopisco. Ma sì, sto meglio, sarà una grande giornata.
Il clima è dalla mia parte, non sento freddo e non è neppure troppo umido. L’attesa, in zona partenza, non è tanto lunga: non c’è tempo per annoiarsi, e nemmeno per pensare troppo.
Così si parte. Senza eccessiva foga o violenti spintoni. Incredibile. La mia prima gara senza nessuno che mi tocchi i piedi!
Imposto un ritmo che vorrei mi accompagnasse il più a lungo possibile, e su questa andatura incontro diversi compagni di strada. Qualcuno passa e va, qualcuno resta indietro, nessuno mi sarà accanto fino alla fine. Ma ci sono abituata. Ciò che conta è che sto bene.
Il passaggio alla mezza è perfetto, sono già a metà – notare: già a metà, non solo a metà.
C’è tanta gente lungo la strada, gente che incita e applaude: sapessero quanto mi incoraggiano, e quanto mi caricano anche i gruppi musicali, ragazzi giovanissimi che offrono un vero spettacolo. Le note di Every breath you take sono un’emozione fortissima, per un attimo chiudo gli occhi e lascio scorrere quelle parole dentro di me.
Entriamo nel parco di San Giuliano, Marescalchi esalta il mio sorriso. È vero, siamo al trentesimo e sto sorridendo. È che tutto mi sembra bellissimo: questa giornata è bellissima, questo percorso è bellissimo, Venezia, lì ad un passo, è bellissima. Sono felice di essere qui.
Attraverso il ponte della Libertà quasi in trance. Sapevo che mi avrebbe fatto questo effetto. Quello che per tutti è un incubo infinito, per me è una sorta di passaggio in una dimensione senza spazio e senza tempo. Continuo a sorpassare podisti più o meno in crisi. Vedo il profilo della città, la sento già mia. E quando ci arrivo, quando mi trovo sulla prima delle quattordici passerelle che coprono i ponti, do sfogo ad una grinta che raramente ho saputo rivelare. Aggredisco quei ponti quasi dovessi sfondarli. Largo, largo, sto arrivando io! Accidenti, proprio sull’ultimo mi trovo davanti un podista che mi ostruisce il passaggio, non ci voleva adesso, quando devo lanciare lo sprint. Accelero al massimo sul rettilineo finale, tagliando il traguardo esultante e gioiosa.
No, non ho fatto il personale, né mi sono piazzata in qualche classifica. Ma ho finito una maratona, dopo due anni di digiuno. E l’ho finita piena di energia, già pensando alla prossima.
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